Trapianto di pene

Un veterano statunitense ferito da un’esplosione in Afghanistan è stato sottoposto ad una procedura pionieristica.

di Andrew Zaleski

Erano passati 8 anni da che Ray era rimasto ferito dall’esplosione di una bomba mentre era di pattuglia in Afghanistan, cinque dall’incontro con lo specialista. Quando gli venne comunicato che era stato individuato un donatore di pene era in lista d’attesa da un anno. Ray indossa apertamente le protesi che sostituiscono le gambe perdute nell’esplosione, ma dell’altra ferita quasi nessuno sapeva nulla, a parte i suoi genitori.

Per uomini che perdono i genitali come Ray, il trattamento comune, quando possibile, è la falloplastica: un tubo arrotolato di tessuti, vasi sanguigni e nervi prelevati dall’avambraccio o dalla coscia viene trapiantato all’inguine. L’erezione è ottenuta grazie ad una pompa esterna. Al primo incontro con Ray, Richard Redett, chirurgo plastico ed esperto di ricostruzione genitale al Johns Hopkins Hospital di Baltimora, gli propose una procedura di falloplastica. Fu solo in un secondo tempo che lo ritenne un potenziale candidato per uno dei primi trapianti di pene completi al mondo. “Mi ha offerto la guarigione completa”, spiega Ray. “La possibilità di tornare ad essere di nuovo normale.”

Il trapianto di pene è una frontiera radicale della medicina moderna: estremamente rara, costosa e difficile da eseguire. Sostituire un organo importante come un fegato danneggiato è una cosa: contiene solo un tipo di tessuto. Ma innestare un pene da un donatore deceduto su un ricevente vivente è una fusione caotica che comporta cuciture di vasi sanguigni e nervi ampi millimetri, con suture minuscole. Dal 2013 ad oggi, solo quattro pazienti sono stati sottoposti alla procedura.

Il primo trapianto di successo si deve all’urologo sudafricano Andre Van der Merwe nel 2014 operò su di un ventunenne che aveva perso il proprio pene a causa della cancrena in una procedura di circoncisione andata a male. Nel 2016, medici del Massachusetts General Hospital hanno trapiantato un organo di donatore sul 64enne Thomas Manning, che aveva perso il pene a causa del cancro. Un anno dopo, Van der Merwe e la sua squadra del Tygerberg Academic Hospital di Città del Capo ripeterono la procedura su di una seconda vittima di una circoncisione andata male.

Ray è il paziente numero quattro al mondo. La procedura di Redett è durata 14 ore. Si è trattato del trapianto di pene più completo mai eseguito, il primo in assoluto condotto su di un veterano militare. Ray era un cecchino della Marina degli Stati Uniti in Afghanistan quando casse in un’imboscata talebana nel 2010. Calpestò una mina accorrendo a soccorrere un compagno caduto. Perse entrambe le gambe fino alla coscia, nonchè pene, scroto e parte della parete addominale. Solo una manciata di persone conoscevano la portata delle sue ferite.

Dopo due anni, l’urologo del Walter Reed National Military Medical Center lo indirizzò al gruppo di chirurgia ricostruttiva della Johns Hopkins, già allora leader nelle procedure di allotrapianto composito vascolarizzato, più comunemente chiamate chirurgia VCA. Viene utilizzato nei trapianti di viso, mano, braccio e pene, prelevando più tipi di tessuto da un donatore e collegando vasi sanguigni e nervi in modo da essere funzionanti. Nel dicembre 2012, i chirurghi della Hopkins completarono il primo trapianto di braccio bilaterale su di un soldato che aveva perso braccia a causa di una mina sulla strada.

Secondo Van der Merwe, la procedura utilizzata nel caso di Ray è stata “la più complessa ad oggi mai eseguita”, in gran parte a causa della portata del suo infortunio. I medici della Hopkins non hanno semplicemente trapiantato il pene, ma anche lo scroto del donatore e grandi quantità di tessuto della coscia e dell’addome inferiore. Dal 2018, Ray non ha rilasciato che un’intervista al New York Times. Lo scorso marzo, a un anno dall’intervento, ha accettato di parlare in via anonima perché altri veterani possano sapere di quest’opzione.

