di Alessandro Ovi
L’edificio originario di MediaLabIl Media Lab è un posto dove il futuro non viene immaginato, viene vissuto. La sua caratteristica è quella di trovare modi di ricerca «trasgressiva», utili a comprendere l’impatto di tecnologie emergenti sulla vita di ogni giorno.
Senza i vincoli che vengono dalle discipline tradizionali, scienziati, ingegneri, artisti lavorano qui, in un ambiente del tipo atelier, su un grande numero di progetti (oltre 350) che vanno dal modo in cui i bambini imparano alle nuove batterie per le auto elettriche o al raccordo tra gli arti artificiali e il sistema nervoso.
Il 15 ottobre il Media Lab ha celebrato i suoi 25 anni di attività, che hanno disegnato una storia di continua evoluzione verso progetti sempre nuovi. Ma l’atmosfera che vi si respira non è cambiata.
Pare ieri, quando agli inizi degli anni Settanta, al MIT, dove studiavo ingegneria nucleare, un giovane professore greco faceva parlare di sè per le idee stravaganti che raccontava. Era Nicholas Negroponte. Aveva fondato l’Architecture Machine Group, un po’ laboratorio di ricerca e un po’ think tank, per studiare l’interazione tra uomo e computer. Già parlava di bits and atoms. Internet era ancora solo alla nascita, eppure in quelle due parole c’era già l’idea del Media Lab, che Negroponte sarebbe riuscito a far nascere nel 1985 con l’aiuto di Jerome Wiesner, straordinario presidente del MIT in quegli anni pieni di fermento.
Nicholas voleva, con il Media Lab, avvicinare il linguaggio del computer al cinema, alle visual arts, alla musica, alle scieze sociali, tutte discipline non presenti al MIT. La sua «visione» non solo affascinava, ma riempiva anche un vuoto.
Al centro dell’avveniristico edificio dell’architetto Pei, un ambiente di lavoro unico, uno spazio interno a forma di grande cubo nero, nel quale gruppi di ricerca lavoravano fianco a fianco ai progetti più diversi, la maggior parte dei quail dedicati al mondo digitale allora ancora molto misterioso. Laboratori fatti come salotti, con poltrone e divani, per rendere il dialogo tra tutti facile e naturale. Per la verità il cubo era stato progettato per performances artistiche, ma il fervore delle nuove idee portate a Negroponte da tutte le parti del mondo lo aveva presto riempito di ricercatori.
Diversissimo dal nuovo edificio del giapponese Maki, inaugurato quest’anno, tutto trasparente, invaso di luce naturale, che stranamente, però, si raccorda al vecchio senza soluzione di continutà. Due ambienti diversissimi, ma capaci di far crescere lo stesso desiderio di creatività e trasgressione in una continua evoluzione.
Il nuovo edificio dell’architetto MakiNell’ultimo decennio l’orizzonte del Media Lab si è molto allargato, come si può leggere nella cronaca della celebrazione del 25.mo anniversario in queste stesse pagine. Titoli di progetti completamente nuovi: Autismo e Tecnologie della comunicazione, Future Civic Media, Social Health Living, NETRA (Near Eye Tool for Refractive Assesment, che permette di effettuare analisi dell’occhio anche a distanza, tramite un telefono cellulare), MoD (Mobility on Demand, con RoboScooter, Greenwheel, CityCar) e tanti altri, tutti bene descritti in www.media.mit.edu.
A Nicholas abbiamo chiesto perché, nel mondo, solo qui, a Cambridge (Massachusetts), nel cuore del MIT, abbia potuto nascere e crescere un’avventura tanto straordinaria
La risposta è stata sorprendentemente semplice: «Il successo è certo legato alla natura creativa e costruttiva di tutto il MIT (Mens et Manus nel suo atto di nascita). Certo trae grande energia dai livelli di eccellenza in tutti i tipi di ricerca e nell’insegnamento dell’ingegneria. Ma il Media Lab ha potuto diventare quello che ormai tutto il mondo riconosce come “unico”, soprattutto grazie alla mancanza di resistenze “istituzionali” nelle sue componenti fondamentali, che quindi hanno lasciato mano libera alla collaborazione con le tecnologie digitali senza che si creassero resistenze o interferenze».
Presenze, quindi, ma soprattutto «assenze», percepite e sfruttate in modo esemplare come fattori di crescita di una esperienza forse irripetibile. Bravo Nicholas.