L’idrogeno nella nuova Europa

La produzione e l’utilizzo di idrogeno pulito potrebbero dare un contributo importante al processo di transizione energetica europeo delineato dal Green Deal.

di Andris Piebalgs

Il Coronavirus rappresenta una sfida senza precedenti per l’umanità. Incide sul nostro stile di vita, sulla nostra governance e sulle nostre economie e, insieme al cambiamento climatico, crea una “tempesta perfetta”. I blackout avvenuti di recente e l’impatto che hanno creato sulle popolazioni rappresentano un segnale di allarme che ci chiede di affrontare con urgenza i problemi riguardanti il clima. Il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC) ritiene che il mondo abbia dieci anni di tempo per ridurre del 50 percento le emissioni di gas serra. 

Purtroppo, come si può osservare, la cooperazione internazionale non sta rispondendo adeguatamente a queste due sfide. Le divergenze relative all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e le controversie nate in seguito all’annuncio della Russia di avere un vaccino per il Coronavirus ne sono solo alcuni esempi.

La pandemia e il suo impatto sulle economie ha messo in ombra l’urgenza delle azioni per il clima. In tempi di incertezza, la leadership è fondamentale. L’Unione europea potrebbe fornire questa leadership procedendo con successo verso il suo obiettivo annunciato di realizzare entro il 2050 un’economia “carbon neutral”, ovvero a emissioni zero. Poiché l’energia è un fattore trainante dell’economia e anche la maggiore fonte di emissioni di gas serra, la transizione energetica rappresenta un elemento chiave del Green Deal; ma la pandemia sta producendo un enorme impatto sul settore energetico.

L’attuale calo della domanda energetica è il più forte mai registrato in 70 anni, tanto che si calcola che il contraccolpo causato dal Coronavirus sia sette volte maggiore di quello della crisi finanziaria del 2008-2009. Secondo le stime dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), nel 2020 la domanda di energia sarà inferiore di almeno il 6 percento rispetto all’anno precedente.  Gli investimenti nell’energia sono calati di 400 miliardi di dollari, il che corrisponde a una riduzione del 20 percento.

La domanda di elettricità dell’UE aveva già subìto una flessione del 3 percento nel primo trimestre dell’anno con una diminuzione del 20 percento dell’impronta di carbonio della generazione elettrica, e le fonti energetiche rinnovabili hanno raggiunto una quota pari al 40 percento nel mix energetico. In questo scenario dominato da una scarsa domanda, i crescenti flussi di energia rinnovabile intermittente vanno gestiti. I prezzi sul mercato del giorno prima dell’energia e i prezzi del gas sono crollati

I numeri in crescita delle infezioni da Coronavirus in tutto il mondo e il tempo che occorrerà per completare la vaccinazione delle varie popolazioni fanno chiaramente escludere la possibilità di una piena ripresa nel 2021 e vi sono dei dubbi anche su una curva a U della ripresa. In alcune aree del mondo lo shock potrebbe essere permanente. I governi stanno mettendo a disposizione ingenti pacchetti per la ripresa, da molti considerati una buona opportunità per raggiungere contemporaneamente tre obiettivi: rilanciare le economie, creare posti di lavoro e migliorare l’ambiente.

Secondo la IEA bisognerebbe effettuare degli investimenti pubblici per aumentare l’efficienza energetica degli edifici, incrementare la capacità di generazione di energia elettrica solare ed eolica e modernizzare e digitalizzare le reti elettriche. Senza voler mettere in dubbio l’impatto positivo che i pacchetti per la ripresa potrebbero produrre, è necessario riconoscere che si tratta di misure temporanee e che non permetteranno necessariamente un cambiamento sostenibile.

