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    L’ingegneria nella competizione globale

    di Alessandro Ovi 06-02-04

    Da più di mezzo secolo le scuole di ingegneria americane godono di una indiscussa e più che giustificata fama, sia nell’insegnamento sia nella ricerca.

    Grazie all’insieme di queste due qualità sono il più importante punto di attrazione per i migliori cervelli science and technology oriented da tutto il mondo.

    All’origine di tutto ciò sta la grande, continua crescita del settore industriale degli Stati Uniti che, per decenni, ha alimentato la domanda di ingegneri e quindi delle grandi università di ingegneria. Queste, le varie Stanford, MIT, Cornell, Georgia Tech eccetera, hanno a loro volta fornito le risorse più importanti per lo sviluppo industriale ed economico, quelle dei ricercatori, dei progettisti, degli innovatori e dei leaders.

    Ora però, forse, le cose stanno cambiando. Le produzioni industriali, anche le più avanzate, vengono già da tempo trasferite in paesi emergenti, soprattutto in Cina; ora cominciano a essere trasferite, utilizzando personale locale, anche le attività di progettazione e perfino quelle di ricerca.

    Si sta quindi prospettando il rischio che il diventare ingegnere negli Stati Uniti non sia più così attraente di fronte alla concorrenza dei laureati dei grandi paesi dell’Asia, di buona qualità e allo stesso tempo di bassissimo costo. Infatti, se prendiamo la situazione delle più importanti aziende europee di microelettronica, vediamo che i loro ingegneri, fatto 100 il costo negli Stati Uniti, costano mediamente 70 (pur con notevoli differenze interne) nell’Europa dei Quindici, 38 a Singapore, 29 in Polonia, 18 in Cina.

    Ricordiamo poi alcuni dati: come conseguenza, nella rapidissima crescita delle esportazioni dalla Cina, la quota dei prodotti tessili, che era tradizionalmente la più importante, è stata raggiunta nel 2001 da quella di prodotti elettronici, e questa, a fine 2003, è già diventata tre volte più alta. L’export cinese vede quindi una vera e propria esplosione di prodotti a elevato contenuto di tecnologia e quindi di lavoro di tecnici molto qualificati e di ingegneri.

    L’eccellenza tecnologica da sola non basta più.

    Bisogna rafforzare propensione all’innovazione,

    imprenditorialità e leadership, indispensabili per operare

    su scala globale.

    In parallelo il numero di laureati in ingegneria sia in Cina sia in India ha superato quello di Europa e Stati Uniti e cresce con un tasso molto più alto.

    Grandi aziende come IBM negli Stati Uniti o Siemens e STM in Europa si apprestano a massicce assunzioni di ingegneri in Asia, limitando al massimo quelle in Stati Uniti ed Europa. Se si pensa che una regola di massima dice che ogni lavoro di un ingegnere ne produce sette in settori produttivi correlati e nei servizi, si capisce bene quali siano le radici del problema della crescita economica senza generazione di nuova occupazione. I maggiori leaders delle grandi università di ingegneria americane stanno seriamente ponendosi il problema di che fare per evitare un deterioramento, forse anche rapido, della situazione .

    «Technology Review» ne ha discusso in un seminario alla Carnegie Mellon University di Pittsburg, durante la riunione dell’Advisory Board della Scuola di Ingegneria dell’Università, con i presidi di ingegneria di Stanford, Duke, Georgia Tech e Pennsylvania State.

    Le domande cui si è tentato di dare una risposta sono:

    – come insegnare agli ingegneri a essere «globali»;

    – cosa dare loro perché possano essere in grado di mantenere il loro lavoro;

    – come dare loro una «intelligenza non freddamente tecnologica, ma emotiva».

    Il primo punto da comprendere è quali modifiche debbano essere apportate ai piani di studio per evitare il deterioramento del potenziale dei laureati in ingegneria.

    Il secondo è che cosa questo significhi per le assunzioni e per lo sviluppo delle carriere.

    La modifica dei piani di studio deve partire dalla constatazione che il mondo delle grandi società globali americane è assai piu internazionalizzato di quello delle università. Questo ovviamente richiede una correzione; è necessario esporre gli studenti a una cultura più larga, pur senza diluire le risorse dedicate a insegnare quanto si sa fare al più alto livello e proviene dalla ricerca.

    Richiede anche la consapevolezza che la «fuga dei cervelli» verso gli Stati Uniti è un fenomeno ancora ben presente, ma forse è a un punto di picco, e probabilmente per i paesi come Cina e India non è più vero come in passato. Esiste, fatto molto recente, un problema di maggiori controlli alla emigrazione verso gli Stati Uniti, conseguenza del modo in cui è stata impostata la guerra al terrorismo.

    è pur vero tuttavia che un docente indiano e uno cinese, presenti al seminario, hanno sostenuto che oggi a studiare negli gli Stati Uniti non sono più i loro studenti migliori ma quelli più ricchi e che un laureato alla Università di Pechino ha più probabilità di fare una buona carriera in Cina di uno proveniente da MIT o Stanford.

