Solo la geomorfologia ci può salvare

Il clima passato, l’erosione e la tettonica delle placche possano spiegare la topografia attuale della superficie del pianeta. Il loro obiettivo è prevedere gli sviluppi futuri del territorio per difendere la biodiversità

Molte domande sulla geomorfologia prendono spunto dalla semplice osservazione. Per esempio: perché i fiumi in tutto il pianeta si ramificano? Il gruppo di ricerca di Taylor Perron, professore di geologia al dipartimento di Scienze della Terra, dell’atmosfera e dei pianeti (EAPS) del MIT, ha scoperto che una competizione tra due meccanismi di erosione, il movimento graduale del suolo lungo i pendii e l’erosione delle valli da parte dei fiumi nel corso del tempo, crea questo tipo di configurazione.

In un articolo del 2012 su “Nature”, il suo team ha descritto la “meccanica dell’erosione” al lavoro, presentando un modello matematico che prevede sia il modello rmificato dei fiumi che le loro dimensioni, fino ai più piccoli affluenti, in base al clima di un territorio e alla resistenza della roccia o del terreno in cui scorrono le acque.

Molti ricercatori vedono Perron come “il principale architetto di una rinascita della geomorfologia, che ha optato per la modellazione basata sulla fisica“, afferma Robert van der Hilst, professore Schlumberger di scienze della terra e planetarie e capo di EAPS. A suo parere, alcuni dei modelli più comuni sono risultati enigmatici perché i paesaggi dinamici e complessi del pianeta non sono masse statiche, ma ambienti mutevoli.

Per comprenderne le complessità, il team di Perron analizza i dati che provengono da osservazioni sul campo, strumenti di telerilevamento, rilievi topografici ad alta risoluzione e missioni spaziali, per poi elaborare sofisticati modelli quantitativi e simulazioni al computer dell’evoluzione del territorio.

L’analisi approfondita del territorio può migliorare anche la comprensione dei nuovi mondi aperti dall’esplorazione interplanetaria. I freddi deserti di Marte e l’atmosfera di metano di Titano, la luna di Saturno, anche se distanti dal nostro mondo, mostrano dinamiche simili a quelle sulla Terra, così come differenze chiave. Conoscere la meccanica dei fiumi del nostro pianeta, per esempio, indica che il ruolo essenziale della tettonica a zolle nel modellare i paesaggi della Terra non è stato replicato su Marte o Titano.

Oltre a scoprire la reciproca influenza tra fiumi e territorio, la ricerca di Perron ha ampliato la comprensione della formazione e della sostanza della cosiddetta “zona critica”, uno strato sottile a pochi metri sotto la superficie terrestre dove le rocce si rompono per formare il suolo.

Per studiare come le complesse variabili climatiche modellano il territorio, il suo gruppo sta analizzando il modo in cui le precipitazioni estreme potrebbero influenzare la posizione, la frequenza e la gravità delle frane, o come l’intensità media delle onde in un anno condiziona l’erosione costiera. Grazie alle osservazione sulle isole hawaiane, infatti, Perron e colleghi hanno verificato il maggior ritiro della costa con onde più grandi rispetto a zone con onde più piccole.

La natura stessa ha condotto esperimenti vasti e utili a lungo termine che possono far luce sull’evoluzione del paesaggio. Per esempio, sempre guardando alle Hawaii, il lato delle isole esposto agli alisei è più piovoso e umido, consentendo ai ricercatori di valutare come le precipitazioni influenzino l’erosione del fiume.

Paesaggi lunari e laghi perduti

Il lavoro di Perron sul ruolo dei fiumi terrestri ha anche gettato le basi per la sua ricerca sui paesaggi planetari. Gli stessi strumenti che ci consentono di leggere la storia della Terra a ritroso attraverso i suoi territori ci aiutano anche a capire di più sul destino dei laghi e dei fiumi ormai scomparsi su Marte, o su come funzionano i fiumi di metano e i laghi di Titano.
“L’aumento dell’esplorazione planetaria iniziata circa 25 anni fa ha avuto un enorme impatto sul mio lavoro”, afferma Perron.

Ovviamente, gli scienziati non possono fare ricerche sul campo su Marte o Titano. “Se volessimo sapere quanta acqua e quanto sedimento trasporta un fiume sulla Terra, misureremmo la dimensione del sedimento sul letto del fiume e rileveremmo una sezione trasversale del canale del fiume”, sostiene. “Per capire quanto velocemente una catena montuosa si sta innalzando o si sta erodendo sulla Terra, si possono raccogliere campioni sul luogo e portarli in laboratorio. Ma nessuna di queste cose è possibile su Marte o Titano. Quindi dobbiamo essere creativi”.

