Le tecnologie ci sono, ma l’aggiornamento degli impianti potrebbe essere costoso.
di Lisa Ovi
Uno studio condotto da ricercatori della University at Buffalo su sette impianti di trattamento delle acque reflue negli Stati Uniti, ha affrontato il problema della concentrazione di farmaci nelle acque reflue. La ricerca è stata pubblicata da Environmental Science: Water Research & Technology.
In base ai risultati ottenuti, i ricercatori hanno trovato particolarmente promettenti due metodi di trattamento: l’utilizzo di carbone granulare e la ozonizzazione. Ciascuna tecnica ha ridotto la concentrazione nell’acqua di un certo numero di farmaci, inclusi alcuni antidepressivi e antibiotici, di oltre il 95%.
Un trattamento comune delle acque reflue prevede l’utilizzo di fanghi attivi contenenti microrganismi capaci di smaltire i contaminanti organici. Questo metodo non si è rivelato altrettanto capace di distruggere farmaci persistenti come antidepressivi e antibiotici. I farmaci sopravvissuti al trattamento dei fanghi attivi finiscono per raggiungere l’ambiente, dove possono contribuire a fenomeni come lo sviluppo della resistenza agli antibiotici o venire consumati dalla fauna selvatica.
Non è chiaro quale impatto possa avere l’esposizione prolungata a tali sostanze su flora e fauna. Una ricerca del 2017 rilevò alte concentrazioni di antidepressivi o residui metabolizzati di tali farmaci nel cervello di numerosi pesci del fiume Niagara, parte della regione dei Grandi Laghi. Dai risultati del nuovo studio emerge che il comportamento delle larve di non è compromesso dall’esposizione alle acque reflue scaricate dagli impianti di trattamento, ma questo genere di studi è solo all’inizio.
Per quanto gli impianti di trattamento delle acque reflue siano stati storicamente progettati e gestiti allo scopo di rimuovere dalle acque materia organica e azoto, la nuova ricerca e studi precedenti dimostrano che queste strutture potrebbero anche essere sfruttate per rimuovere diverse classi di medicinali.
I risultati potrebbero essere particolarmente importanti per le regioni in cui l’acqua scarseggia, dove le città potrebbero voler riciclare le acque reflue convertendole in acqua potabile. Alcune città hanno già aggiornato i propri impianti adattandoli all’utilizzo di carbone attivo granulare e/o ozonizzazione, ma il procedimento può essere costoso.
Lo studio è il risultato di una collaborazione tra ricercatori della UB, della Stony Brook University, dell’Hampton Roads Sanitation District e della società Hazen and Sawyer, specializzata nella progettazione di sistemi avanzati di trattamento delle acque reflue, inclusi alcuni dei sistemi studiati. Lo studio è stato condotto sotto la direzione di Diana Aga, professoressa di chimica della University at Buffalo, e Anne McElroy, professoressa e Associate Dean della Stony Brook University. Primo autore: Luisa Angeles, laureata in chimica alla UB.
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