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    Per cambiare, tutto deve cambiare

    Intervista con Luigi Nicolais, ministro per le Riforme e l’Innovazione/ a cura di Massimiliano Cannata

    di Massimiliano Cannata

    “Se vogliamo inquadrare la riforma e i cambiamenti in atto nella Pubblica Amministrazione dobbiamo cercare di interpretare al meglio l’uso dei nuovi strumenti tecnologici. Fino a oggi abbiamo commesso l’errore di pensare l’innovazione nell’ottica di un approccio rigidamente sostitutivo. Il computer è così servito a sostituire quello che una volta si faceva con la carta e la penna. Non abbiamo considerato che l’aspetto più interessante va individuato nell’innovazione di processo, non tanto nella sostituzione di una sua parte. L’innovazione che il Governo sta cercando di portare nella PA è fatta di un sistema integrato di competenze che si intrecciano e si incrociano. L’eccellenza di INPS, SOGEI e Poste si spiega in questa nuova ottica”.

    Il ministro Luigi Nicolais sollecitato non si tira indietro, vuole entrare nel “cantiere” della PA per esplicitare tutto il lavoro che il suo dicastero sta affrontando al fine di avviare la modernizzazione del sistema-Paese.

    Ministro, in più occasioni ha parlato dell’INPS come di un caso di eccellenza in tema di innovazione. L’ultimo Rapporto del Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica amministrazione (CNIPA) conferma questa sua affermazione collocando gli enti previdenziali e il Ministero dell’Economia ai primi posti nel campo della sicurezza informatica e della protezione degli assets digitali. Come si spiegano questi risultati?

    Dietro questo successo non c’è nessun particolare segreto, se non la qualità dei dirigenti, del management e dei funzionari che hanno compreso il valore aggiunto generato dall’uso delle tecnologie nelle organizzazioni complesse. I casi citati sono delle autentiche best practices in fatto di connettività, servizi interattivi, sportelli elettronici, sistemi avanzati che presiedono alle strutture di back office. Direi di più: realtà come quella dell’INPS sono un banco di prova da cui partire per trasferire a tutti gli ambiti dell’Amministrazione Pubblica la logica riformatrice. Vorrei fare un altro esempio: quello delle Poste. Abbiamo deciso di sfruttare la capillarità degli uffici sparsi sul territorio, per trasformarli in “generatori” di tecnologie, adottando un modello testato in Canada. Il ruolo dell’Esecutivo deve essere infatti quello di favorire, varando strumenti normativi adeguati, i processi di knowledge integrator, che possono incentivare l’impiego trasversale della conoscenza nel contesto dell’Information Society. Non si può più pensare, nell’epoca di Internet e della globalizzazione di essere competitivi senza innovare.

    Il DDL sulla semplificazione dei rapporti tra PA, cittadini e imprese, cui lei fa riferimento, prevede un pacchetto di misure molto importanti: riduce i tempi dell’azione amministrativa, impone l’adozione del protocollo informatico e di un commissario ad acta che vigilerà sull’effettivo adempimento del dettato legislativo. Significa che in pochi anni sarà scavato un solco dalla riforma. Siamo preparati a questa rivoluzione?

    Il disegno di legge attualmente in discussione alle Camere parte da un presupposto culturale: affermare i criteri del “pensare informatico” per superare la frattura che esiste tra innovazione tecnologica e innovazione amministrativa. Detto in sintesi: la discontinuità cui dobbiamo abituarci è una discontinuità di paradigma, di mentalità prima ancora che tecnologica. Oggi non è più l’individuo chiuso nella turris eburnea che può riuscire a essere motore del cambiamento: qualsiasi ragionamento va fatto in un’ottica di sistema. In particolare, con questo strumento legislativo il Governo, oltre a puntare sugli strumenti dell’ICT e sulle nuove tecnologie per rendere fluida la comunicazione tra istituzioni e uffici, intende sburocratizzare i processi, rivitalizzare il principio della trasparenza già contenuto nella legge 241, realizzare un sistema di e-government innalzando gli standard di precisione e di efficienza delle prestazioni che la macchina dello stato eroga all’utente cliente. Il cittadino, in caso di inadempienza dell’amministrazione pubblica, può fare la multa all’ente che non rispetta i tempi. Questa novità è una rivoluzione copernicana perchè inverte radicalmente la condizione del cittadino, fino a oggi passibile solo di ammende.

