L’OMS ha bisogno di più denaro e potere, non di meno

Le iniziative del presidente degli Stati Uniti contro l’OMS sono pericolosamente fuorvianti e non tengono conto del fatto che la pandemia avrebbe avuto conseguenze di gran lunga peggiori se non fosse stato per le azioni intraprese dall’Organizzazione mondiale della sanità negli ultimi mesi.

di Charles Kenny

Il presidente Donald Trump ha annunciato di aver bloccato  i finanziamenti statunitensi all’OMS. Al di là della legittimità della sua azione, si tratta, come apertamente dichiarato da Bill Gates e da numerosi leader mondiali, di una decisione priva di senso.

L’OMS ha iniziato a pubblicare quotidianamente “rapporti sulla situazione” sulla covid-19 il 21 gennaio, quando c’erano solo 282 casi confermati in tutto il mondo. In quella fase iniziale, aveva già creato linee guida provvisorie per la diagnosi di laboratorio, la gestione clinica, la prevenzione e il controllo delle infezioni e la comunicazione del rischio. A metà febbraio, l’organizzazione stava inviando dispositivi di protezione individuale ai paesi in via di sviluppo meno attrezzati.

Il 14 febbraio ha iniziato a inviare kit di test di laboratorio per la covid-19 in 56 paesi; entro la fine del mese, ha raggiunto 93 paesi. Ha compilato un registro di centinaia di studi clinici e ha lavorato per creare un protocollo di riferimento per tali studi. Il risultato è stato un megatrial globale, chiamato Solidarity, che è stato lanciato il 20 marzo, nel quale è previsto l’utilizzo dei dati degli ospedali in decine di paesi per valutare l’efficacia di quattro farmaci che potrebbero rallentare o sconfiggere il nuovo coronavirus. 

Questo tipo di approccio globale è cruciale in una pandemia: gli studi devono essere fatti sul campo
Se efficaci misure di sanità pubblica controllano un focolaio in un’area prima che siano raccolti sufficienti dati, diventa molto più difficile capire se i farmaci funzionano o no: è importante essere in grado di combinare i dati raccolti da diversi punti di crisi mentre il contagio si diffonde.

Questo non vuol dire, comunque, che l’OMS abbia sempre fatto la cosa giusta al momento giusto. Per esempio, non ha dichiarato una “emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale” fino al 30 gennaio, dopo che l’epidemia si era diffusa in 19 paesi e il numero di contagi conosciuti aveva superato le 8.000 persone. Non ha neanche dichiarato lo stato di pandemia fino all’11 marzo, una data che in molti ritengono tardiva.

Errori simili lasciano due strade aperte. O, come Trump, decidere che organizzazioni multilaterali come l’OMS sono inadeguate a una grave crisi ed è quindi necessario tornare a un ordine internazionale in cui gli stati-nazione sono le uniche potenze significative. O essere coscienti che in un mondo interconnesso abbiamo bisogno di istituzioni globali forti.

In realtà, non c’è scelta: l’OMS deve avere più autorità, non meno. 

L’organizzazione dovrebbe essere dotata di maggiori strumenti per indagare in modo indipendente sugli scoppi delle epidemie e di risorse per fornire un supporto rapido nelle zone interessate. L’OMS dovrebbe anche essere in grado di finanziare e coordinare lo sviluppo e l’implementazione globale di test, attrezzature, trattamenti e vaccini e dovrebbe poter fare affidamento sulla collaborazione di altre organizzazioni delle Nazioni Unite per limitare i costi economici di un’epidemia. L’OMS ha molti di questi poteri sulla carta, ma non ha i finanziamenti sufficienti.

Nello specifico, molti dei suoi paesi membri hanno bisogno di più soldi per il monitoraggio delle malattie per rilevare i focolai prima che il contagio si diffonda. E’ necessario un sostegno più coordinato per lo sviluppo e l’implementazione in tempi brevi di test, terapie e vaccini per le pandemie e le infezioni potenzialmente pandemiche. Le somme coinvolte non sono ingenti: nel 2016 la Commission on a global health risk framework for the future ha stimato che una spesa globale annua aggiuntiva di 4,5 miliardi di dollari sarebbe sufficiente per affrontare le carenze più urgenti nella sicurezza sanitaria globale.

Ma i paesi membri hanno pianificato il bilancio principale dell’OMS negli anni 1980. E dal 1993 in poi, la crescita nominale è stata pari a zero, senza tenere conto dell’inflazione. Una buona parte del bilancio dell’OMS dovrebbe provenire da contributi obbligatori di un’ampia base di paesi anziché da donazioni di un modesto numero. Attualmente l’80 per cento dei suoi finanziamenti proviene da “contributi volontari” oltre a ciò che i membri sono tenuti a pagare come condizione di adesione. 

