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    Medicina tradizionale e medicina olistica

    Proseguiamo la nostra inchiesta sulle eccellenze italiane nel campo della ricerca biologica e biomedica, incontrando il prof. Massimo Fioranelli, dal 2007 responsabile del Reparto di Cardiologia e del Laboratorio di Emodinamica/Cardiologia Interventistica della Casa di Cura Mater Dei, a Roma.

    di Gian Piero Jacobelli

    Il prof Massimo Fioranelli è un cardiologo tra i più reputati in Italia e all’estero, non soltanto per i suoi successi terapeutici, ma anche per la convinta adesione alla cosiddetta “medicina olistica”, vale a dire una medicina non alternativa, ma integrativa, che guarda alla salute come a un complesso equilibrio psicofisico e che, quando opportuno, impiega tutte le metodiche mediche, dalle più tradizionali alle più moderne, in un approccio personalizzato e personalizzante al paziente.

    Non a caso, accanto a varie discipline universitarie mediche e chirurgiche, ha insegnato e insegna anche Storia della Medicina, nel cui ambito ha pubblicato vari saggi (Ippocrate di Kos, con Pietro Zullino, Laterza 2008; Il Decimo Cerchio, appunti per una storia della disabilità, Laterza 2011; I Medici Eretici, con Maria Grazia Roccia, Laterza 2016).

    Anche il prof. Fioranelli, nonostante le numerose frequentazioni di istituti di ricerca estere – in particolare il Dipartimento di Cardiac Catheterization and Interventional Cardiology del Maimonides Medical Center di New York, il Dipartimento di Cardiology della Northwestern University di Chicago, la Divisione di Cardiology del Maimonides Medical Center e del Mount Sinai Medical School di New York – ha deciso di proseguire la sua attività professionale e di ricerca in Italia, perché sostiene che nel nostro paese si registra ancora e nonostante tutto una maggiore sensibilità per i valori della persona nel suo complesso.

    Prof. Fioranelli, prima di una nuova concezione della malattia deve venire, evidentemente, una nuova concezione della salute. Cosa significa oggi stare bene e, ovviamente, stare male?

    Il concetto di salute è strettamente connesso all’ambiente in cui vive un individuo, e, sostanzialmente, alla capacità di integrarsi con esso. L’individuo è in salute, il valere dei latini, quando, in modo autonomo e responsabile, riesce ad adattarsi alle difficoltà della vita.

    In questa definizione sono determinanti fattori soggettivi e personali, come età, sesso, e altri oggettivi come la localizzazione geografica. Inoltre la definizione di salute e quella di malattia sono relative all’epoca storica in cui un individuo vive. Nel definire la salute è necessario tenere conto della individualità di ogni persona, di ciò che è “normale” nel suo ambiente.

    Inoltre, il progetto di vita di ogni essere umano condiziona il suo stesso concetto di normalità. Quanto viene considerato normale per un individuo anziano può essere patologico per uno più giovane; quanto viene considerato patologico in un’area geografica, può essere normale in un’altra. Essenziale è l’individuo, con le sue necessità biologiche. Se ne deduce che la salute costituisce un concetto assolutamente relativo.

    Se la definizione di salute è basata su una riflessione critica circa la definizione di normalità, quella di malattia risulta altrettanto complicata e storicamente relativa. Dopo un epoca in cui i microbi hanno rappresentato l’essenza stessa della malattia, si è passati a valorizzare il concetto di costituzione e di ambiente. Oggi le manifestazioni della malattia sono concepite come un modo con cui l’organismo cerca di ritrovare un equilibrio perduto.

    Se la malattia non viene più attribuita essenzialmente a qualche fattore esterno, ma a una alterazione organica, come si trasforma conseguentemente la concezione di terapia?

    Se viene considerata come una entità esterna, autonoma rispetto all’organismo, la malattia comporta una metodologia di analisi e di intervento finalizzata alla ricerca di fattori eziologici. In generale viene privilegiata la nozione di organo malato piuttosto che quella di organismo.