    Le strategie di Reinventing Government


    Tra gli obiettivi strategici di politica industriale enunciati dalla maggioranza occupa un posto importante la creazione di un ecosistema integrato dell’innovazione, che rappresenta un primo passo verso la costituzione di una Rete Unitaria della PA. A che punto siamo su questo fronte?

    L’immagine di una PA del futuro, informatizzata, capace di trasferire know-how, di lavorare come un black box che mette a disposizione dati e informazioni, facendo perno sulla interoperabilità, è un valore essenziale che orienta il lavoro del Governo. Siamo consapevoli che si tratta di un disegno ambizioso che non è realizzabile senza un front office efficiente, che si interfaccerà con il sistema di black box, consentendo al cittadino di accedere alle informazioni che gli interessano attraverso una qualunque tecnologia: dal telefono alla televisione, dal computer allo sportello. Un ragionamento che vale per l’amministrazione dello Stato, ma anche per l’impresa, due facce complementari del sistema-Italia che sono al centro della nostra attenzione. Vorrei ricordare che l’Europa sta guardando con interesse al nostro lavoro e che l’Italia, non a caso, guida il gruppo di Reinventing Government.

    Gli imprenditori lamentano comunque i troppi adempimenti amministrativi. Come fare?

    Il progetto di semplificazione della prassi burocratica per le imprese, porterà ad un risparmio di circa 5 miliardi di dollari entro il 2012, pari al 25 per cento della spesa complessiva. Sarà un ulteriore passo avanti verso parametri di competitività che possono renderci più vicini alle performance di una società della conoscenza che può dirsi avanzata. Stiamo agendo su tre livelli: l’innovazione di processo e di prodotto, che deve essere connessa a indicatori specifici, come i brevetti, i volumi, i tempi di attuazione dei progetti, una dimensione più allargata dell’innovazione che guarda alla qualità del capitale umano e allo sviluppo della ricerca scientifica, che è il primo motore del cambiamento, i dati ambientali, che rappresentano quel brodo di coltura che costituisce l’acqua dentro cui fare nuotare e alimentare creatività, idee, proposte.

    Il ruolo della formazione


    Il quadro che lei traccia presuppone un immane lavoro sul terreno della formazione e delle competenze. Da dove bisogna partire?

    La tecnologia ha sempre più bisogno di contenuti reali. Questa esigenza è un elemento forte di sfida per le università e per tutto il sistema formativo, che devono essere in grado di dare ai giovani che si laureano in discipline umanistiche anche quelle capacità di governance dell’innovazione, che ci potrà consentire di stare al passo con i tempi. Sul fronte della scuola l’innovazione ha toccato i fondamenti, quindi il paradigma dell’insegnamento: non si tratta di insegnare come si usa il computer, ma di arricchire l’insegnamento con l’uso del computer, che entra nel metodo di acquisizione delle conoscenze. Abbiamo avviato un esperimento nelle prime classi delle medie con buoni risultati, rendendo più appealing la didattica e più vicina la società dell’informazione alla scuola e alle generazioni più giovani, che vivono in simbiosi con le tecnologie. Allo stesso modo stiamo lavorando sulla formazione dei dipendenti dello stato. Dall’organizzazione di tipo piramidale, che rispecchiava logiche e culture della società industriale, dobbiamo passare alle organizzazioni “a rete”, che in luogo delle gerarchie dovranno privilegiare gli asset relazionali e il capitale intellettuale.

