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    Necessario restare vicini alla frontiera tecnologica

    In vista delle celebrazioni per il 25mo anniversario dell’Edizione Italiana di MIT Technology Review, Il Sole 24 Ore intervista il nostro direttore, Alessandro Ovi.

    di Paolo Bricco, Il Sole 24 Ore

    «Devo ammettere che quando, a febbraio, a Boston la Mit Technology Review ha dedicato il suo editoriale alle smart company, ho provato una bella soddisfazione». Alessandro Ovi – specie rara di dirigente industriale italiano con solida formazione da tecnologo – usa questo episodio per spiegare il contributo dato dalla nostra cultura industriale al mainstream rappresentato dal Mit di Boston: l’innovazione non è solo disruptive, ma è anche smart.

    Ingegnere, l’11 e il 12 maggio a Bologna – l’11 al Mast e il 12 alla Villa Guastavillani dell’Alma Graduate School – festeggiate i 25 anni di una pubblicazione influente come Mit Technology Review Italia. Alla fine, è il nostro Paese ad avere “impollinato” l’ortodossia scientista e il razionalismo economico ultraschumpeteriano del Mit…

    Sì, è così. è merito della nostra cultura avere convinto gli americani che non esiste soltanto l’innovazione disruptive, che distrugge un equilibrio e crea un nuovo mercato con una sorta di violenza rigeneratrice. La forza rigeneratrice può anche essere espressa dalla componente smart, che significa innovazione incrementale e stile, nuovi processi e intuizione dei bisogni profondi della persona. Un fenomeno naturalmente più consono con lo spirito industriale di un Paese come il nostro, che non ha un numero elevato di grandi imprese e che non spende una quota rilevante del Pil in ricerca scientifica.

    Venticinque anni sono un pezzo importante della nostra storia. In questo periodo in Italia si è manifestata la crisi del paradigma della grande impresa, ma si è anche affermato un nuovo orgoglio industriale, basato sulle Pmi che dai territori si sono mosse verso le catene internazionali del valore.

    è così. Allo stesso tempo, si è anche manifestata da noi la necessità di rimanere vicini alla frontiera tecnologica più avanzata. Con la Mit Technology Review Italia abbiamo provato a fare esattamente questo. Non solo con la tradizionale rivista cartacea, che è stata la prima fuori da Boston, ma con il quotidiano online, le newsletter e gli incontri. Tutti questi strumenti servono a fare convergere le specificità italiane, magari poco visibili all’occhio della comunità internazionale, e le nuove dimensioni assunte dall’innovazione di più alto livello, che nel nostro Paese non si conoscono abbastanza.

    Questo mix è ben rappresentato dalla due giorni di Bologna.

    Ci saranno interventi di alcuni dei migliori scienziati italiani che lavorano a Boston. Da Carlo Ratti, specialista di società digitale, a Bruno Coppi, che si occupa di fusione nucleare, a Luca Daniel, che si dedica alla computer science. Al contempo, dieci giovani talenti italiani, in cinque minuti ciascuno, dovranno spiegare la loro progettualità tecnologico-industriale, a fini di business naturalmente.

    Quindi, toccherà alla premiazione di un numero considerevole di imprese. Non solo a grandi marchi del Made in Italy come Ferrari o a gruppi storici come Pirelli. Ma anche a nuove società.

    Sì. Molte caratterizzate dalla capacità di intercettare i grandi movimenti anticipatori dell’economia internazionale, come la Protocast di Avio impegnata nella rivoluzione della manifattura a 3D, o di applicare – in una funzione soltanto in apparenza micro – le innovazioni di alto livello: penso alla Zehus di Milano, con la bicicletta ibrida.

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