Studiare i peggiori fuochi del pianeta 

Non sarà facile aggiornare lo standard vecchio 47 anni utilizzato per prevedere il comportamento degli incendi, ma riuscirci salverà delle vite.

di Alissa Greenberg

Jason Forthofer ha lottato per contenere il Sunrise Fire nel sud del Montana per più di una settimana. È in quella occasione che ha commesso il più grande errore della sua carriera. Convinto di aver sentito chiamare aiuto, si è addentrato nella foresta assieme al collega Kevin Beck. I due vigili del fuoco si trovavano a quasi un chilometro dalla strada quando sono incappati in una casupola abbandonata e il vento ha cominciato a soffiare, accompagnato dal suono del tuono. Beck e Forthofer sapevano di aver corso uno stupido rischio ignorando le previsioni meteo. Il temporale in arrivo avrebbe potuto avvolgerli velocemente nelle fiamme e ucciderli. 

Il Sunrise è stato solo uno dei 21 incendi che hanno messo a fuoco il Montana nell’estate del 2017. Quando non combatte gli incendi sul campo, Forthofer li studia, lavorando con un gruppo di analisti, biologi, programmatori di computer e ingegneri presso il Missoula Fire Sciences Lab del Montana. Il doppio ruolo di ricercatore e vigile del fuoco in prima linea è caratteristico degli studi condotti dal laboratorio. “Poter contestualizzare quanto studiato è fondamentale, ma non tutti gli scienziati hanno questa possibilità”, spiega l’ecologo Matt Jolly, uno dei colleghi di Forthofer. “Cercando di descrivere incendi selvatici senza averne mai visto uno!” 

Jason spiega il funzionamento del generatore di vortici di fuoco, una versione ridotta dei tornado di fuoco. Kristine PaulsenJason spiega il funzionamento del generatore di vortici di fuoco, una versione ridotta dei tornado di fuoco. Kristine Paulsen

Il Fire Lab è noto soprattutto per la produzione di modelli informatici sul comportamento degli incendi. Nel 1972, un ricercatore di nome Dick Rothermel usò una serie di semplici esperimenti per creare uno dei primi modelli matematici in grado di prevedere come si sarebbe potuto propagare un incendio. Bruciando carburante nella sua galleria del vento, Rothermel controllava fattori come la velocità del vento e poi osservava i suoi incendi crescere. Tracciò i risultati su di un grafico e usò i dati raccolti per dedurre una serie di equazioni applicabili a incendi in ogni luogo. I suoi modelli permisero agli analisti di fare previsioni sulla diffusione dei fuochi, modificando radicalmente il pensiero e le interazioni degli esperti con gli incendi. 

Oggigiorno, il modello Rothermel è alla base di quasi tutti i programmi informatici utilizzati per analizzare il comportamento degli incendi negli Stati Uniti, eppure, per quanto avanzati fossero i progressi realizzati da Rothermel all’epoca, ancora non prendono in considerazione molti dei fattori che inducono gli incendi ad avere un comportamento diverso nel mondo reale rispetto al laboratorio. Modelli come quelli di Rothermel sono “validi solo nei limiti della gamma di dati e degli esperimenti condotti”, spiega Forthofer. “Oltre quei parametri, si può solo sperare che il fuoco continui a comportarsi come previsto.” 

Un apparecchio chiamato “The Hibachi” consente agli scienziati di testare come diversi campioni prendano fuoco. Kristine Paulsen

Per compensarne i deficit, gli analisti del comportamento del fuoco hanno apportato una serie quasi infinita di correzioni e input allo base fornita da Rothermel. Sono inclusi dati di ogni genere, dalla pendenze al tipo di vegetazione, dalle caratteristiche delle chiome degli alberi ai fattori meteorologici, in un’impresa tecnologica che vuole prevedere l’imprevedibile. 

Dopo decenni di siccità e temperature in aumento, la necessità di aggiornare i modelli sugli incendi si fa più urgente che mai. Feroci incendi imperversano sempre più frequentemente nell’America occidentale e in altre parti del mondo, come Australia e Amazzonia. Il modello di Rothermel non riesce a fare fronte alla furia dell’ambiente, tra foreste bruciate e velocità del vento imprevedibili. Nel bel mezzo degli inferni che stanno decimando territori e vite, il Fire Lab sta cercando di costruire un modello nuovo di zecca per la prima volta in mezzo secolo. 

Un pomeriggio di luglio nel 2019, Forthofer mi ha offerto un tour del laboratorio insieme al suo capo, Mark Finney. Il laboratorio dove vengono condotti i test è una struttura ampia, dalle pareti interne in metallo ondulato e senza finestre. 

La nostra prima tappa è una massiccia lastra ricoperta di sabbia che Forthofer e Finney mi descrivono come, essenzialmente, un bruciatore gigante. Mi mostrano i getti di propano costruiti su misura che consentono loro di controllare con precisione l’intensità delle fiamme ed eseguire misurazioni esatte mentre il fuoco brucia. Questo tavolo prende il nome di Big Sandy, teatro di esperimenti che permettono di misurare lunghezza, temperatura e pressione delle fiamme di un incendio partito in linea retta. File di punte in cartone tagliate al laser bruciano una dopo l’altra in un movimento quasi liquido, mentre una linea di fiamme alte fino a 2.5 m si diffonde sopra di loro, formando un’ondata di picchi e depressioni. 