Durante la crisi finanziaria si è verificata una notevole riduzione delle emissioni di gas serra e sono stati implementati dei pacchetti per la ripresa, ma dopo un paio di anni le emissioni hanno ripreso a crescere più rapidamente che nel periodo precedente alla crisi. Nel 2020 potremmo assistere a un calo dell’8 percento delle emissioni di gas serra a livello mondiale, ma questa riduzione sarà insostenibile se non avverrà un cambiamento strutturale nel settore energetico. Gli elementi fondamentali sono due: i mercati dovrebbero ricompensare le emissioni ridotte di gas serra e saranno necessari maggiori investimenti nella ricerca sull’energia decarbonizzata.

Il sistema di scambio delle quote di emissione dell’UE (UE ETS, dall’inglese Emissions Trading System) ha risposto ragionevolmente allo shock del Covid-19: dopo un calo iniziale, il prezzo delle quote di emissione ha recuperato piuttosto rapidamente fino a raggiungere il livello del 2019. L ’UE ETS, rafforzato dalla riserva stabilizzatrice del mercato, può fare aumentare significativamente il prezzo delle quote.

Poiché si tratta di un meccanismo alquanto complesso (che prevede anche una politica sulla cancellazione e sugli incrementi del ritmo al quale il tetto delle emissioni diminuisce), la sfida consiste nella prevedibilità dei prezzi. In più, il sovrapporsi delle politiche, come quelle sugli obiettivi relativi alle energie rinnovabili e all’abbandono del carbone, ora ha conseguenze dirette sulle emissioni complessive previste dall’ETS. Esistono buone probabilità che nella prossima revisione dell’UE ETS venga presa in considerazione la possibilità di aumentare il fattore di riduzione lineare allo scopo di allinearlo con il tetto minimo/massimo del prezzo target per il 2050.

Una maggiore prevedibilità del prezzo delle quote di emissione incoraggerebbe gli investimenti in tecnologie pulite e nell’innovazione. Anche un’estensione dell’ETS ad altri settori, come l’edilizia e i trasporti, potrebbe svolgere un ruolo importante. La strada verso l’obiettivo del Green Deal dell’UE necessiterà di nuove norme, che non dovrebbero sostituirsi al mercato ma piuttosto focalizzarsi sulle sue falle.

Il settore ricerca e sviluppo è un elemento cruciale della transizione energetica. Occorrono finanziamenti pubblici e privati più consistenti e più mirati. Dei 17 miliardi di dollari di investimenti pubblici a livello globale, quasi tre quarti sono destinati alle energie rinnovabili, al nucleare e all’efficienza energetica. Lo stoccaggio, lo sviluppo delle reti e l’idrogeno soffrono di investimenti insufficienti, ma tutti i vettori della transizione energetica hanno bisogno di investimenti adeguati, in assenza dei quali la transizione non sarà completa. Un impegno verso il cambiamento esige delle azioni, e una delle azioni prioritarie consiste nel finanziare ampiamente nel settore della ricerca in materia di energia.

In Europa si evidenzia una chiara tendenza verso un aumento costante della quota elettrica all’interno del consumo energetico finale, una tendenza che si osserva anche a livello globale. Secondo Deloitte, entro il 2030 un terzo delle nuove vetture vendute in tutto il mondo sarà costituito da vetture elettriche. Ciò significa che occorrono massicci investimenti nelle reti elettriche. La Rete europea dei gestori dei sistemi di trasmissione di energia elettrica (European Network of Transmission System Operators for Electricity – ENTSO-E) stima che entro il 2040 l’UE avrà bisogno di 93 GW di capacità di interconnessione in più, dei quali 50 GW dovranno essere operativi già entro il 2030.

La quota elettrica nel consumo energetico finale potrebbe crescere fino a passare dall’attuale 23 percento al 40-60 percento entro il 2050, imponendo a numerosi settori industriali e dei trasporti di trovare soluzioni alternative. L’acciaio, il cemento e i prodotti chimici hanno cicli di investimento pluridecennali, pertanto nei prossimi dieci anni dovrebbero già venire adottate nuove tecnologie.

