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    Media Lab, modello open innovation

    Intervista con Frank Moss, direttore del Media Lab del MIT.

    di Alessandro Ovi

    Il Media Lab continuerà a mantenere un approccio originale all’innovazione?

    Il nostro modo di considerare l’innovazione rimarrà quello classico del Media Lab: anticonvenzionale, senza limiti e remore di alcun tipo. Abbiamo costruito la nostra reputazione esaminando liberamente le tecnologie tradizionali e mescolando componenti artistiche, tecniche e scientifiche per non limitarci ad avere un’idea su come il mondo potrà essere nei prossimi dieci anni, ma offrire modelli efficaci per mostrarne lo sviluppo.

    Il Media Lab di oggi si sta muovendo in una nuova direzione promettente che fa perno sull’universo 2.0, l’era imminente in cui la tecnologia avrà un impatto ancora più profondo sulle persone. Siamo impegnati su fronti disparati che spaziano dalla biomeccatronica alle neuroscienze, dalle reti di sensori alla musica digitale e ai robot che apprendono dalle persone, un tipo di ricerca che arriverà a modificare il nostro concetto di essere umano. Sono profondamente convinto che questa ricerca avrà un impatto sulla società simile, se non superiore, a tutto ciò che è stato realizzato dal Media Lab in passato.

    L'”innovazione aperta” rimane ancora un buon modello per il futuro?

    Senza alcun dubbio. Oggi più di prima. Tutti i finanziatori del Lab a livello del consorzio, o più alto, hanno accesso libero alla proprietà intellettuale del Lab, dando vita a un ambiente creativo e aperto a contributi di diverso tipo non solo per le collaborazioni tra docenti, studenti e sponsor, ma anche per i contatti tra i vari sponsor.

    È interessante notare come, negli ultimi anni, il modello condiviso di R&S aziendale stia uniformandosi al nostro approccio. Di fronte a un’economia globalizzata, altamente concorrenziale e spesso imprevedibile, le aziende stanno progressivamente abbandonando il limitato modello tecnologico della R&S interna. Un patrimonio di proprietà intellettuale legato solamente al consumo in ambito aziendale e protetto gelosamente può diventare una seria limitazione allo sviluppo innovativo. Se un’azienda ha bisogno di una specifica tecnologia, potrà rivolgersi probabilmente a una start-up in qualche parte del mondo. Le aziende che non trarranno vantaggio da ciò che è stato definito il «bazar dell’innovazione globale» sono destinate a rimanere indietro.

    Il nuovo modo di esportare la cultura del Media Lab si svilupperà attraverso le reti sociali, invece di creare centri satellite all’estero?

    Credo che il Media Lab abbia compreso dalle sue passate esperienze che non è realmente possibile «clonare» la nostra struttura in altri siti mondiali. Non dobbiamo metterci in situazioni in cui siamo la società esterna di gestione. Rimango però fermamente convinto che la collaborazione internazionale sia di fondamentale importanza. Le reti sociali rappresentano indubbiamente un buon approccio, ma è necessario costruire altri ponti che ci mettano in collegamento con ricercatori e aziende nel resto del mondo.

    Un modello positivo è rappresentato dalla nostra collaborazione con l’Industrial Technology Research Institute (ITRI) di Taiwan. Lavorando con il nostro consorzio NEXT, ITRI mette in collegamento il Media Lab con un gruppo di aziende di Taiwan impegnate in diversi settori. Queste aziende condividono le strategie di ricerca interna con il Media Lab, sostengono i borsisti ed esplorano vie originali per integrare le loro attività a quella che Robert Weisman del «Boston Globe» definisce «una miscela pura di funzionalità e stile del Media Lab».

    Come sono cambiati nel corso degli anni i rapporti con i finanziatori?

    Penso che stiamo entrando sempre più in sintonia con le esigenze di chi ci finanzia e stiamo mettendo in opera cambiamenti positivi che consentono ai nostri sponsor di ottenere di più dalla relazione stretta con il Media Lab. Di recente abbiamo istituito un «sistema amico», in cui ogni finanziatore fa riferimento a un responsabile universitario che aiuta l’azienda a definire i punti di contatto tra il suo campo d’azione e la ricerca al Lab. Abbiamo sempre avuto molto da offrire ai nostri finanziatori, ma a volte non siamo stati sufficientemente bravi a garantire un facile accesso alle nostre proposte innovative. Speriamo di avere ora in mano la strategia vincente nelle relazioni tra industria e ricerca di base universitaria.

    Quale sarà il contributo del nuovo edificio del Media Lab al processo d’innovazione?

    Siamo tutti elettrizzati all’idea che quest’anno partiranno i lavori per il nuovo edificio, progettato dal vincitore del premio Prikter, l’architetto giapponese Fumihiko Maki. L’edificio a sei piani, che occupa oltre 50.000 metri quadrati, sarà un esempio di architettura aperta, adattabile, stile atelier, ideata specificamente per garantire la flessibilità necessaria a fronteggiare le diverse priorità di ricerca, di volta in volta emergenti. Gli alti livelli di trasparenza all’interno dell’edificio renderanno ben visibile la ricerca in corso, incoraggiando relazioni e collaborazioni tra ricercatori. Ritengo che questo stimolante spazio aperto sia un ingrediente essenziale per un approccio originale del Media Lab all’innovazione di pubblico dominio e che il nuovo edificio sarà l’ambiente ideale per espandere la nostra azione di ricerca oltre i confini tradizionali e anche per rafforzare i nostri legami con gli sponsor aziendali.

    Il Media Lab contribuisce maggiormente al successo del MIT con una strategia di integrazione o giocando un ruolo da precursore, per certi versi trasgressivo?

    In realtà il Media Lab, per quanto riguarda il MIT, è impegnato su tutti e due i fronti. La particolare natura ribelle del Lab è stata l’elemento chiave che ci ha permesso di «pensare fuori dal coro», consentendoci di andare oltre i tradizionali confini disciplinari. Ma credo allo stesso tempo che sia necessario per noi «avere contatti positivi con tutti gli altri» al MIT, per fornire ai nostri finanziatori un’idea del funzionamento degli altri laboratori e dipartimenti del MIT che potrebbero suscitare il loro interesse e, forse ancora più importante, per definire insieme le strategie migliori di fronte ai complessi problemi globali in modo da esercitare il maggior impatto possibile per cambiare in meglio il mondo.

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