La rete non dimentica mai

Il rischio è che l’identità passata di un utente possa determinare un pregiudizio negativo che non si riesce più a modificare nel corso del tempo.

di Kate Eichhorn

Fino alla fine del XX secolo, la maggior parte dei giovani poteva dare una cosa per scontata: il loro comportamento imbarazzante alla fine sarebbe stato dimenticato. Qualunque cosa fosse, un taglio di capelli sbagliato o un’ubriacatura o una brutta figura, la probabilità che venisse riprodotta e diffusa per anni era minima. Lo stesso vale per le frasi stupide o offensive: non c’era motivo di presumere che questi momenti imbarazzanti sarebbero mai riemersi.   

La situazione è cambiata. Oggi, le persone diventano adulte senza poter prendere le distanze dallo loro infanzia o adolescenza. Ma mentre le identità e gli errori del passato diventano incancellabili, non sono solo le persone a soffrirne. Qualcosa di molto più grande – il potenziale per il cambiamento e la trasformazione sociale – potrebbe anche essere a rischio.

Nessun posto in cui nascondersi

Nel 2015, il “New York Times” ha riferito che in tutto il mondo si stavano scattando 1 trilione di fotografie ogni anno. I giovani giocano il ruolo di protagonisti. Alcuni di loro che ho intervistato nella mia ricerca mi hanno detto che entrano in contatto con più di 300 immagini ogni giorno, dai selfie alle fotografie di amici alle schermate di FaceTime. Circa un miliardo di fotografie al giorno vengono caricate su Facebook.

Questa incessante documentazione non si limita ai soli nativi digitali. I loro genitori e nonni, i primi utenti di servizi di condivisione di foto come Flickr, mettono online le immagini di questi giovani. Senza il permesso o la conoscenza degli utenti di Flickr, centinaia di migliaia di immagini caricate sul sito sono state infine risucchiate in altri database, incluso MegaFace, un enorme set di dati utilizzato per addestrare i sistemi di riconoscimento facciale. Di conseguenza, molte di queste fotografie sono ora disponibili al pubblico, per cui non erano mai state pensate.

Nel frattempo, i nativi digitali sono anche la generazione più intensamente “seguita” a scuola. Milioni di giovani ora frequentano istituti in cui gli strumenti di apprendimento online monitorano i loro progressi in matematica di base e abilità di lettura insieme alle loro interazioni sociali quotidiane. La tecnologia permette di registrare passaggi effimeri nell’apprendimento e nello sviluppo sociale degli studenti.

Altri software, come Bark e Gaggle, vengono utilizzati per motivi di sicurezza, monitorando qualsiasi cosa, dai messaggi di testo degli studenti, alle e-mail e ai post sui social media, fino alle loro abitudini di visualizzazione su YouTube, scansionando espressioni ambigue come “uccidimi” e “spara”.

“Qualcuno che invia un messaggio a un amico per dire” Mi sono quasi ucciso ridendo in classe oggi “potrebbe ritrovarsi in qualche chat sul suicidio.

Chi si occupa di sicurezza nelle scuole digitali in genere elimina i dati degli studenti dopo 30 giorni, ma le scuole e i distretti scolastici sono liberi di conservarli per molto più tempo. I dati vengono inoltre spesso condivisi con le forze dell’ordine quando vengono identificate potenziali minacce. Non è chiaro quali dati vengano raccolti dal software di sicurezza o di apprendimento e per quanto tempo siano conservati.

Come tre senatori statunitensi hanno scritto in una recente lettera a oltre 50 aziende di tecnologia educativa e broker di dati: “Gli studenti hanno scarso controllo sul modo in cui i loro dati vengono utilizzati … sono spesso ignari della quantità e del tipo di dati raccolti su di loro e su chi potrebbe accedervi”. Dopotutto, senza controlli chiari, i voti negativi o un messaggio troppo ardito scritto da adolescenti potrebbero essere venduti a un’agenzia di reclutamento di lavoro (Does keeping kids offline breach their human rights?). 

Imperdonabile

In un mondo del genere, un giovane che sbaglia ha molto da perdere. Si pensi al caso di una giovane donna conosciuta su Twitter come @NaomiH. Nell’agosto 2018, entusiasta della notizia di aver ottenuto un ambito tirocinio presso la NASA, Naomi è andata online e ha twittato “EVERYONE SHUT THE F— UP. Ho accettato una tirocinio della NASA. ”Quando un amico ha ritwittato il post usando l’hashtag della NASA, un ex ingegnere della NASA lo ha scoperto e ha commentato il linguaggio volgare di Naomi. La NASA alla fine ha annullato il suo internato.

