Un passo avanti per le mani bioniche grazie a una pelle artificiale

Nuovi sensori composti da plastica e nanotubi in carbonio potrebbero portare a una pelle artificiale in grado di conferire il senso del tatto alle protesi.

di Faye Flam

Grazie ai finanziamenti da parte del Dipartimento per la Difesa degli Stati Uniti, diversi ricercatori stanno ottenendo importanti risultati nello sviluppo di protesi di mano più realistiche – in gradi di conferire all’utente un maggiore controllo e il senso del tatto.

Alcuni scienziati di Stanford hanno annunciato una nuova tipologia di sensore i pressione, nella forma di un materiale piatto e flessibile, che potrebbe servire da pelle artificiale per le protesi e permettere agli utenti di manipolare oggetti e sentirli. I sensori inviano impulsi che il cervello interpreta per determinare un certo senso del tatto. “Imita direttamente il sistema biologico”, spiega la ricercatrice capo Zhenan Bao.

La “pelle” è in plastica stampata con una forma a cialda per essere comprimibile. Al suo interno sono incorporati nanotubi in carbonio – minuscoli cilindri di carbonio puro che conducono l’elettricità. Comprimendo il materiale i nanotubi entrano in contatto e creano impulsi sempre più forti con l’aumentare della pressione applicata.

In un documento comparso sull’ultimo numero di Science, Bao e i suoi colleghi sostengono che i sensori riescano a rilevare diverse gradazioni di pressione pari alla differenza fra una stretta di mano salda ed una molle. Questa è solo una componente del tatto, e non è ancora stata testata su umani. Bao e i suoi colleghi hanno inviato segnali a campioni in vitro del cervello di un topo – giusto per dimostrare di poter stabilire una comunicazione fra i sensori e i neuroni.

Nonostante questo, la ricerca costituisce un importante passo verso la realizzazione di protesi artificiali più realistiche. “È difficile fare le cose con una mano artificiale senza il senso del tatto”, dice Sliman Bensmaia, un biologo e neuroscienziato computazionale che lavora ad arti artificiali presso l’Università di Chicago. Il tatto, dice, è difficile da ricreare perché è un senso sorprendentemente complesso. “Non siamo semplicemente in grado di distinguere la seta dal raso, ma anche una seta economica da una di qualità. Ci riusciamo perché la nostra pelle è in grado di rilevare la consistenza fino a 10s di nanometri”.

I ricercatori sperano di canalizzare le informazioni inviate da sensori artificiali verso i nervi periferici che erano connessi alla mano persa. Hanno già creato interfacce che conferiscono agli utenti l’abilità di aprire e chiudere una mano (vedi “Una mano artificiale con un senso del tatto reale”). Il prossimo traguardo sarà ottenere una coordinazione tale da permettere ai pazienti di utilizzare ciascun dito separatamente.

Sarà necessario garantire lo scorrimento degli impulsi elettrici in ambo le direzioni – segnali inviati dai muscoli e dai nervi dei pazienti verso le protesi, e segnali realistici trasmessi dai sensori verso il paziente. Dustin Tyler, un professore di ingegneria biomedica della Case Western Reserve University, spiega che il problema è legato in parte alla necessità di tradurre i segnali inviati dai sensori in un messaggio che possa essere compreso dal sistema nervoso.

La parte più complessa è creare una interfaccia fra la protesi e il paziente che permetta di trasmettere il linguaggio in tutta la sua complessità. “Non siamo ancora in grado di riprodurre il tatto naturale, ma siamo al punto di poter trasmettere una utile sensazione del tatto”, dice Bensmaia.

(MO)

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