Un totale di 1.367 soldati americani hanno subito gravi lesioni genitali in Iraq e in Afghanistan tra il 2001 e il 2013. Tali ferite di guerra rappresentano un problema relativamente nuovo. Le esplosioni dal basso in passato erano una condanna a morte, ma i progressi nella creazione di armature migliori e le cure moderne assicurano la sopravvivenza di sempre più soldati feriti, molti dei quali affetti da devastanti traumi genitali-urinari. Per affrontare il problema, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti fondò nel 2008 un istituto per la ricerca di vari trapianti ricostruttivi. Secondo il progetto TOUGH, Trauma Outcomes and Urogenital Health, per almeno 502 soldati affetti da lesioni urinarie genitali in Iraq e Afghanistan il trapianto di pene potrebbe essere l’unica risorsa possibile.

Quantificare queste lesioni in termini numerici è facile. Definire l’impatto psicologico di queste lesioni su giovani tra i 20 e i 30 anni è molto più difficile. Come spiega Timothy Tausch, colonnello dell’esercito e direttore del programma di ricostruzione urologica maschile al Walter Reed, “Non appena si svegliano, non delle loro gambe, ma dei genitali. Non c’è modo di quantificare l’influenza di un simile trauma sulla vita di questi guerrieri feriti “. Il rischio di suicidio tra i veterani statunitensi è già elevato: uno studio ha scoperto che quelli schierati tra il 2001 e il 2007 avevano il 41% di probabilità in più di togliersi la vita rispetto ai civili. Tuttavia alcuni esperti si chiedono se la procedura sia davvero necessaria. I trapianti di rene e cuore salvano la vita, ma la perdita del pene non è fatale. Lo stesso trapianto potrebbe portare ad altre difficoltà psicologiche.

Secondo Ray, per quanto il trapianto non gli abbia salvato la vita, l’ha migliorata. “Questo intervento mi ha offerto l’opportunità di mettere a tacere l’idea di essere diverso dagli altri”, dice. “Si è trattato del genere di ferita che porta a chiedersi se continuare o meno. Immagino di aver sempre sperato che potesse esserci una soluzione.”

Trovare un donatore non è semplice. Si deve trattare di un ragazzo giovane e sano; l’organo deve avere una buona corrispondenza cromatica ed essere di dimensioni medie; e non deve trovarsi a più di due ore di distanza, così che una volta rimosso dal corpo del donatore, possa essere portato all’ospedale prima che inizi il processo di decomposizione.

Per trapiantare un pene, sono necessarie le due arterie dorsali e le due vene dorsali del donatore, ma per trapiantare la parete addominale e lo scroto, il numero di vene necessario è ancora più alto, per evitare la necrosi del nuovo scroto e del tessuto addominale, insieme a gran parte della pelle del pene. In cinque anni, Redett e colleghi hanno studiato il trapianto di pene sperimentando con cadaveri e coloranti alimentari. Hanno iniettato coloranti nei vasi sanguigni di uomini morti per sapere quali vasi sono necessari al trapianto. Si sono anche allenati ad essere molto veloci, molto efficienti e molto sicuri, in previsione di operazioni molto lunghe.

Mentre 25 altri medici prendevano dal donatore polmoni, cuore, reni e fegato, Redett e colleghi si sono procurati la parete addominale inferiore, il tessuto della coscia, lo scroto e il pene, sezionato le arterie e le vene necessarie. La velocità è essenziale. I tessuti corporei iniziano a decomporsi nell’istante in cui sono privi di sangue. Se vengono rilasciate abbastanza tossine, l tessuti possono gonfiarsi tanto da asfissiare. Il ghiaccio ritarda il processo.