Oppure il caso di @Cellla, che nel 2015 stava per iniziare a lavorare al Jet’s Pizza di Mainsfield, in Texas. “Ew inizierò questo lavoro del “cavolo” domani”, ha twittato. Quando il proprietario del ristorante ha visto il tweet, ha risposto: “No, non inizi questo lavoro oggi! Ti ho appena licenziata! Mi dispiace che non hai soldi, ma niente lavoro! ”Le sue implicazioni erano chiare: con un singolo tweet, Cellla aveva perso probabilmente anche i lavori futuri. 

Altri ragazzi hanno pagato un prezzo per ancor meno. Nel 2016, il preside della Cañon City High School in Colorado ha emesso un provvedimento disciplinare per uno studente per aver twittato: “Quelli del coro sono gli unici pagliacci che abbiamo qui intorno”. Ha anche sanzionato 12 compagni di classe per aver semplicemente apprezzato il tweet. 

Nel 2018, una studentessa della Sierra High di Tollhouse, in California, ha condiviso un post del rapper Snoop Dogg con in mano quello che sembrava essere uno spinello. E’ stata sospesa per “aver propagandato contenuti sessuali e farmacologici inappropriati”.

Forse questi post sono davvero di cattivo gusto. Ma non è proprio il tipo di comportamento “insensato” che ci si aspetta dagli adolescenti? E se gli adolescenti non possono essere un po’ sopra le righe e fare errori stupidi, cosa vogliamo da loro? Stiamo soffocando quel periodo di transito tra l’infanzia e l’età adulta, un periodo che, almeno per il secolo scorso, serviva alle persone per esplorare, correre rischi e persino fallire senza pagare prezzi troppo alti?

Erik Erikson, uno psicoanalista del XX secolo noto per le sue teorie sullo sviluppo dell’identità, nel suo libro Infanzia e società (Childhood and Society del 1950) suggerì che la mente dell’adolescente si trova in “uno stadio psicosociale tra infanzia e età adulta e tra la morale imparata dal bambino e l’etica che deve essere sviluppata dall’adulto. ”Durante questo periodo, l’adolescente può godere di una “moratoria psicosociale” per le conseguenze delle sue azioni.

Non è andata esattamente così. In effetti, i tassi di carcerazione giovanile negli Stati Uniti suggeriscono che in diversi casi è valso il contrario, in particolare per i giovani di origine latina e afroamericana. Tuttavia, in molte comunità, la maggior parte delle persone concorda sul fatto che i bambini e gli adolescenti dovrebbero essere in grado di commettere errori di tanto in tanto e che tali errori andrebbero dimenticati o perdonati. Questo è esattamente il motivo per cui la maggior parte delle giurisdizioni tratta i giovani trasgressori in modo diverso dagli adulti. Ma per i nativi digitali questa regola non vale più e questa non è una brutta notizia solo per loro, ma per la società in generale.

Prigionieri della perfezione

La mia ricerca sulle pratiche giovanili e mediatiche indica che quando i giovani perdono la capacità di esplorare nuove idee e identità e sbagliare senza conseguenze, ci sono due pericoli critici.

In primo luogo, alcuni diventano così avversi al rischio che potrebbero evitare quella fase di sperimentazione che ha da sempre definito l’adolescenza. Mentre persone come NaomiH e Cellla fanno notizia per la loro mancanza di tatto, ciò che è meno visibile è quanto accuratamente molti nativi digitali ora curano le loro identità online, prendendo spunto più dai CEO che dai loro coetanei “spericolati”.

Inizialmente LinkedIn aveva un’età minima di accesso a 18 anni. Nel 2013, il sito di networking professionale aveva abbassato la soglia a 13 anni in alcuni paesi e a 14 negli Stati Uniti, prima di adottare un’età standard a 16 nel 2018. L’azienda non dice quanti studenti delle scuole superiori sono sulla piattaforma. Ma non sono difficili da trovare.

