L’America sta perdendo la guerra con il virus

Le strutture sanitarie in tutto il paese stanno portando avanti una difficile battaglia e quelli in prima linea la stanno combattendo senza le armi necessarie.

di Mike Orcutt

Molte volte nelle ultime settimane Donald Trump ha definito lo scoppio del covid-19 una “invasione” da parte di un “nemico invisibile” e si è definito un “presidente in tempo di guerra”. Il messaggio che la Casa Bianca sta cercando di trasmettere è chiaro: l’America è in guerra con il covid-19. 
Non è l’unico politico che ha paragonato la lotta al virus a una guerra: il 17 marzo, il senatore del Massachusetts Edward Markey ha scritto un editoriale sul “Boston Globe” chiedendo un nuovo “Manhattan Project” per affrontare la carenza nazionale in termini di equipaggiamento medico come ventilatori, maschere protettive e kit di test diagnostici. 

Proprio come il Progetto Manhattan ha coinvolto l’esperienza di università, scienza, industria, militari e governo in una collaborazione che ha portato allo sviluppo della bomba atomica, anche noi possiamo mettere in campo uno schieramento di vasta portata che può produrre risultati significativi ”, ha scritto Markey insieme al presidente del Massachusetts General Hospital Peter Slavin.
Ma se l’America è davvero in guerra, non sembra vincerla.

La preparazione non è adeguata

Il primo passo sarebbe stato quello di garantire che le attrezzature e le forniture necessarie per combattere una guerra fossero disponibili. Un mese fa c’erano previsioni terribili secondo cui gli Stati Uniti avrebbero esaurito i letti degli ospedali e avrebbero dovuto produrre con urgenza decine di migliaia di nuovi ventilatori. Il presidente Trump aveva subito forti pressioni per mobilitare l’industria a questo scopo.

C’era un modo ovvio per farlo: in virtù del tanto discusso Defence Production Act, una legge emanata in risposta all’inizio della guerra in Corea 70 anni fa, il presidente ha il potere di costringere i produttori a vendere al governo a basso prezzo (spesso appena sopra il costo di produzione) e dare la priorità agli ordini del governo per i beni necessari in prima linea. Inoltre, se necessario, consente al governo di finanziare ulteriormente le capacità produttive del settore. La legge è finalizzata a far fronte alle minacce alla sicurezza nazionale e il potere viene attribuito in modo ampio da applicarsi a una situazione di diffusione della pandemia.

Ma la fase applicativa dell’APD ha dato vita rapidamente a conflitti partigiani, con gruppi a sostegno delle imprese, come la Camera di commercio degli Stati Uniti, che si sono opposti. Queste resistenze hanno causato pericolosi ritardi, e quando il 18 marzo Trump ha invocato la legge, lo ha fatto con riluttanza e l’ha messa a confronto con le pratiche dei regimi del socialismo reale. “Provate a chiamare un abitante del Venezuela e chiedetegli come ha funzionato la nazionalizzazione delle loro imprese?” ha detto durante una conferenza stampa il 22 marzo. La risposta sarà: “Non troppo bene”.

In realtà, tuttavia, il governo federale usa abitualmente il DPA. Il Dipartimento della Difesa lo utilizza per accumulare scorte strategiche per la nazione; l’agenzia federale di gestione delle emergenze lo ha invocato per le risposte agli uragani. L’anno scorso, l’amministrazione Trump stessa ha fatto riferimento alla legge per “rafforzare la base industriale e la catena di approvvigionamento di elementi delle terre rare”, che vengono utilizzati nei sistemi di armi, ma sono prodotti soprattutto in Cina.

Le disposizioni del DPA sono una “caratteristica standard” per le aziende che stipulano un contratto con il Dipartimento della Difesa, afferma Joshua Gotbaum, che ha avuto modo di conoscere bene la legge mentre prestava servizio come segretario alla Difesa sotto la presidenza di Bill Clinton. Non si tratta di nazionalizzare le imprese private, egli dice, definendo l’approccio dell’amministrazione Trump al DPA perlomeno “bizzarro“. 

È importante sottolineare che il Defence Production Act è in genere utilizzato in previsione di una potenziale crisi – parte della cosiddetta pianificazione in tempo di guerra – non in reazione a una catastrofe. Gotbaum afferma che la Casa Bianca avrebbe dovuto avviare il processo di aumento delle scorte federali alla prima indicazione che il virus avrebbe potuto diffondersi negli Stati Uniti, a gennaio. Invece, ha atteso mesi e alla fine ha fatto ricorso all’utilizzo del DPA come strumento di pressione.