    La missione delle università, perciò, diventa quella di accoppiare a insegnamenti legati alla vicinanza con poderose strutture di ricerca, insegnamenti di cultura internazionale delle implicazioni etiche e politiche del progresso tecnologico. L’eccellenza tecnologica da sola non basta più; bisogna rafforzare propensione all’innovazione, imprenditorialità e leadership indispensabili a un livello superiore di competitività quando si deve operare su scala globale.

    Biogna avviare un processo di educazione permanente e far crescere una grande e continua capacità di adattamento.

    Bisogna diffondere la cultura del rispetto della proprietà intellettuale, saper premiare i processi leciti di trasferimento tecnologico, accrescere la capacità di immaginare e realizzare spin offs imprenditoriali delle proprie tecnologie. Bisogna soprattutto concentrare i propri sforzi nei settori dove è più grande l’orizzonte delle cose nuove da scoprire, come le biotecnologie e le nanotecnologie.

    In caso contrario si corre il rischio della comoditization of engeneering, ovvero del vedere lentamente gli ingegneri diventare i nuovi colletti blu della globalizzazione.

    Ma non si tratta di cose facili da realizzare.

    è ben chiara la consapevolezza che gli ingegneri laureati nelle grandi università americane, dotati di una buona consapevolezza della complessità del mondo, potranno continuare a essere un grande risorsa per la crescita; così come è chiaro che questi laureati avranno vantaggi reali sugli altri di fronte a problemi di innovazione e di progettazione di sistemi complessi.

    Come inserire in un programma di studi la «consapevolezza globale» o il «senso degli altri»: questo è il vero problema.

    Una prima risposta sta nell’offrire agli studenti la opportunità di passare periodi in università straniere, di rafforzare gli insegnamenti in lingue europee e asiatiche, di offrire corsi in materie di politica e regolamentazione internazionale.

    I programmi della Carnegie Mellon già prevedono una ampia offerta di corsi di questo tipo, come lo fanno molte delle grandi università.

    La caratteristica di questi corsi è di essere interdisciplinari e project based. Project based significa privilegiare, rispetto al puro trasferimento di conoscenze, la capacità di affrontare in modo ordinato i problemi e risolverli con un ampio ventaglio di conoscenze; affrontare con strumenti analitici e con studi di casi a elevato contenuto di valutazioni soggettive, i temi del giudizio, della decisione e della comunicazione dei risultati.

    Un progetto formativo ambizioso, che tende a formare ingegneri adatti non solo a far parte di una catena di progettazione, ma anche a interagire e a guidare risorse provenienti da culture lontane.

    Al seminario, tuttavia, è stata ben chiara la sensazione che sul fronte di una reale integrazione della cultura della internazionalizzazione e della integrazione interdisciplinare con la cultura tecnologica si sia solo agli inizi e che ci sia ancora un grande lavoro di affinamento da svolgere.

    Su questi punti è emersa una importante sintonia con quanto si sta facendo in Europa.

    Nel marzo 2001, infatti, il Consiglio Europeo aveva preso atto del fatto che l’Unione Europea si trovava di fronte a una svolta speciale risultante dalla globalizzazione e dalle sfide presentate dalla economia fondata sulla conoscenza. Si era quindi adottato un obiettivo strategico forte, estremamente ambizioso, quello di «fondare sulla conoscenza l’economia europea e farla diventare l’economia più competitiva e dinamica del mondo…».

    A Lisbona si era affermato che un tale cambiamento tanto radicale richiedeva un programma di profonda modernizzazione dei sistemi di istruzione e di formazione, soprattutto delle discipline scientifiche e tecnologiche.

    Nel marzo 2001 il Consiglio Europeo ha adottato tre obiettivi strategici da raggiungere nella prospettiva del 2010: i sistemi di formazione e di istruzione dovranno unire qualità, accesso e apertura al mondo.

    Il problema oggi è verificare a che punto siamo in questo cammino definito «Istruzione e Formazione 2010». Il processo di benchmarking europeo adottato per questa verifica nel 2003 sarà in gran parte difficile da raggiungere entro il 2010. Ancora non vi è alcun segno sostanziale dell’aumento degli investimenti richiesti per la formazione e la ricerca.

    In proposito è triste vedere che l’Unione Europea continua quindi a a registrare, in tale ambito, un serio ritardo rispetto ai grandi attori a livello mondiale e la Commissione Europea ritiene indispensabile che si debba agire fin d’ora su quattro linee prioritarie:

    – costruire l’Europa della Istruzione come si è fatto con il Mercato Unico, la Moneta e si sta facendo con lo Spazio Comune di Ricerca;

    – fare del metodo aperto di coordinamento, nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà, lo strumento per la formulazione delle strategie di sviluppo delle politiche nazionali in un ambito europeo coerente;

    – concentrare le risorse e gli investimenti sui punti critici di ciascun paese;

    – assicurare un pari accesso a tutti, e aprire quanto più possibile la possibilità di educazione a tutto il mondo.

    Siamo in una situazione strana perché la percezione del problema e della sua gravità sono molto chiare, ma la reazione, le decisioni conseguenti, i trasferimenti di risorse sono ancora molto deboli.

    è evidente che su questo punto la convergenza di vedute, la complementarità, per molti aspetti rilevante, di Europa e Stati Uniti sono molto forti. Ed è bene che vadano avanti assieme.

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