Le misurazioni condotte su Big Sandy hanno dimostrato che queste forme sono causate dall’aria fredda che spinge le fiamme in modo intermittente sul loro letto di combustibile. Quest’aria fredda si trasforma in una serie di piccoli vortici che seguono il movimento ondulatorio dei gas prodotti dalle fiamme quando si riscaldano e si raffreddano. Senza questo movimento, le fiamme non potrebbero procedere, si spegnerebbero semplicemente una volta consumato tutto il combustibile.

In un altro ufficio, Chuck McHugh, analista del fuoco, mi mostra modelli di incendi passati, in cui delle linee rosse documentano i percorsi che il fuoco avrebbe potuto prendere, mentre forme colorate indicano il numero di ore che il fuoco avrebbe potuto impiegare per diffondersi nell’area. Su alcune delle mappe, queste forme sono circondate da segni ‘frizzantini’, a indicare possibili siti dove il computer prevedeva la possibilità che delle scintille potessero generare nuovi fuochi a partire dal fuoco principale. 

Al piano superiore facciamo visita alle gallerie del vento, dove Forthofer e colleghi studiano l’impatto dell’aria sugli incendi a velocità diverse. Un alto apparato di metallo nero dalla base curva genera il flusso d’aria necessario per creare (e studiare) tornado di fuoco di più di 3 metri. Finiamo il nostro tour in una stanza piena di agglomerati di schiuma e metallo utilizzati per misurare come il calore si muove nell’aria per dare fuoco a nuovo combustibile al principio di un incendio. L’intero ambiente, spiegano, può essere impostato su specifiche temperature e livelli di umidità, o aperto per fornire ventilazione in caso di emergenza. 

Secondo Finney, la complessità degli strumenti è una riprova del fatto che il modello di Rothermel non è più sufficiente, in quanto non prende in considerazione processi su piccola scala come i vortici studiati su Big Sandy o i cicli di feedback che si instaurano tra vento e fuoco. È il motivo per cui il laboratorio sta cercando di creare qualcosa di nuovo, una teoria completa che possa spiegare il comportamento del fuoco, non solo prevederlo. 

Scintille in uscita dal “camino”, strumento che imita il comportamento del fuoco in natura. Kristine Paulsen.

A dispetto dell’enorme impatto del modello creato da Rothermel, esistono altri sistemi, come il Prometeo, sviluppato dal Canada nei primi anni 2000 o i programmi australiani adattati alle peculiarità degli incendi dell’Outback. Il modello Rothermel rimane lo standard originale. Alen Slijepcevic, della Country Fire Authority australiana, segue con interesse le ricerche Missoula Fire Lab. 

Altrove, alcune istituzioni hanno adottato un approccio diverso, noto come fluidodinamica computazionale (CFD), per formulare modelli dei movimenti di fluidi e gas. La tecnica prevede la suddivisione di un’area in piccole unità per calcolare come ciascun elemento interagisca con gli altri. I risultati possono produrre imitazioni del comportamento reale del fuoco molto precise. 

Questo approccio richiede purtroppo una potenza di calcolo molto superiore a quella necessaria ad un programma basato sul sistema di Rothermel. L’esecuzione di un singolo modello CFD può richiedere alcuni giorni e l’utilizzo di supercomputer, un approccio improbabile per gli analisti in prima linea, spesso impegnati in una corsa contro il tempo, in luoghi remoti dalle infrastrutture a rischio una scarsa connessioni a Internet. Servono programmi veloci che possano essere lanciati su di un normale. Forthofer, Finney e colleghi sperano che il loro nuovo modello possa rappresentare una via di mezzo, capace di previsioni migliori, con elementi simili ai CFD per spiegare fattori come la turbolenza del vento, ma abbastanza semplice da poter essere utilizzato sul campo.

Kevin McGrattan, matematico del National Institute of Standards and Technology, pur approvando il potenziale di un modello ibrido, segnala la necessità di formare il personale nell’utilizzo dei programmi esistenti. I programmi basati sul modello Rothermel, infatti, vengono utilizzati principalmente nel controllo di fuochi controllati e pianificati. “Quando da qualche parte in California si scatena l’inferno , non c’è tempo di trovare un esperto”, spiega. 

I pompieri tendono a fidarsi più della propria esperienza che della tecnologia, un’abitudine che può avere conseguenze terribili quando le condizioni si fanno così estreme da non essere mai state incontrate prima. Quando l’esperienza fallisce, la tecnologia diventa preziosa e, con il progredire dei cambiamenti climatici, ci possiamo aspettare che l’esperienza faccia sempre più cilecca. 

Forthofer prevede una trasformazione della cultura antincendio. Educare i vigili del fuoco all’utilizzo di un modello aggiornato, la formulazione di una nuova teoria che spieghi precisamente il comportamento del fuoco, è il primo passo per innescare questo cambiamento. Il suo obiettivo è impedire rischi come quelli di un Sunset Fire, proteggere infrastrutture, case e salvare vite umane. 

Nel frattempo, mentre Forthofer trascorre le sue estati a combattere il fuoco e i suoi inverni a studiarne il comportamento, le stagioni degli incendi si susseguono. 

Foto: Le fiamme prendono la forma di onde. Kristine Paulsen

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