Alla fine, tuttavia, la Casa Bianca e la nazione sembrano aver evitato il collasso: grazie all’efficacia delle misure di distanziamento sociale, le ultime proiezioni per la domanda di ventilatori sono molto più basse di quanto non fossero solo due settimane fa. Mentre prima sembrava che la nazione dovesse fabbricare nuovi ventilatori, ora l’impressione è che la fornitura esistente sia sufficiente, a condizione di poterla spostare nel paese secondo le esigenze legate ai nuovi focolai. 

Sfortunatamente, lo stesso non si può dire per altri strumenti per la lotta contro il covid-19: i dispositivi di protezione individuale o PPE.

I combattenti in prima linea sono in pericolo

La necessità più urgente in questo momento è quella di proteggere coloro che combattono con il covid-19. Medici e infermieri sono truppe in prima linea che richiedono protezione, anche se invece di elmetti e armature per il corpo, hanno bisogno di guanti, tute e maschere. Ma il mercato dei dispositivi di protezione di livello medico è precipitato nel caos.

Un rapporto dell’Health & Human  Services, pubblicato il 6 aprile, descriveva “carenze diffuse”, ordini in ritardo di mesi e una catena di approvvigionamento discontinua. Senza l’amministrazione centrale del governo federale, gli ospedali e i governi statali sono in competizione l’uno con l’altro per le forniture. Come ha detto un amministratore all’ispettore generale: “Ci sono troppe mani in un piccolo secchio”.

Il problema deriva da tre cause principali: la non disponibilità di sufficienti forniture per soddisfare la domanda su scala pandemica, una forte dipendenza dalla produzione cinese e la mancanza di una fonte di informazioni autorevole che possa rivelare strozzature nelle catene di approvvigionamento critiche. 

In un anno normale, le strutture sanitarie negli Stati Uniti ordinano tra uno e due miliardi di maschere respiratorie, tra cui quelle chirurgiche e le n95, afferma Prashant Yadav, un membro anziano del Center for Global Development. Nel frattempo, uno studio del 2015 condotto da esperti governativi in malattie infettive ha suggerito che nel caso di una pandemia simile a questa, la domanda di sole n95 sarebbe oscillata tra 1,7 e 3,5 miliardi e avrebbe potuto aumentare a più di 4 miliardi se il tasso di infezione continuasse a rimanere elevato dopo i picchi epidemici.

Esiste una riserva, sotto forma di scorte nazionali strategiche del governo federale e scorte detenute dai singoli Stati. Ma queste forniture si sono rilevate insufficienti. Il 9 aprile, l'”Associated Press” ha riferito che la scorta nazionale strategica di n95, maschere chirurgiche, maschere per il viso, abiti e altre forniture chirurgiche era “quasi esaurita”. 

Secondo il rapporto dell’IG, l’incertezza sulla disponibilità di PPE da fonti federali e statali è stata una preoccupazione costante espressa dagli amministratori degli ospedali. Un amministratore ha detto che le forniture ricevute dal suo ospedale “non sono durate nemmeno un giorno”.  Un altro ospedale ha riferito di aver ottenuto migliaia di maschere da una riserva statale che sono risultate inutilizzabili perché le fasce elastiche erano ammuffite, e un altro ha riferito che un’agenzia federale ha inviato loro due spedizioni di PPE che erano scadute nel 2010.

Secondo il rapporto IG, questa situazione ha indotto molti ospedali a riutilizzare i PEE, che dovrebbero essere indossati solo una volta. Alcuni stanno esplorando le tecniche di sterilizzazione a ultravioletti, mentre altri hanno riferito di bypassare i normali processi di sanificazione. “Stiamo gettando tutte le nostre migliori pratiche di sicurezza fuori dalla finestra”, ha detto un amministratore. “La pagheremo”.

Offerta e domanda

Tutto ciò è stato aggravato da cattive informazioni che hanno reso difficile quantificare con precisione l’offerta o la domanda, afferma Yadav. Non solo i leader del governo, ma i produttori, i distributori e gli acquirenti di PEE che potrebbero altrimenti essere in grado di collaborare alla fornitura e alla distribuzione di materiali procedono alla cieca.

Tre quarti dei respiratori e delle maschere chirurgiche n95 ordinate dalle strutture sanitarie statunitensi sono fabbricati in Cina, egli spiega, con i principali distributori di prodotti medici che spesso in quel paese si servono di produttori a contratto invece di affidarsi ad aziende conosciute (Il 6 aprile 3M, il più grande produttore statunitense di n95, ha concordato, giorni dopo che la Casa Bianca ha invocato il DPA per dare a FEMA l’autorità di acquisire tutte le maschere necessarie dall’azienda, di importare 166,5 milioni di n95 nei prossimi tre mesi dalla propria fabbrica in Cina).

