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    La vita oltre il lavoro

    Loisir e tempo libero come invenzione di una modernità che deve venire sistematicamente reinventata.

    di Mario Morcellini

    Il titolo di questo intervento nasconde un assunto che deve essere messo in trasparenza: i tempi di vita si definiscono moderni quando l'”invenzione” e la gestione del cosiddetto tempo libero diventano strategiche ai fini delle mete individuali e collettive. Al punto di porre anche una questione che attiene alle definizioni e alle parole-chiave: il sostantivo loisir, per esempio, rende meglio il salto di qualità e di percezione da parte degli utenti, pur rappresentando un termine ancora insufficiente per indicare il mix di aspettative che i soggetti ripongono, ormai, nel tempo non lavorativo.

    Per capire meglio il cambiamento profondo di cui dobbiamo tener conto, mentre il lavoro è stato potentemente descritto – anche nell’alta cosmologia cinematografica di Chaplin – come tempi moderni che mascheravano routine, catena di montaggio e quella che oggi chiameremmo “penosità del lavoro” (ben descritta da Christophe Dejours), l’altro tempo è quello su cui si concentra davvero la catena del valore. Ecco perché loisir rappresenta comunque un passo avanti nelle definizioni, ponendosi quasi come uno spazio spettacolare per leggere le passioni del soggetto moderno e addirittura l’habitus. Non a caso, esso guadagna un significato centrale nei mondi vitali dei soggetti contemporanei, divenendo il tempo “qualitativamente” più rilevante e trasversale per settori sempre più ampi della società italiana.

    Per il soggetto moderno, l’invenzione del tempo “liberato” dal lavoro sembra di fatto superata in favore della scoperta delle mappe personalizzate del tempo libero. Tutto ciò anche a dispetto di quelle controtendenze che sembrerebbero minacciarne oggi una riduzione quantitativa rispetto sia al lavoro (soprattutto quando precario o reso “fluido” dalle tecnologie) sia ai ritmi pressanti della vita familiare e metropolitana.

    Ricorrendo alla forza delle metafore, il tempo libero sta al lavoro (ma anche al ruolo socialmente “indossato”) come l’anima sta al corpo. Di fatto, esso incarna la funzione di tempo soggettivamente significativo, in grado di attingere dalla ricchezza di una dieta culturale oggi via via più ampia e diversificata. A fronte di una varietà di svaghi e di opportunità a dir poco inimmaginabile fino a non troppi anni fa, le routine quotidiane sono infatti scandite non più solo dai “tempi dei media”, ma da una pluralità di interessi e di attività che definiscono i ritmi di un nuovo tempo di vita. A partire dagli anni 1990, la disinfiammazione generalista del pubblico ha lasciato finalmente emergere un tessuto di svaghi e consumi culturali di qualità, anche tradizionali, che ormai appaiono protagonisti di una rinnovata vitalità e di un deciso rilancio fra il pubblico nazionale. E, in particolare, le statistiche provano che l’avvento della modernità ha rappresentato una fase in cui i soggetti sociali hanno letteralmente “preso le misure” alla televisione: tutto ciò sulla scia non solo dell’impatto multimediale esercitato dalle tecnologie digitali (troppo spesso dominanti nella rappresentazione del cambiamento), ma di una nuova partita di personalizzazione dentro il labirinto dei generi e dei linguaggi, che prospetta oggi una graduale europeizzazione degli stili culturali del pubblico italiano.

    Una nuova soggettività tra reale e virtuale

    Il moderno significato del tempo libero va interpretato anzitutto dal punto di vista di una nuova soggettività, capace di attingere a piene mani dalle reti della multimedialità e dell’esperienza culturale dal vivo. Al tempo stesso, proprio il fermento dei nostri anni torna a riproporre bruscamente le questioni dell’accesso e della competenza culturale: da una parte, di fronte al progressivo tramonto delle tradizionali forme di socializzazione, la cultura e la comunicazione si offrono come la forma più universale di partecipazione alla società; e, dall’altra, la disuguale di-stribuzione delle risorse simboliche fra gli attori sociali e i popoli pare costituire uno dei più stridenti paradossi della globalizzazione. è così che, “dentro” e “fuori” i media, l’accresciuta autonomia e libertà conquistate dall’attore sociale di fronte alla vetrina scintillante della cultura e della comunicazione si accompagnano, di fatto, alla necessità di rifondare la competenza del tempo libero su una qualche forma di alfabetizzazione e democratizzazione della scelta.

    Di fronte a scenari in rapido mutamento, il loisir diviene dunque metafora del caleidoscopio dei consumi culturali e della loro innovazione contemporanea. Esso rappresenta, non a caso, il terreno – a un tempo teorico e metodologico – su cui va avanti ormai da diversi anni la collaborazione fra il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale (già Facoltà di Scienze della Comunicazione) e l’ISTAT, fonte statistica che nel panorama italiano più ha inteso valorizzare la prospettiva analitica del tempo libero. In particolare, la strategia di analisi portata avanti nella lunga consuetudine scientifica fra i ricercatori dell’università e della statistica ufficiale si articola intorno a un duplice baricentro: da una parte, il senso del loisir, quale ottica privilegiata da cui intercettare le rappresentazioni prevalenti dei tempi di vita, a partire dalla stessa multidimensionalità delle definizioni soggettive; dall’altra, la vetrina delle attività del tempo libero, attraverso cui un intero caleidoscopio di consumi e di opzioni di natura culturale, espressiva e ricreativa, si offre all’esperienza degli attori contemporanei.