Sappiamo che piove metano su Titano, ma non possiamo vederlo mentre accade, quindi il mio gruppo ha stimato il livello di queste precipitazioni sulla base delle misurazioni delle reti fluviali nelle immagini della missione della navicella Cassini-Huygens“, spiega Perron. “Abbiamo anche escogitato un modo per calcolare quanta acqua trasporta un antico fiume marziano o quanto metano trasporta un moderno fiume su Titano, utilizzando solo le dimensioni che possiamo misurare dall’orbita”.

Ma Perron ammette che la mancanza di campioni sul campo significa che alcune domande rimangono aperte per ora: “Quanto tempo ci è voluto perché il paesaggio di Titano assumesse la forma attuale? La situazione è questa da miliardi di anni? Non lo sappiamo ancora”.

I materiali granulari

La collaborazione con i colleghi è stata essenziale. “Abbiamo lavorato con scienziati del MIT che si occupano di tutto, dal ciclo del carbonio alla fisica dei materiali granulari, dalla genetica dei pesci alla storia dell’antica Amazzonia”, afferma Perrin. Un esempio importante è il suo lavoro con il professore di ingegneria meccanica Ken Kamrin, specializzato in meccanica e fisica dei materiali granulari, per studiare il movimento di ghiaia e sabbia nei fiumi (noto come trasporto di sedimenti) che porta all’erosione.

“Le persone studiano come i fiumi spostano i sedimenti da molti anni”, afferma Perron. “Ken ha una nuova visione dei fiumi e ha aperto i miei occhi su cose che sono state trascurate da studiosi del mio settore”. La loro collaborazione si è concentrata in particolare su come le dimensioni e la forma dei grani di sedimento influiscono sul trasporto dei sedimenti. “Questo è un problema interessante dal punto di vista geofisico”, afferma Kamrin, “perché strumenti di modellazione più sensibili porteranno a migliori previsioni dell’erosione del letto”.

“I supporti granulari sono un materiale che non si presta alla modellazione”, aggiunge, ma la ricerca comune in corso potrebbe persino “portare a scoperte che si applicano oltre il contesto del letto del fiume”. Perron vede anche un quadro più ampio. “L’approccio di Ken alla comprensione del comportamento dei singoli granelli di sedimenti, e quindi allo sviluppo di modi per scalarlo fino a intere morfologie, è originale”, afferma.

Lo studio degli effetti delle modificazioni territoriali sulla biodiversità è un’altra area interdisciplinare di grande interesse. Il fatto che la biodiversità sia minacciata aggiunge urgenza a questa ricerca. “Se si riesce a capire perché alcune parti della superficie terrestre sono molto diverse di altre”, dice Perron, “allora si può fare un lavoro migliore per conservare la biodiversità”.

La ricerca geomorfologica tradizionale si trova spesso in difficoltà perché i territori che si formano attraverso l’erosione sono difficili da monitorare nel tempo, perché l’erosione distrugge le prove di come apparivano in passato. Per questa ragione, Perron è affascinato dal lavoro di Greg Fournier, un collega EAPS che studia la documentazione genetica della vita sulla Terra.

“Gli organismi che vivono in una determinata zona e la cui evoluzione dipende dalla topografia territoriale, potrebbero aver conservato una registrazione persistente del passato di quel luogo”, sostiene Perron. Il loro DNA può fungere da quello che chiama un orologio molecolare, offrendo ai geologi un nuovo modo di misurare il tempo.

Una sua collaboratrice, Maya Stokes, esperta di ecologia e biologia evolutiva della Yale University, ha esaminato come i cambiamenti nei paesaggi fluviali influenzino l’evoluzione e la distribuzione degli organismi acquatici. Grazie a metodi di ricerca geomorfica, raccoglie e analizza i dati della sequenza del DNA in modo da poter mettere insieme le storie intrecciate dei pesci e dei fiumi dei Monti Appalachi.

“Gli scienziati hanno a lungo suggerito che i processi della Terra hanno fondamentalmente alterato l’evoluzione della vita”, dice Stokes, “ma con l’avvento delle tecniche di sequenziamento del DNA di prossima generazione e dei metodi sempre migliori per mettere insieme la storia fisica dei paesaggi, siamo ora pronti per comprendere i meccanismi esatti che governano tali collegamenti”.

Perron prevede ora di utilizzare la sua sovvenzione MacArthur di 625.000 dollari per collaborare con altri ricercatori senza dover attendere il finanziamento federale.

Immagine: Pixabay

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