Intervista con George Whitesides
di Massimiliano Cannata
George Whitesides è un chimico con una particolare abilità nel trasformare le scoperte di laboratorio in prodotti utili. Egli ha contribuito a fondare una lunga serie di aziende, tra cui il gigante delle biotecnologie Genzyme. Alla fine degli anni 1980 e 1990, Whitesides, professore di chimica alla Harvard University, ha aperto la strada all’attuale boom delle nanotecnologie, dimostrando che era possibile produrre molecole che si autorganizzavano in materiali ordinati. La sua attenzione è ora volta alla ricerca di soluzioni per la crisi energetica attuale. Nuovi sviluppi della chimica di base, egli sostiene, saranno cruciali per venire incontro alle nuove necessità energetiche e per tagliare l’incremento delle emissioni di gas serra. Il redattore per le nanotecnologie e la scienza dei materiali di “Technology Review”, edizione americana, Kevin Bullis, ha incontrato Whitesides nel suo ufficio a Harvard per capire come la chimica può contribuire a risolvere questi problemi.
Perché la chimica è d’importanza fondamentale per l’energia?
L’energia eolica è solo vento che alimenta le turbine. Con il nucleare, la reale generazione di energia proviene dalla disintegrazione del nucleo, che è un evento fisico e non chimico. Ma in generale, tutto il resto è legato alla chimica. Il carburante e la sua combustione sono un fenomeno chimico. Quando si mette in moto una batteria, i vari elementi cambiano il loro stato di ossidazione; ancora una volta si tratta di chimica. Persino nel processo di produzione di una cella solare, i passaggi cruciali sono di natura chimica. Dalla fiamma, alla batteria alla cella solare, gli elementi essenziali sono legati alla chimica.
Che possibilità abbiamo di ridurre le emissioni di anidride carbonica, soddisfacendo allo stesso tempo le nostre necessità energetiche?
Se l’unico problema fossero le riserve, potremmo bruciare grandi quantità di carbone e costruire una lunga serie di impianti nucleari e, almeno negli Stati Uniti, per l’immediato futuro avremmo a disposizione i rifornimenti (di energia) necessari. A causa dei cambiamenti climatici, la questione non è solo produrre energia, ma produrla con sistemi con i quali possiamo convivere nel lungo periodo.
Se si prendono in considerazione le tecnologie disponibili, dalla conservazione al nucleare, al solare e alle altre minori e le mettiamo tutte insieme, non riusciamo a risolvere questo problema. Dobbiamo fare qualcosa di differente e trovare da subito nuove strade da percorrere. Non si tratta di una pura operazione ingegneristica in cui si interviene su qualcosa che si conosce e se ne perfeziona l’uso.
Come può la chimica di base aiutare la ricerca?
Negli ultimi tempi, si è creato molto entusiasmo intorno alla fotosintesi come metodo per fissare il carbonio e allo stesso tempo raccogliere la luce solare sotto forma di sostanza vegetale, sempre che i suoi oli vegetali convertibili in biodiesel o biomassa vengano in qualche modo a loro volta trasformati in butanolo o etanolo. Questi processi sono ancora lontani dal livello di efficienza che dovrebbero avere. Se si trovasse il modo di incrementare esponenzialmente i rendimenti della fotosintesi, il settore di ricerca diventerebbe di grande interesse. Siamo in grado, nel frattempo, di lavorare sugli enzimi che sono coinvolti – i catalizzatori – e modificarli in modo da renderli più efficienti?
Abbiamo compreso diversi frammenti del processo complessivo del passaggio dalla luce solare e anidride carbonica e acqua ai carboidrati, ma rimangono numerosi punti oscuri. Per intervenire e modificare la fotosintesi, dobbiamo prima capirne bene il funzionamento.
Ma, il fatto di affidarsi in gran parte ai biocombustibili potrebbe portare a conseguenze inattese, come il rialzo dei prezzi dei prodotti alimentari. Se non comprendiamo la globalità del sistema, ciò che facciamo per migliorare le cose…
… potrebbe peggiorare ulteriormente la situazione.
L’etanolo cellulosico presenta qualche caratteristica positiva, ma si porta dietro una lunga serie di problemi. Non sappiamo quali siano i costi energetici per la sua produzione. è necessaria una discreta quantità di energia per mettere insieme il materiale, trasformarlo e distillare i fluidi. è stagionale e si può produrre solo in alcune parti del paese e al momento non su larga scala. Non bisogna dimenticare, inoltre, le difficoltà relative alla raccolta di questa biomassa, relativamente a basso contenuto energetico, e alla sua spedizione in un impianto centrale di lavorazione. Non possiamo permetterci questi spostamenti su grandi distanze, che scontano la presenza di stabilimenti di lavorazione piccoli e intrinsecamente inefficienti per la produzione su larga scala. E come dobbiamo considerare le superfici coltivabili nello Iowa? Una risorsa rinnovabile o non rinnovabile? Ci preoccupiamo del problema dello sfruttamento eccessivo delle riserve di petrolio, ma che dire allora dello sfruttamento delle superfici coltivabili dello Iowa? Ancora non siamo in grado di dire che tipo di rapporti ci saranno tra queste diverse tecnologie energetiche. Come organizzeremo la produzione di energia da risorse agricole e come pensiamo di sfruttare i suoli agricoli nel loro complesso, nel caso di una serrata competizione tra energia e produzione alimentare o di fronte all’eventualità che i terreni si esauriscano per una gestione non corretta?
Qual è allora la soluzione?
Sono necessari investimenti a lungo termine e nuove idee e gruppi di giovani che vi lavorino sopra. Non stiamo parlando del Progetto Manhattan. Non abbiamo un singolo obiettivo progettuale e, se risolviamo quello, la missione è portata a termine. Le componenti sono svariate: comprendere la fotosintesi; rendere più efficiente il processo di produzione delle celle solari; rendere più efficiente la combustione dei carburanti idrocarburici; rendere più efficiente la trasmissione di energia. Solo il conseguimento di questi obiettivi e la comprensione dei meccanismi della loro interazione ci darà la sicurezza che non stiamo peggiorando la situazione.