    Si sente il bisogno di maturare una vision, uno sguardo di insieme che investa filosofia, tempi e modi del lavoro.

    Abbiamo soprattutto bisogno di cambiare il modo di lavorare. Per fare questo occorre introdurre il concetto di merito, che anni di disattenzione non ci hanno fatto introiettare a dovere. Abbiamo tradizionalmente identificato la valutazione con l’idea di punizione, anche se sappiamo bene quanto siano distanti le due cose. La Commissione Indipendente di Valutazione sull’efficienza dei dipendenti pubblici che abbiamo introdotto servirà a misurare risultati e output della PA. Il settore privato ha sempre avuto il mercato, quale “valutatore terzo”, mentre per il settore pubblico ci siamo fermati a un’indeterminata sensazione di soddisfazione per misurare qualità ed efficienza dei servizi. Con il DDl in discussione si avranno finalmente dei parametri oggettivi che consentiranno di intervenire e di correggere, prosciugando eventuali sacche di inefficienza. Alla base di tutto c’è un semplice principio: il tempo dei cittadini e delle imprese non è una risorsa illimitata, ma piuttosto un bene da tutelare.

    Oltre alla scuola, lei ha messo giustizia e sanità tra i primi “cantieri” dell’innovazione. Su cosa sta lavorando il suo dicastero?

    Senza servizi le tecnologie non bastano a generare innovazione. Del primo ambito ho già parlato. Sul fronte della sanità merita una citazione l’esperienza di Bologna, che ci ha dimostrato come sia possibile realizzare una piena interoperabilità tra gli ospedali dell’Emilia Romagna per gestire ricoveri, cartelle cliniche, consulti. Stiamo studiando l’estendibilità di questo modello a tutta la penisola. Anche nel campo della giustizia amministrativa stiamo ottenendo risultati interessanti, per il settore penale e civile bisognerà, invece, attendere ancora. Non ci illudiamo: rivoluzioni come quella dello sportello unico in Emilia, saranno visibili a poco a poco, con molta lentezza. Bisogna sapere aspettare, senza bruciare le tappe.

    Investimenti e Project Financing


    Infrastrutture informatiche e banda larga. Come si colloca l’Italia nella geografia dell’high tech?

    La larga banda è un grande volano di sviluppo tema del futuro. Entro il 2011 riusciremo, grazie a un bando concordato con i ministri Gentiloni e Lanzillotta ad avere una copertura del 100 per cento. Senza broadband ogni ipotesi di modernizzazione del Paese sarebbe vana. Su questo aspetto è interessante constatare alcuni fenomeni di digital divide che fanno riflettere. La regione Puglia, con il 93 per cento di penetrazione della larga banda, risulta la più tecnologizzata e, stranamente, la Lombardia, se si esclude il contesto di Milano, presenta invece molte zone “buie”. Compito del governo, sarà prima di tutto quello di attenuare il divario, rendendo appetibili anche le aree commercialmente meno interessanti, investendo in proprio per coprire il territorio italiano nella sua globalità.

    Una tecnologia riesce a essere vincente in quanto l’utente riesce ad avvalersene. Ma ci vogliono incentivi. Si batterà per avere più risorse nella prossima finanziaria?

    Bisogna spendere meno, focalizzando gli investimenti. Quando sono arrivato al ministero mi sono accorto che molte risorse destinate alla implementazione della tecnologia UMTS non erano state impiegate. A quel punto li ho riconvertiti in altre direzioni, chiedendo un impegno preciso per il rinnovo del contratto di lavoro del pubblico impiego, introducendo la valutazione, la premialità, i salari differenziati. L’innovazione deve entrare anche nella valutazione economica. Non abbiamo ancora iniziato il Project Financing nei servizi e nel software, dimenticando che potrebbe essere una strada interessante di collaborazione tra impresa e istituzioni. Il caso dei servizi e dello sviluppo del software potrebbe permettere di risparmiare risorse, rendendo più efficiente il sistema.

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