    Questo processo è finalizzato unicamente alla eliminazione dei sintomi, considerati espressione essenziale della malattia, per cui nel rapporto medico prevale l’aspetto tecnico su quello umano.

    Al contrario, il modello funzionale/relazionale valuta la malattia come un evento dinamico, una reazione di difesa dell’organismo, una reattività endogena alla rottura di un equilibrio. Questo metodo considera indivisibile l’aspetto psichico da quello fisico e privilegia la nozione di organismo su quella di organo malato.

    Di conseguenza, il medico valuta in senso dinamico la malattia, rispetta il significato dei sintomi e consente al paziente di assumere un ruolo attivo nel processo curativo. La concezione di intervento terapeutico, secondo questo modello, implica una stretta cooperazione tra medico e paziente, un processo interattivo che può anche modulare le reazioni dell’organismo alla terapia.

    Il rilevo conferito alla dimensione psicologica e alla relazione tra medico e paziente in quale misura modifica la esigenza di presidi farmacologici, oggi per la verità spesso abusati?

    Attualmente la prassi dominante è fondamentalmente orientata a una valutazione della risposta biologica in termini di modificazione della materia, quindi della chimica, mentre trascura quella della energia. Il limite maggiore di questa metodologia, che peraltro comporta molti aspetti positivi rispetto al rozzo empirismo del passato, risiede nelle sue stesse categorie di giudizio.

    Oggi sappiamo che le frequenze elettromagnetiche sono molto più efficaci nel trasferire informazioni ambientali rispetto ai segnali fisici o chimici, come ormoni o neurotrasmettitori. Frequenze e configurazioni elettromagnetiche controllano la funzionalità del DNA e del RNA, la sintesi delle proteine, la regolazione dei geni, la divisione e la differenziazione cellulare, la secrezione ormonale.

    La chimica organica ha fornito dei grandi contributi alla biomedicina, ma i suoi testi non riconoscono ancora le acquisizioni della meccanica quantistica. Basse dosi di alcuni farmaci evocano risposte biologiche che la medicina tradizionale stenta a considerare plausibili, perché apparentemente al di sotto della dose minima considerata efficace. Ciò, nonostante vi siano documentazioni scientifiche dell’efficacia della cosiddetta low dose medicine, caratterizzata dalla efficacia biologica congiunta all’assenza di effetti collaterali.

    Non si tratta, quindi, solo di un diverso modo di pensare al rapporto tra salute e malattia, ma anche di un diverso modo di pensare al rapporto tra benessere e intervento terapeutico?
     

    Secondo Voltaire l’arte del medico consisterebbe nel distrarre il paziente fino al momento in cui la natura lo guarisce. Oggi invece si assiste a un fenomeno opposto: molte condizioni, considerate un tempo fisiologiche, come la nascita, l’invecchiamento, la stessa morte, sembrano suscettibili di intervento terapeutico.

    Per mantenere fecondo un mercato per certi versi saturo, si assiste a una manipolazione della domanda da parte di chi gestisce l’offerta. Non potendo promuovere i farmaci, si sono promosse le malattie, si sono medicalizzate condizioni che appartenevano all’evoluzione naturale della vita. Per esempio, nel campo dei fattori di rischio, ogni volta che si modificano al ribasso valori relativi a grandezze misurabili quali la pressione del sangue o la colesterolemia, automaticamente si fa crescere il numero degli individui per i quali è richiesto un intervento farmacologico.

    La classe medica ritiene di avere individuato nell’homo sapiens circa 40mila tra malattie, sindromi e disturbi. Per ogni malattia c’è una pillola; ma sempre più spesso per ogni nuova pillola c’è anche una nuova malattia. In inglese questo fenomeno ha già il suo nome: disease mongering, cioè la mercificazione delle malattie.

    In effetti, le Case farmaceutiche, le uniche oggi in grado di investire in ricerca, spendono più per il marketing che per l’innovazione. La sostenibilità economica è un problema a cui le politiche sanitarie di prevenzione e cura sono oggi indissolubilmente legate.

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