Mentre la squadra tornava alla Johns Hopkins, altri chirurghi preparavano Ray nella sala operatoria, sotto ad un microscopio chirurgico dal collo curvo curvo capace di ingrandire l’immagine fino a 20 volte, per permettere a Redett di vedere la punta degli strumenti necessari alle suture che avrebbero tenuto insieme vasi sanguigni di appena due millimetri di spessore.

I chirurghi hanno iniziato cucendo l’uretra di Ray su quella del donatore. Sono poi passati alle arterie e alle vene che portano il sangue alla pelle della parete addominale, dello scroto e dell’asta del pene. Successivamente hanno suturato i nervi del pene di Ray, sepolti in profondità sotto al suo osso pelvico, ai nervi del pene donatore. Un trapianto di rene prende solitamente tre ore. Il primo intervento di trapianto di pene nel 2014 ne ha richieste nove. I chirurghi di Redett ne hanno usate altre cinque, senza pausa bagno o caffè.

L’intervento non è stato solo tecnicamente complesso, ha anche richiesto di soppesare varie questioni etiche. Ad esempio: nel dare a Ray uno scroto, era il caso di dargli anche dei testicoli? La risposta è stata no: il trasferimento di tessuto che genera spermatozoi avrebbe potuto portare dare la possibilità Ray di avere figli genetici del donatore. Vi era poi il problema dell’assunzione permanente di immunosoppressori, fondamentale per i trapianti di pene: Van der Merwe dovette amputare metà del pene trapiantato nel 2014 dopo che il paziente il paziente smise di assumere le medicine, provocando così un principio di rigetto.

Nel caso di Ray, i chirurghi sperimentarono una nuova soluzione sviluppata da Gerald Brandacher, direttore scientifico del programma di trapianto ricostruttivo presso la Johns Hopkins School of Medicine. I ricercatori hanno isolato in laboratorio il midollo osseo e le cellule staminali delle ossa vertebrali del donatore, per iniettarne in Ray una grande quantità due settimane dopo il trapianto. Invece di un cocktail di farmaci immunosoppressori quotidiani, Ray ha bisogno solo di una pillola. “È un po ‘come rieducare il sistema immunitario”, spiega Brandacher. “Ci consente di ridurre al minimo la necessità di immunosoppressione, senza fermarla completamente.”

Ridurre al minimo i farmaci necessari dopo un trapianto è di vero interesse per le forze armate statunitensi. Gli immunosoppressori, infatti, assicurano che il corpo non attacchi un nuovo organo, ma indeboliscono il sistema immunitario e possono portare a complicazioni tossiche come l’insufficienza renale. Ridurre il numero id pillole da assumere per i veterinari con trapianti significa ridurre le complicazioni a cui andranno incontro invecchiando, una vita più semplice e dun notevole risparmio di denaro a lungo termine.

“Quando sono rimasto ferito, mi sono reso conto che il mondo non è progettato per una persona nelle mie condizioni, e che mi sarei dovuto adattare al mondo,” mi ha spiegato Ray quando l’ho incontrato ad un anno dall’intervento. Mentre non nasconde le protesi alle gambe, mantiene il riserbo sul trapianto del pene. Tuttavia, quelli intorno a lui hanno riconosciuto un cambiamento. Un caro amico di Ray, uno dei pochi a sapere, lo descrive “Molto più fiducioso … grazie alla sensazione di essere di nuovo completo.”

Le terminazioni nervose del pene trapiantato hanno impiegato sei mesi prima di prendere a funzionare. Gli assoni di una cellula nervosa, i lunghi fili lungo i quali gli impulsi vengono inviati da una cellula all’altra, impiegano del tempo per crescere fino a connettersi d incontrare all’organo a cui fanno riferimento. Secondo Van der Merwe, il creatore della procedura VCA, l’efficacia del trapianto di pene è ormai dimostrata; il suo futuro dipende da questioni come chi paga e la disponibilità di donatori adeguati, oltre al dilemma sull’immunosoppressione che i militari stanno cercando di risolvere.

Immagine: Fotografia di Jared Soares

(lo)

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