Secondo le ultime stime, le attività umane degli ultimi 500 anni potrebbero aver provocato l’estinzione di circa 200mila specie
di Lisa Ovi
L’estinzione è un evento naturale per le forme di vita del nostro pianeta. Più del 99% dei quattro miliardi di specie che si sono evolute sulla Terra sono ormai scomparse, ma solo cinque volte in eventi di estinzione di massa.
Con l’eccezione dell’ormai famoso impatto di asteroide che sul finire del Cretaceo ha condannato i dinosauri, gli eventi di estinzione di massa del passato vengono ormai considerati il risultato di alterazioni climatiche provocate da imponenti eruzioni vulcaniche.
La sesta estinzione di massa ora in corso, invece, è stata innescata dalle attività umane. Alle tante voci che da anni denunciano il problema, si unisce in questi giorni un gruppo di biologi della University of Hawai‘i at Mānoa e del Muséum National d’Histoire Naturelle di Parigi, con uno studio pubblicato su Biological Reviews.
“Il drastico aumento dei tassi di estinzione tra le specie e il calo demografico significativo di molte popolazioni, animali e vegetali, sono ben documentati, eppure c’è ancora chi nega che questi fenomeni equivalgano a un’estinzione di massa”, spiega Robert Cowie, autore principale dello studio e professore di ricerca presso la UH Manoa.
Secondo i ricercatori, i già preoccupanti dati sull’estinzione di massa in corso sarebbero addirittura parziali, in quanto calcolati per lo più su mammiferi e uccelli, ignorando gli invertebrati, la stragrande maggioranza di forme di vita sul pianeta. L’inclusione degli invertebrati nel conteggio delle specie estinte ha portato Cowie e coautori a stimare che, dall’anno 1500, la Terra potrebbe aver perduto una percentuale di specie che si attesterebbe tra il 7,5 e il 13% delle due milioni conosciute, per un incredibile media di 150.000-260.000 estinzioni.
Il nuovo studio esplora anche le reazioni della moderna società umana alla notizia. A fianco di chi nega il problema, i ricercatori riportano di aver incontrato chi ritiene la sesta estinzione di massa un evento naturale e altri che ritengono corretto asservire la biodiversità del pianeta agli interessi umani.
Che le attività umane possano provocare reazioni a catena importanti nella fitta rete di connessioni della biodiversità terrestre non è difficile da dimostrare. Prendiamo ad esempio un recente studio canadese in cui ricercatori della University of British Columbia hanno documentato la correlazione diretta tra colture intensive e l’estinzione, nelle aree limitrofe, del 15% delle specie di uccelli selvatici.
Una popolazione di uccelli ben diversificata rappresenta un importante fattore di controllo naturale dei parassiti. L’estinzione del 15% delle specie di uccelli provoca, dunque, uno squilibrio in favore di queste specie nocive, le cui vittime più evidenti saranno proprio le piante coltivate. Meno visibili sono le conseguenze per le specie vegetali selvatiche, che contano sugli uccelli per la dispersione dei propri semi in nuovi territori. Privare le piante di questa possibilità di ‘viaggiare’ significa intaccarne la resilienza climatica. In un colpo solo, scopriamo che la coltura intensiva ha destabilizzato l’equilibrio dell’ecosistema locale e ridotto le possibilità di sopravvivenza delle specie vegetali.
Combattere la riduzione della biodiversità una specie alla volta non è sufficiente ad invertire la tendenza generale all’estinzione delle specie. È essenziale implementare politiche pubbliche di protezione degli ecosistemi nella loro interezza e coltivare la consapevolezza dell’importanza di un ambiente in cui anche il più piccolo essere ha il suo ruolo.
(lo)