Raggiunti da un dispositivo capace di leggere il pensiero, pazienti gravemente paralizzati dichiarano di voler vivere

Un’interfaccia cervello-computer decifra risposte “sì” e “no” in pazienti privati di qualunque movimento volontario.

di Emily Mullin

Nel 1995, Jean-Dominique Bauby venne colpito da un grave ictus che lo lasciò senza l’uso della parola e paralizzato in tutto eccetto che per la palpebra sinistra.
Grazie a questa palpebra sinistra dettò le proprie memorie Lo scafandro e la farfalla, poi divenuto un film.

Bauby era affetto da “sindrome locked-in,” che comporta la completa paralisi del paziente se non per una o entrambe le palpebre. Alcuni pazienti finiscono per perdere, col tempo, anche quel poco movimento, tagliando i pazienti per sempre fuori del mondo e sollevando la domanda sulla loro volontà di vivere—o rimanere in alcun modo coscienti. Ricercatori europei dichiarano ora di aver trovato una risposta dopo aver utilizzato un’interfaccia cervello-computer per comunicare con quattro pazienti rimasti completamente isolati a causa della sclerosi laterale amiotrofica che li affligge.

Alla dichiarazione “Amo vivere” tre dei quattro hanno reagito con un sì, persino indicando di essere felici. Alla quarta paziente, una donna di 23 anni, non sono state poste domande dirette in quanto i genitori temevano che si trovasse in uno stato emotivo compromesso.

Progettata da Niels Birbaumer, neuroscienziato, ora impiegato al Wyss Center for Bio and Neuroengineering di Ginevra, l’interfaccia cervello-coputer si adatta al capo di una persona come una cuffia da nuoto e registra sia i cambiamenti nelle onde elettriche emesse dal cervello che il flusso sanguigno applicando una tecnica chiamata spettroscopia nel vicino infrarosso (NIRS).

Per verificare che i quattro fossero in grado di comunicare, la squadra di Birbaumer ha chiesto ai pazienti, in 10 giorni di test, di rispondere sì o no a domande quali “Sei nato a Berlino” o “Parigi è la capitale della Germania” e seguendo come i flussi sanguigni fossero alterati dalla formulazione dei loro pensieri.
Le risposte trasmesse attraverso il sistema risultarono coerenti il 70 percento delle volte, una percentuale notevolmente più alta rispetto all’interpretazione casuale.

Secondo Birbaumer, il sollievo dei familiari di fronte alla possibilità di comunicare nuovamente con le persone amate dopo addirittura quattro anni di silenzio sarebbe stato immenso, soprattutto una volta ricevuta la conferma del loro desiderio di rimanere in vita grazie alle macchine. L’esperimento è stato descritto in uno studio pubblicato su PLOS Biology.

Nel 2010, Adrian Owen, neuro scienziato britannico, fu il primo a dimostrare che i cambiamenti nel flusso sanguigno in determinate parti del cervello dimostrano lo stato cosciente di pazienti altrimenti dichiarati in stato vegetativo.

Nessuno ha un’idea chiara di quanti siano i pazienti in stato locked-in, dichiara Jane Huggins, alla direzione del Direct Brain Interface Laboratory della University of Michigan, nonostante una stima redatta da ricercatori olandesi ne calcolerebbe, nel loro paese, meno di uno su 150,000.

Alcuni potrebbero venire erroneamente diagnosticanti come comatosi per mancanza di movimento delle palpebre.

Secondo Birbaumer e la sua squadra, il loro sistema potrebbe essere utilizzato come strumento diagnostico per determinare chi sia effettivamente cosciente o meno. Spera inoltre di poter sviluppare questa tecnica al punto da permettere a pazienti affetti da sindrome locked-in la possibilità di selezionare lettere e quindi comunicare al di là dei soli sì e no.

(LO)

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