Un occhio tecnologico sui papiri di Ercolano

Nei secoli si è spesso tentato di srotolare i papiri per leggerne i testi, finendo però quasi sempre per distruggere il reperto. Solo negli ultimi anni, grazie a una nuova tecnologia tomografica, si è riusciti ad aprire virtualmente i papiri, rivelando parti significative del testo nascosto all’interno.

di Giordano Ventura

Siamo così presi dagli annunci, a scopo esclusivamente commerciale, dei nuovi gadget elettronici – che spesso si risolvono in un vero e proprio intasamento delle nostre possibilità di comunicazione e di relazione – da trascurare eventi culturalmente davvero epocali a cui la scienza, e in particolare l’elettronica, può fornire strumenti di straordinaria incisività e portata. Questo è il caso dei famosi papiri di Ercolano, che una nuova tomografia a luce di sincrotrone, presentata qualche settimana fa all’Accademia dei Lincei, permette di srotolare e leggere virtualmente.

La collezione dei circa 1800 rotoli papiracei di Ercolano, preservata dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e in massima parte conservata nella Biblioteca Nazionale di Napoli, costituisce l’unica biblioteca antica in nostro possesso. I rotoli di papiro furono recuperati durante la campagna di scavi voluta nel 1754 dal re Carlo di Borbone, all’interno di una villa sepolta sotto oltre 15 metri di cenere, da allora chiamata “Villa dei Papiri”.

Si tratta di un risultato importante sotto molti profili, tecnologici e filologici, ottenuto da un gruppo internazionale di ricercatori, guidato da Vito Mocella, dell’Istituto per la Microelettronica e i Microsistemi del CNR di Napoli, in collaborazione con Emmanuel Brun e Claudio Ferrero dell’European Synchrotron Radiation Facility di Grenoble e Daniel Delattre del CNRS-IRHT di Parigi. «La tecnologia sviluppata dal CNR», spiega lo stesso Vito Mocella, «oltre ad aprire nuove opportunità per lo studio dei manoscritti antichi, presenta altre importati applicazioni, per esempio nel campo forense per l’analisi di reperti che sono stati danneggiati o bruciati, o nel campo medico dove le tecniche di imaging sono determinanti nella formulazione delle diagnosi, o ancora in campo industriale per esaminare in modo non invasivo prodotti particolarmente delicati e pregiati».

Riunendo varie competenze provenienti dall’ambito della fisica, della matematica, dell’ingegneria, della papirologia della paleografia e della filologia classica, la ricerca, oltre al contenuto dei testi, ha permesso di acquisire altre informazioni preziose. «Lo svolgimento dei due rotoli ne ha svelato la storia, portando alla luce elementi interessanti e prima ignoti, come tipologie scrittorie diverse, un’erronea associazione di un papiro a una porzione già scoperta in passato e la presenza di sabbia e piccoli sassi all’interno, probabilmente provenienti dagli eventi catastrofici che precedettero l’eruzione pliniana», precisano Antonio Lamarra e Giuseppe Gigli, rispettivamente direttori degli Istituti Iliesi e Nanotec del CNR, che hanno collaborato alla ricerca.

La nuova tecnica è simile a una TAC medica a raggi X. Applicata a due papiri arrotolati, ha prodotto delle immagini tridimensionali, in cui alcune lettere del testo spiccavano sulle fibre carbonizzate del papiro grazie allo spessore (pochi micron) dell’inchiostro a base di nerofumo utilizzato dall’antico amanuense. Sono state così ricostruite due brevissime frasi (24 lettere in tutto) in greco, la lingua prevalente nelle antiche opere filosofiche. Come i pochi altri testi della Villa dei Papiri, che gli studiosi erano già riusciti a decifrare, anche in questo caso si tratta con ogni probabilità di frammenti di opere di Filodemo di Gadara, un filosofo epicureo greco del I secolo a.C., suocero di Cicerone e proprietario della villa.

Gli autori della ricerca sperano che il metodo possa venire applicato ad altri papiri di Ercolano, riaprendo il dibattito sull’opportunità di condurre nuove campagne di scavo nella Villa dei Papiri.

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