Ma quanta offerta è disponibile in Cina? Nessuno sembra conoscere la risposta e il caos del mese scorso ha reso i fornitori meno inclini a rivelare le loro vere scorte. Se un tentativo di acquisire queste informazioni fosse stato portato avanti un mese fa, sostiene Yadav, sarebbe stato più facile raccogliere informazioni accurate. 

È anche difficile sapere quale sia realmente la domanda perché gli ordini vengono conteggiati in modi doppi e tripli. Gli acquirenti disperati degli ospedali replicano le stesse richieste a molteplici potenziali fonti, sperando di sopperire alla carenza. Senza un quadro più completo e accurato, è difficile capire come far combaciare domanda e offerta. In una vera guerra, se l’esercito sta affrontando una carenza di forniture critiche, “la prima cosa è sapere cosa si ha, quello che si chiede e a quale catena di approvvigionamento ci si può rivolgere”, afferma Yadav.

Dove sono i colli di bottiglia? E cosa verrà dopo? Il presidente Trump, nei suoi incontri quotidiani con la stampa, ha costantemente definito la gestione delle catene di approvvigionamento medico come responsabilità degli stati e non del governo federale. “Siamo un supporto”, ha detto il 2 aprile, non riceviamo ordini”.

Oltre a tenere traccia delle informazioni su produttori e distributori, un vero sistema di controllo in tempo di guerra tiene conto anche della domanda e dell’offerta delle materie prime utilizzate per realizzare maschere n95. In effetti, Yadav prevede che gli Stati Uniti “rapidamente” incorreranno in problemi di approvvigionamento per un tessuto specializzato chiamato polipropilene non tessuto soffiato a fusione, che è un materiale critico non facile né economico da produrre. Se la nazione dovesse esaurire il tessuto, qualsiasi ulteriore capacità di produzione rimarrebbe inevasa.

La tempesta in arrivo

Tutte le indicazioni raccolte finora suggeriscono che anche dopo il picco di covid-19 in America, dando per risolti i problemi di ventilatori e PEE, ci saranno ancora altre situazioni difficili. Vincere questa guerra richiederà un valido coordinamento centrale. Un vaccino, l’arma definitiva, è a molti mesi se non anni di distanza e, una volta trovato, dovrà essere somministrato a milioni e milioni di persone in tutti i 50 stati. 

Nel frattempo, prima che gli Stati Uniti possano iniziare ad allentare le misure di distanziamento sociale e riavviare l’economia, si dovrà testare la popolazione, monitorarla e limitare i movimenti di tutte quelle persone che sono venute in contatto con chi è positivo al test. 

Un intervento tecnicamente e logisticamente complicato di questo tipo può trarre beneficio solo da una sorta di strategia nazionale coesiva, sulla falsariga del Progetto Manhattan che alcuni prevedevano. Ma l’approccio della Casa Bianca alla risposta alla pandemia finora indica che difficilmente coglierà l’occasione.  

“I singoli stati dovrebbero fare i test”, ha dichiarato il presidente Trump durante la conferenza stampa del 10 aprile. “Noi siamo il governo federale. Non dovremmo stare agli angoli delle strade a fare dei test”. Nonostante la retorica bellica di Trump, l’America sta mandando le sue truppe in battaglia senza un’adeguata protezione e costringendole a competere per disporre delle risorse. Il suo governo non ha un chiaro piano a lungo termine per sconfiggere il virus. 

Per combattere veramente il nemico, l’America avrà bisogno di armi che non ha ancora. E anche le piccole vittorie conseguite sembrano essere il risultato di fortuite azioni locali piuttosto che di sforzi coordinati da parte del centro.
Potrebbe esserci ancora una piccola finestra temporale per invertire la rotta. La carenza di PEE a breve termine non può essere evitata, ma attraverso un’efficace mobilitazione dei produttori statunitensi le scorte possono essere reintegrate e accumulate a livelli adeguati in tempo per far fronte a potenziali nuovi focolai in autunno. Forse i 50 stati possono riunirsi per portare a termine test di massa e migliorare le tecniche di monitoraggio. Ma chi guiderà questo intervento? 

“La speranza viene dalle reazioni che nel corso della storia la nazione ha dimostrato di fronte a minacce gravi”, hanno scritto Markey e Slavin, citando gli sforzi di Franklin D. Roosevelt e Winston Churchill per mobilitare rapidamente le rispettive nazioni durante la seconda guerra mondiale. “Questo è lo stesso tipo di leadership di cui abbiamo bisogno in questo momento per uscire fuori dalla pandemia”. 

(rp)

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