Gli Stati Uniti sono stati di gran lunga il principale donatore negli ultimi anni. Nel 2018, l’anno più recente per il quale sono disponibili statistiche complete, gli Stati Uniti hanno finanziato il fondo generale dell’OMS con 281 milioni di dollari, rispetto ai 6,3 milioni della Cina. Nei loro interventi sul territorio, i dirigenti dell’OMS hanno dovuto attenersi a un sottile equilibrio, rispondendo alle inevitabili pressioni politiche che l’organizzazione deve affrontare come  organismo delle Nazioni Unite finanziato dai governi nazionali. 

La Cina ha tenuto nascoste le informazioni sulla covid-19 e arrestato chi le diffondeva. L’OMS è stata lenta a negoziare una missione in Cina per studiare l’epidemia e Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS, ha elogiato la risposta della Cina mentre cercava di ottenere l’approvazione per la missione. Inevitabilmente, c’è stata l’alzata di scudi di chi non condivideva questa linea soft nei confronti della Cina.

Alcune di queste critiche fanno eco a quelle seguite alla risposta poco brillante dell’OMS allo scoppio dell’Ebola nell’Africa occidentale del 2014, che ha ucciso oltre 11.000 persone in Guinea, Liberia e Sierra Leone. Un panel internazionale istituito dall’OMS dopo la crisi dell’Ebola ha richiesto dei cambiamenti in modo che l’organizzazione potesse agire in modo indipendente e senza compromessi. Questo piano avrebbe dovuto dare all’OMS più potere e denaro.

Un audit interno nel maggio 2019 ha rilevato che la maggior parte delle riforme raccomandate erano rimaste lettera morta. Secondo la stesso OMS, il suo programma di emergenza sanitaria, creato per guidare la risposta alle epidemie dopo la crisi dell’Ebola, è sistematicamente sottofinanziato e non è all’altezza delle situazioni. L’OMS afferma inoltre che molti paesi non si assumono le proprie responsabilità ai sensi dei regolamenti sanitari internazionali, un trattato internazionale apparentemente vincolante che l’OMS dovrebbe applicare e che è stato concordato da quasi tutte le nazioni sulla terra.

Date queste carenze, alcuni potrebbero sostenere che sia giusto abbandonare le istituzioni internazionali e fare affidamento su alternative unilaterali. Ma ci sono molti problemi irrisolvibili con un’azione non coordinata da parte degli stati-nazione, a meno che i confini siano permanentemente chiusi. I divieti di viaggio non possono proteggere i paesi collegati. 

Ignorare la collaborazione internazionale, per esempio sulle apparecchiature di collaudo, ha comportato ritardi e morti. Lo sviluppo, il test e il lancio di vaccini e cure coinvolge già reti di scienziati e aziende in tutto il mondo, con il coordinamento dell’OMS. Solo un ente internazionale ha la credibilità e la fiducia globali per garantire che le informazioni vengano divulgate. Anche se la missione congiunta OMS-Cina avrebbe dovuto svolgersi prima, è stata la prima fonte di dati affidabili sull’epidemia e sulla risposta a Wuhan.

In un momento di relazioni internazionali tese, l’OMS svolge un ruolo insostituibile come mediatore credibile. Al di là degli errori su Ebola e delle incertezze nel gestire l’attuale crisi, ci sono anche importanti successi da ricordare. L’OMS ha svolto un ruolo centrale nell’eradicazione del vaiolo, con il sostegno degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, anche nel mezzo della guerra fredda. Questa è stata la lotta di maggior successo contro le infezioni globali nella storia umana. 

Tutte le organizzazioni internazionali devono affrontare sfide di governance e dovrebbero essere dotate di più risorse. Non è solo nel caso delle pandemie che abbiamo bisogno di un maggiore coordinamento globale e di più rispetto per le organizzazioni internazionali. Una maggiore aderenza al protocollo di Kyoto e l’accordo su un trattato vincolante per ridurre le emissioni di gas a effetto serra avrebbero contribuito, per esempio, a rallentare i cambiamenti climatici. La globalizzazione è oggi una realtà e il nostro benessere è sempre più determinato da problemi irrisolvibili entro i confini nazionali. 

Charles Kenny è direttore della tecnologia e dello sviluppo presso il Center for Global Development e autore di Close the Pentagon: rethinking national security for positive sum world.

(rp)

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