Per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 occorre investire in tutte le strade che ci possono condurre a questo risultato: energie rinnovabili, efficienza energetica, stoccaggio, tecnologie di cattura, stoccaggio e utilizzo del carbonio (carbon capture, storage and utilisation – CCSU) e reti elettriche. Allo stesso tempo, affinché la transizione sia economicamente efficiente, la composizione del portafoglio dovrà essere ottimale. Ciò significa che il fondo per la ripresa “Next Generation EU” di 750 miliardi di euro e il quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021 2027 di 1.000 miliardi di euro dovrebbero prioritariamente essere destinati ai settori per i quali la decarbonizzazione si presenta più difficoltosa, permettendo così ai mercati e agli attori dei mercati di concentrarsi su quelli meno complessi.

È in corso un serio cambiamento nelle strategie aziendali a favore di investimenti sostenibili nell’azione per il clima. La “Licenza a operare in modo sostenibile” richiesta dalla società civile e i rischi legati al cambiamento climatico indicano questo approccio come la via da seguire. Un valido esempio è costituito dal Piano strategico a lungo termine al 2050 di Eni, che prevede degli obiettivi al 2050 di riduzione dell’80 percento delle emissioni assolute e una forte crescita delle energie rinnovabili nel suo portafoglio. Di recente anche BP ha annunciato i suoi piani di sviluppare entro il 2030 50 GW di capacità di generazione che sfrutta fonti rinnovabili e di decuplicare i suoi investimenti nelle tecnologie a basse emissioni di carbonio fino a 5 miliardi di dollari all’anno.

Dopo l’accordo su un fondo per la ripresa e sulle prossime prospettive finanziarie, ora l’UE deve fare chiarezza sulle proprie ambizioni per il 2030. Dovrebbe fermarsi a un livello di riduzione dei gas serra pari al 40 percento in meno rispetto a quello del 1990 o aumentarlo fino al 50-55 percento? Entrambi gli approcci presentano degli aspetti positivi.

L ’obiettivo attuale è adeguatamente coperto dalla legislazione adottata. Questo decennio potrebbe essere opportunamente utilizzato per prepararsi alla decarbonizzazione dei settori più problematici. Ciò consentirebbe all’UE di essere molto ambiziosa nel periodo dal 2030 al 2040, sfruttando l’ultimo decennio per affrontare i problemi più complessi. Un aumento dell’obiettivo di riduzione delle emissioni invierebbe un segnale alla società, stimolandola alla mobilitazione e al raggiungimento in breve tempo di risultati facilmente realizzabili, come l’abbandono del carbone e una fornitura di elettricità quasi totalmente decarbonizzata entro il 2030.

Qualunque sia la decisione, è importante che sia presa rapidamente, in quanto influenzerà le priorità relative agli investimenti e agli strumenti utilizzati. Inizialmente ci si potrebbe orientare su strumenti maggiormente basati sul mercato, mentre successivamente occorreranno degli approcci di natura più regolamentare, come un abbandono accelerato del carbone. Indipendentemente dall’obiettivo scelto, vi è un aspetto che richiederà un intervento urgente: l’incremento della produzione e dell’utilizzo di idrogeno pulito.

Perché l’idrogeno è così importante per il Green Deal dell’UE? Già nel 1842, lo scienziato inglese Sir William Grove sviluppò la prima cella a combustibile, che sfruttando la reazione tra idrogeno e ossigeno nell’acqua generava una corrente elettrica. Successivamente vi furono ulteriori sviluppi promettenti, ma non vi fu mai una vera e propria svolta. È interessante notare che il piano sul clima dei democratici della Camera dei Rappresentanti statunitense fa menzione dell’idrogeno, ma non arriva a parlare di investimenti su larga scala.