    Ciò rende conto soprattutto di un’opportunità: valorizzare una cultura dei dati ormai indispensabile per una comunità di docenti, ricercatori e studenti che, dentro e attorno l’università, è chiamata a confrontarsi con l’incalzante velocità dei cambiamenti culturali e degli stili di vita. Come noto, un ricchissimo serbatoio informativo sugli stili di vita e i consumi culturali degli italiani si è andato configurando soprattutto in seguito alla vera e propria svolta promossa dall’ISTAT con il sistema di Indagini Multiscopo: avviate alla fine del 1993, queste ultime hanno infatti inaugurato un nuovo interesse della statistica ufficiale per la dimensione culturale e, di fatto, una vera e propria prospettiva grandangolare per l’analisi della società italiana.

    Si tratta dunque di dati particolarmente “ergonomici” per la ricerca sugli stili culturali, comunicativi e del tempo libero, grazie a una insuperabile capacità di penetrazione campionaria e di rappresentazione diacronica del cambiamento della società italiana. Le statistiche culturali dell’ISTAT si prestano a essere movimentate e “messe in rete” nell’ambito di percorsi mirati di analisi e di elaborazione secondaria; fondate su indicatori continuativi, esse diventano la base informativa corrente per la formulazione di un modello interpretativo a utilità ripetuta nel tempo.

    Di fronte a fenomeni che giocano un ruolo sempre più decisivo nella lettura dei mutamenti socio-culturali del paese, la sfida è dunque duplice. Da una parte, la statistica ufficiale è oggi chiamata a fare fronte al bisogno di analisi culturali affidabili e aggiornate; dall’altra, si tratta di potenziare la messa in rete dei dati e la capacità di dialogare continuativamente con la comunità scientifica e il pubblico di tutti i potenziali “portatori di interesse”: dagli studenti e ricercatori universitari agli operatori del settore culturale, fino alle istituzioni e al sistema dei media.

    Le Indagini Multiscopo e le nuove politiche editoriali dell’ISTAT

    Di fatto, occorre puntare a estendere i domini culturali oggetto di rilevazione, ma anche a rispondere in tempo reale al fabbisogno conoscitivo espresso dal mondo della ricerca scientifica e dal paese. Soprattutto l’esperienza delle Indagini Multiscopo testimonia un rischio molto concreto: quello che l’immagine dei cambiamenti restituita dai dati finisca per “ingiallire” rispetto alla tempestività di pubblicizzazione delle indagini e dei rapporti. Da questo punto di vista, le nuove politiche editoriali dell’ISTAT hanno offerto, in questi anni, eloquenti prove in ordine al superamento di limiti connessi a un lento aggiornamento e, in particolare, a un’eccessiva sfasatura temporale fra le rilevazioni e la diffusione pubblica dei rapporti e dei dati di ricerca.

    Ancorare la lettura dei mutamenti culturali alla “cassetta degli attrezzi” offerta dalle statistiche ufficiali dell’ISTAT può così rilanciare l’interesse dei ricercatori per molteplici percorsi “aperti” di approfondimento, a partire dalle oggettive potenzialità (come pure dai limiti applicativi) delle statistiche culturali ufficiali. In particolare, è il sistema di Indagini Multiscopo a esprimere una estrema duttilità ai fini dell’analisi secondaria: dalla semplice lettura delle serie storiche, che le diverse indagini annuali consentono di comparare a partire dai primi anni 1990, fino a più complesse rappresentazioni delle diete culturali e dei profili empirici dei pubblici della cultura.

    Dal punto di vista delle nuove culture del tempo libero, numerosi e appassionanti sono i temi che segnano l’innovazione culturale in atto nel paese e che si offrono oggi all’interesse degli studiosi: dalla ridefinizione del rapporto tempo libero/lavoro alla multidimensionalità delle definizioni del loisir; dall’emergente tematica della partecipazione/esclusione culturale al cambiamento delle forme del capitale sociale e culturale; dal consumo di informazione a quello d’intrattenimento; dalla spettacolare innovazione tecnologica legata al digitale al non meno promettente aggiornamento delle culture di consumo più tradizionali (in primis, la lettura di libri); dagli stili culturali dei giovani a quelli delle età mature e dei “nuovi anziani”.

    Simili opportunità rendono auspicabile, oggi più che mai, la continuità della collaborazione fra l’università e il mondo della statistica ufficiale. Un dialogo che senza dubbio rende conto di reciproche potenzialità in termini di servizio, con ricadute importanti sul piano della verifica sia dell’affidabilità degli strumenti empirici sia della tenuta degli stessi modelli teorici elaborati dagli studiosi; e che appare promettente anche in termini di capacità di promozione e comunicazione, nei confronti dei “portatori di interesse” e del paese, di analisi culturali in grado di offrire un contributo incisivo al dibattito pubblico e alla rappresentazione della società italiana.

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