Come mi ha spiegato una utente di 15 anni di LinkedIn (che ha chiesto di rimanere anonima per paura di perdere il proprio account), “Ho ottenuto la mia prima pagina di LinkedIn a 13 anni. È stato facile, ho solo mentito. Sapevo di aver bisogno di LinkedIn perché è ai primi posti della ricerca su Google. In questo modo, le persone vedono prima il mio curriculum professionale.

”Quando le ho chiesto perché aveva bisogno di gestire il suo “lato professionale”a 13 anni, mi ha spiegato che c’è competizione per entrare nelle scuole superiori nella zona dove vive. Da quando ha inserito il suo profilo LinkedIn in terza media, ha raggiunto nuove posizioni e risultati; responsabile dello staff della sua associazione studentesca e direttore operativo di un’organizzazione no profit che ha fondato con un coetaneo di 16 anni (che, non a caso, è a sua volta su LinkedIn).

La mia ricerca suggerisce che questi utenti non sono valori anomali, ma fanno parte di un crescente gruppo di adolescenti che stanno attivamente curando le loro identità professionali. Ma è normale che ragazzi di 13 o 15 anni si sentano in dovere di elencare le loro attività post-scolastiche, le onorificenze accademiche e i punteggi dei test su siti di reti professionali, con le loro foto in abiti aziendali? 

E chi si occupa delle ammissioni all’università o di assumere al lavoro inizierà a scavare sempre più indietro nelle vite dei candidati, forse fino alla scuola media? Il rischio è che una simile selezione produrrà generazioni di individui sempre più cauti, persone spaventate da quanto gli altri potrebbero trovare o pensare per rischiare qualcosa o avere pensieri divergenti dalla norma.

Il secondo potenziale pericolo è più preoccupante: in un mondo in cui il passato tormenta il presente, i giovani si sentono costretti a definire le loro identità, prospettive e posizioni politiche in giovane età.

Nel 2017, l’Università di Harvard ha annullato le offerte di ammissione a 10 studenti dopo aver scoperto che avevano condiviso meme offensivi in una chat privata su Facebook. Nel 2019 l’università ha ritirato un’altra offerta: a Kyle Kashuv, un attivista conservatore sopravvissuto alla strage alla Marjory Stoneman Douglas High School a Parkland, in Florida. 

Nel caso di Kashuv, non è stato un post sui social media a causare il problema nè è stato un adulto a denunciarlo. Già in prima media, Kashuv aveva usato ripetutamente la parola “negro” in un documento condiviso su Google e creato per un incarico di classe. Quando Harvard lo ha accettato, i suoi colleghi hanno recuperato il documento e lo hanno a loro volta pubblicato sui media.

Ci sono sicuramente motivi validi per applaudire Harvard per aver rifiutato di prendere questi studenti. Tali decisioni offrono la speranza che le generazioni future saranno ritenute responsabili di eventuali comportamento razzisti, sessisti e omofobi. Si tratta di un passo nella giusta direzione. Ma c’è un rovescio della medaglia.

Quando Kashuv ha scoperto di aver perso il suo posto ad Harvard, ha fatto quello che avrebbe fatto qualsiasi nativo digitale: ha condiviso la sua reazione online. Su Twitter, ha scritto: “Nel corso della sua storia, la facoltà di Harvard ha accettato proprietari di schiavi, segregazionisti, bigotti e antisemiti. Se Harvard sta suggerendo che il cambiamento non è possibile e che il nostro passato definisce il nostro futuro, allora Harvard è un’istituzione intrinsecamente razzista”.

Le sue affermazioni possono essere un tentativo di giustificare le sue azioni, ma sollevano una domanda che non possiamo permetterci di ignorare: il passato di una persona dovrebbe definire il proprio futuro? Il rischio è che i giovani che hanno visioni estreme da adolescenti possano ritenere inutile cambiare idea se si forma su di loro un pregiudizio. 

In parole povere, in futuro i geek resteranno geek, gli stupidi resteranno stupidi e i bigotti rimarranno bigotti. Identità e idee politiche saranno immutabili, non perché le persone siano resistenti ai cambiamenti, ma perché non gli sarà permesso di abbandonare il proprio passato. In un mondo in cui la politica partigiana e l’estremismo continuano a guadagnare terreno, questa potrebbe essere la conseguenza più pericolosa di un futuro in cui non ci sarà più nulla da nascondere. 

The end of forgetting è l’ultimo libro di Kate Eichhorns

(rp)

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