Perché le cose saranno diverse ora e in Europa? Una risposta è ovvia. Per decarbonizzare l’industria, l’idrogeno creato a partire dai combustibili fossili, e principalmente prodotto mediante steam reforming del metano, va sostituito. A livello globale, l’industria è responsabile del 20 percento delle emissioni derivanti dai combustibili fossili e ogni anno nell’UE vengono emessi tra 70 e 100 milioni di tonnellate di gas serra. Fondamentalmente ciò significa che l’“idrogeno grigio” dovrebbe essere sostituito dall’“idrogeno verde”.

Tuttavia, la principale previsione è che l’idrogeno rinnovabile possa rappresentare una materia prima fondamentale per combustibili sintetici puliti, come il cherosene sintetico per il settore aeronautico e il diesel sintetico per gli autocarri. L ’idrogeno potrebbe essere utilizzato direttamente nelle spedizioni marittime e nei trasporti su lunghe distanze e, a seconda delle esigenze tecnologiche, potrebbe fungere sia da materia prima, sia da combustibile.

L ’idrogeno sembra pertanto offrire una “ricetta miracolosa” per la transizione energetica. Potrebbe inoltre costituire un vettore energetico e un mezzo di stoccaggio dell’energia. Un’integrazione smart tra i settori dell’elettricità e del gas è considerata un passo importante per rispondere alle sfide poste dalla sostenibilità e dall’efficacia economica nel settore energetico. Con l’idrogeno, questa integrazione non è solamente possibile, ma appare come una chiara necessità. Inoltre l’UE dispone di una rete del gas molto ben sviluppata e di un’industria del gas di altissimo livello e non sfruttarle sarebbe un grosso errore.

Produrre idrogeno rinnovabile è piuttosto semplice. L ’elettrolisi dell’acqua ottenuta utilizzando fonti rinnovabili e biometano prodotto in modo sostenibile attraverso lo steam reforming produce idrogeno rinnovabile. Il problema sta nei costi e nei volumi di produzione: la produzione di idrogeno basato su combustibili fossili ha un costo medio di 1,5 euro al chilogrammo, mentre la produzione di idrogeno rinnovabile mediante elettrolisi costa tra i 2,5 e i 5,5 euro al chilogrammo.

Le aspettative sono che il costo degli elettrolizzatori si dimezzi entro il 2030, i costi dell’elettricità rinnovabile scendano ulteriormente e il prezzo del carbonio registri un significativo incremento. Queste evoluzioni dovrebbero aiutare ad aumentare la competitività dell’idrogeno rinnovabile nei prossimi anni. Considerando la sua ridotta densità volumetrica, anche il trasporto dell’idrogeno risulterà più costoso rispetto al gas naturale. Per ragioni di sicurezza, occorrerà effettuare un consistente ammodernamento dei gasdotti esistenti e in alcuni casi si dovranno costruire dei nuovi gasdotti dedicati per l’idrogeno.

Anche quello dei volumi è un problema spinoso. Arrivare a un sistema di elettricità rinnovabile al 100 percento richiederebbe come minimo di raddoppiare la capacità delle fonti energetiche rinnovabili, ma l’incremento previsto della quota elettrica nella domanda finale e le capacità dedicate alla produzione di idrogeno rinnovabile creeranno una domanda di elettricità rinnovabile quasi impossibile da soddisfare.

Una migliore efficienza energetica aiuterà, ma non sarà sufficiente e per quanto riguarda le aspettative sul contributo delle importazioni, si tratta di un territorio ancora inesplorato. A questo stadio è difficile formulare qualsiasi previsione. Un aiuto potrebbe venire dall’idrogeno a basse emissioni di carbonio (idrogeno blu) ottenuto da gas naturale e tramite la cattura e lo stoccaggio del carbonio. Questa tecnologia è ampiamente conosciuta e l’impatto del prezzo del carbonio potrebbe renderla un’opzione economicamente efficiente rispetto all’idrogeno grigio.

