Intervista con il prof. Cesare Gridelli, oncologo di fama internazionale, attualmente direttore dell’Unità operativa a Struttura Complessa di Oncologia Medica dell’Azienda Ospedaliera “S.G. Moscati” di Avellino.
di Gian Piero Jacobelli
Ogni tanto l’Italia scopre di non essere sempre agli ultimi posti nelle classifiche internazionali delle eccellenze scientifiche e tecnologiche. Lo scopre anche grazie alla intraprendenza di giornali e giornalisti che non accettano i luoghi comuni della nostra presunta incapacità di fare sistema e soprattutto di farlo nelle regioni meridionali.
A noi resta il compito di rilanciare e motivare queste meritorie scoperte, che migliorano l’autostima del mondo scientifico e tecnologico italiano e contribuiscono a delineare criteri di metodo e di merito in grado di tradurre queste eccellenze in una prospettiva di crescita per il sistema nel suo complesso.
È questo il caso del prof. Cesare Gridelli, attualmente direttore dell’Unità operativa a Struttura Complessa di Oncologia Medica dell’Azienda Ospedaliera “S.G. Moscati” di Avellino. In termini meno complessi di quanto la stessa denominazione dell’incarico affermi, il prof. Gridelli – il quale da anni svolge ricerca clinica sul cancro al polmone in collaborazione con le principali strutture internazionali – nel novembre 2013 è stato collocato al primo posto dall’agenzia statunitense Expertscape (Palo Alto, California) tra gli esperti al mondo sul cancro del polmone, sulla base dell’attività scientifica svolta nei precedenti dieci anni.
Tale attività scientifica può venire condensata in oltre 750 pubblicazione su riviste italiane e straniere, di cui circa 370 su riviste internazionali a elevata reputazione: in particolare, “Journal od Clinical Oncology”, “Journal of the National Cancer Institute”, “Lancet Oncology”, “New England Journal of Medicine”.
Lo abbiamo intervistato per MIT Technology Italia, chiedendogli anche un quadro aggiornato delle ricerche che ha in corso. Prof. Gridelli, ci siamo dimenticati qualcosa nel delineare, attraverso i numeri che ci sono sembrati più significativi, la sua carriera scientifica e medica? Tutto corretto, ma vorrei di aggiungere due precisazioni, la prima relativa alle mie origini accademiche, la seconda in merito ai riconoscimenti ricevuti: non certo per farmene vanto, ma perché rendono evidenti che le strutture formative meridionali non impediscono, come purtroppo spesso si ritiene, di conseguire traguardi importanti non soltanto dal punto di vista professionale, ma anche scientifico.
Mi sono laureato in Medicina e Chirurgia nel 1985 presso l’Università Federico II di Napoli, dove mi sono specializzato in Oncologia e poi in Medicina Interna. Attualmente sono presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Toracica e membro del Foundation Council dell’Europea Thoracic Oncology Plattform (ETOP).
Sono stato insignito del Premio per le Scienze Biomediche della Asssociazione “Sebetia Ter”, nel 2007, del Premio per le Scienze Mediche “Lucio Colletti”, nel 2010, del Premio per l’Oncologia “Ferdinando Palasciano”, nel 2013, del Premio Buona Sanità, nel 2014.
Tutto ciò per ribadire che si può fare carriera anche operando nel sistema meridionale della sanità italiana, purché naturalmente ci si sappia muovere incisivamente in un contesto internazionale, affrontando tutti i non facili confronti e le valutazioni che ciò comporta. Il tradizionale problema meridionale come sfida sollecitante e non come vincolo insuperabile? Restare in Campania, dopo la laurea a Napoli, ha, dunque, rappresentato per lei una scelta di particolare impegno per perseguire soluzioni di avanguardia, motivate proprio dalle difficoltà con cui ha dovuto misurarsi? Le motivazioni per rimanere a lavorare in Campania non sono difficili da spiegare. Occasioni ne ho avute negli anni, sia per gli Stati Uniti, sia recentemente per il Nord Italia, in un prestigioso centro oncologico di livello internazionale. Fino dall’inizio, tuttavia, sentivo il dovere di restare a lavorare qui.
Certo, mi rendo conto, spesso purtroppo constatandolo sulla mia pelle, che qui è tutto più difficile. Dico sempre che, per fare qualcosa di significativo, qui bisogna lavorare almeno il triplo rispetto a quanto si dovrebbe lavorare per farlo altrove.
Anche il recente commissariamento della Sanità della Regione Campania, con la crisi della spending review e il blocco del turn over e quindi delle assunzioni, ha maggiormente complicato il tutto.
Al Premio “San Giuliano Martire”, conferitomi nel 2014 dalla città di Giugliano in provincia di Napoli, in piena “terra dei fuochi e dei veleni”, dissi ai ragazzi che si diplomavano e si avviavano all’università, di lottare e affermarsi nella propria terra perché, se dovessero decidere tutti di andare via, sarebbe la fine.
La Campania e il Mezzogiorno non sono soltanto terra di camorra e di mafia, ma anche terra di cultura, di eccellenza e di produttività. Si potrebbero citare tanti esempi e spero che anche MIT Technology Review Italia voglia continuare a farlo, perché le motivazioni più convincenti per tanti giovani risiedono proprio nella convinzione che, appunto, lo si può fare. Passando ai campi di ricerca su cui sta attualmente operando con il suo gruppo di lavoro, può indicarcene sommariamente alcuni di quelli che ritiene più significativi e promettenti? Indicherò quattro campi di ricerca, con i loro obiettivi specifici, scusandomi per la formulazione necessariamente specialistica, disponibile ovviamente a fornire ulteriori precisazioni qualora i vostri lettori le richiedessero. Sperimentazioni cliniche controllate di nuovi farmaci biologici a bersaglio molecolare nel carcinoma polmonare con alterazioni genetiche: mutazione attivante di EGFR; mutazione di resistenza del gene EGFR T790M; riarrangiamento del gene ALK; meccanismi di resistenza agli inibitori di ALK; riarrangiamento del gene ROS-1; iperespessione o mutazione esone 14 del gene c-MET. Sperimentazioni cliniche controllate di nuovi farmaci immunoterapici nel carcinoma polmonare: check-point inhibitors in prima linea di trattamento nel carcinoma polmonare metastatico, da soli e in combinazione con chemioterapia; check-point inhibitors come terapia di mantenimento nel carcinoma polmonare a piccole cellule in fase estesa; check-point inhibitors come terapia adiuvante nel carcinoma polmonare non a piccole cellule operato. Sperimentazioni cliniche controllate di nuovi farmaci chemioterapici nel carcinoma polmonare: chemioterapia di mantenimento nel carcinoma polmonare squamoso con farmaci veicolati da nanoparticelle. Sperimentazioni cliniche controllate per lo sviluppo di schemi chemioterapici specifici nel carcinoma polmonare non a piccole cellule nell’anziano: confronto di chemioterapia meno aggressiva (“soft”) rispetto a schemi più aggressivi usualmente utilizzati nei pazienti “non anziani”.