Anche l’idrogeno prodotto mediante pirolisi da gas naturale rappresenta un’opzione interessante. Grazie a una migliore regolamentazione delle emissioni di metano e ad azioni volontarie da parte dell’industria, le conoscenze sulle reali emissioni di gas serra nella catena del valore del gas naturale stanno compiendo notevoli passi avanti. Una regolamentazione rigorosa e lo sviluppo tecnologico stanno chiaramente riducendo l’intensità delle emissioni di metano fossile. Un prezzo del carbonio più elevato e un costo dell’idrogeno rinnovabile ridotto significheranno che la società non dipende dai combustibili fossili più di quanto necessario. Sarebbe un errore non utilizzare questa opzione.

La Strategia sull’idrogeno dell’UE sta cercando di trovare il giusto equilibrio tra la necessità di sviluppare una produzione e un impiego di idrogeno pulito su larga scala e l’attuale esperienza limitata con l’idrogeno. Esiste una chiara esigenza di idrogeno rinnovabile e a basse emissioni di carbonio, così come del supporto finanziario per accelerarne gli sviluppi. Il programma Carbon Contracts for Difference, i progetti Horizon 2020 come lo sviluppo di elettrolizzatori da 100 MW e la Strategic European Investment Window del programma InvestEU sono strumenti preziosi per conseguire questa accelerazione.

Le attività di portata internazionale, in particolare con l’Unione Africana e l’Ucraina, sono considerate un primo passo verso la possibilità di disporre entro il 2030 di 10 milioni di tonnellate di idrogeno rinnovabile al di fuori dei confini dell’UE. Ci si attende che lo stesso quantitativo sarà prodotto dall’UE entro il 2030, partendo con un milione di tonnellate già in produzione entro il 2024. Il principale veicolo per lo sviluppo futuro è la European Clean Hydrogen Alliance, lanciata lo scorso luglio.

La risposta da parte dell’industria nel primo mese è stata piuttosto buona, con l’adesione di 120 aziende, mentre più tiepide sono state le risposte da parte di organismi pubblici e istituti di ricerca. La loro partecipazione attiva all’Alliance è di importanza fondamentale, dal momento che quasi tutti gli Stati membri dell’UE prevedono misure atte a promuovere l’utilizzo e la fornitura di idrogeno pulito. La Germania, per esempio, ha adottato una strategia molto ambiziosa per l’idrogeno. L’Alliance potrebbe moltiplicare gli sforzi a diversi livelli nell’UE per creare un’ondata di innovazioni e investimenti al fine di ridurre i costi e aumentare i volumi. Ciò nonostante, senza le forze del mercato è impossibile immaginare un successo.

La strategia della Germania prevede lo sviluppo di un mercato dell’idrogeno tedesco pulito entro il 2023, ma sarebbe bene avere piuttosto un mercato europeo. L ’integrazione di mercati differenti non è mai facile e in questo caso è necessario concordare preliminarmente numerosi aspetti rilevanti, come definizioni e garanzie dell’origine. È inoltre importante vedere la creazione del mercato dell’idrogeno nel contesto dello sviluppo del mercato elettrico europeo e dello sviluppo tecnologico di sistemi di stoccaggio dell’energia.

Senza dubbio, l’idrogeno pulito è un elemento determinante per la trasformazione del sistema energetico mondiale, particolarmente nell’industria, nei trasporti e nell’edilizia. Oltre a ciò, funge da acceleratore dell’impiego dell’energia rinnovabile. Assumendosi l’impegno di raggiungere la carbon neutrality entro il 2050, l’UE ha assunto la guida della lotta contro il cambiamento climatico.

Nel processo di raggiungimento del proprio obiettivo del Green Deal, è fondamentale che l’UE metta a punto degli strumenti tecnologici e delle esperienze di regolamentazione replicabili in altre parti del mondo. La produzione e l’utilizzo di idrogeno pulito potrebbe rivelarsi un’esperienza trasformativa della massima importanza.

Questo articolo è tratto da WE-World Energy n. 47 – Che mondo sarà?

Immagine: Le tappe per un ecosistema europeo dell’idrogeno

(lo)

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