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    La relazione comunicativa

    L’università della riforma nella rappresentazione giornalistica

    di Mario Morcellini

    Il processo di riforma didattica dell’università, avviato con il D.M. 509/99, ha vissuto un percorso non sempre chiaro e lineare, la cui valutazione richiede una rigorosa verifica di sistema, che deve affidarsi soprattutto a dati di ricerca. Numerose sono stati infatti, le contraddizioni che si sono frapposte alla sua piena attuazione, e che includono molti luoghi comuni. In particolare, c’è da chiedersi se la stampa italiana, che dovrebbe essere luogo di circolazione delle idee, abbia davvero saputo raccontare il radicale mutamento che ha attraversato (e talvolta scosso) il nostro sistema universitario.

    L’efficacia delle riforme non dipende, infatti, soltanto dall’operato dei decisori pubblici e di chi lavora negli atenei, ma anche dalla capacità di creare quel clima di fiducia generalizzata presso l’opinione pubblica, indispensabile per articolare progetti di cambiamento in un sistema “sensibile” e a elevata complessità quale quello universitario. Per capire l’importanza di questa dinamica, si può provare a leggere il processo d’innovazione in atto attraverso la “lente d’ingrandimento” del sistema dei media, analizzando i primissimi risultati di uno studio sui titoli di 1.069 pezzi giornalistici che hanno accompagnato il processo riformatore dal novembre 1999 alla fine di febbraio 2007: un’indagine empirica inserita nel contesto più ampio di una ricerca sulla riforma universitaria, avviata presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza all’inizio del 2007.

    L’analisi degli stili di rappresentazione giornalistica dell’università della post-riforma ha puntato ad accertare i temi-chiave del dibattito, gli stili di trattazione e gli attori più rilevanti nell’immagine dei processi di riforma degli ordinamenti offerta dalla stampa italiana.

    In prima battuta si è scelto di aprire uno specifico focus d’analisi sulla titolazione dei pezzi giornalistici: la scelta dei titoli, affidata per definizione al management redazionale, traduce infatti in modo concreto ed espressivo l’astrattezza di un concetto come quello di “linea editoriale” ed esprime la visione “politica” di un giornale su un determinato argomento. Uno studio sulla titolazione rende dunque più trasparenti gli atteggiamenti socio-culturali delle organizzazioni giornalistiche nei confronti dell’università e il quadro di “indizi” che esse costruiscono per il loro pubblico: è noto, infatti, che per il lettore il titolo rappresenti il primo approccio testuale con il giornale e, insieme, una cornice pre-interpretativa sui fatti descritti nell’articolo.

    Su queste basi, è stata avviata un’indagine sistematica su tutti gli articoli in tema di università (o comunque a essa prevalentemente riferiti) dal 1 novembre 1999 al 28 febbraio 2007. è stata così possibile la selezione di un corpus di 1069 articoli, largamente rappresentativi dell’universo degli articoli sull’università: uno spaccato che fornisce già qualche indicazione per documentare come e quanto il doping dei media agisca sui protagonisti e sui processi della decisione politica, oltre che sull’opinione pubblica.

    A un primo livello descrittivo, l’analisi della strutturazione interna del corpus di articoli già fornisce alcuni indizi importanti sulle modalità della rappresentazione dell’università nella stampa italiana. Il numero di articoli rilevati per ciascuna testata appare, in tal senso, abbastanza significativo (Tab.1): diversamente da quanto forse ci si sarebbe potuti aspettare, è il «Il Sole24ore» a dimostrare la più assidua attenzione nei confronti del sistema universitario (28,3 per cento degli articoli), dedicando al tema una copertura superiore a quella complessiva dei due quotidiani nazionali più letti, «Corriere della Sera» (13,8 per cento) e «la Repubblica» (10,7 per cento).

    Aggregando i dati per tipo di testata (le percentuali sono ottenute addizionando le testate appartenenti alla stessa categoria editoriale), questo trend appare più chiaro: se è quasi scontato l’interesse dei quotidiani a tiratura nazionale (61,1 per cento), colpisce la cospicua copertura dei quotidiani economico-finanziari (30,6 per cento) e l’esiguità di quella dei quotidiani politici (5,1 per cento). La distribuzione degli articoli per tipologia redazionale fa emergere il prevedibile primato della trattazione di cronaca (43,1 per cento); appare invece meno ovvio il secondo posto degli editoriali (36, 8 per cento).

    Dati ancor più interessanti e significativi si ottengono se si verifica l’orientamento prevalentemente positivo, negativo o “neutro” rilevabile nei pezzi. Un crinale che già discrimina il materiale testuale osservato: se solo nel 12 per cento dei pezzi è rilevabile un atteggiamento positivo nei confronti dell’università, il 40 per cento offre una trattazione “neutra”, in cui dunque non è rilevabile un esplicito punto di vista. è dunque quasi la metà degli articoli (ben il 48 per cento) ad attestare un giudizio negativo sul cambiamento dell’università.

    è un dato che merita ulteriore attenzione: l’esame delle 15 testate che hanno dedicato al tema la copertura più assidua fa emergere come l’atteggiamento più equilibrato sia quello de “Il Messaggero”, con il 66,2 per cento di articoli in cui viene espresso un punto di vista “neutro”. Di converso, il primato della critica va a “Il Manifesto” con addirittura l’82,4 per cento di articoli di tono critico: è quasi sconcertante come in ben 88 mesi questa testata non abbia trovato nulla che meritasse un’apertura di credito nei confronti dell’università.

    Cercando una relazione tra contenuti e autori dei pezzi, si scopre peraltro che la responsabilità di una rappresentazione così polarizzata non è solo colpa dei giornalisti: i dati confermano infatti che i giudizi più critici si concentrano nei numerosi articoli sull’università firmati da professori e accademici. A testimonianza di questo paradosso, quando a firmare il pezzo è un docente universitario i giudizi negativi passano infatti dalla già citata media del 48 per cento a un’incidenza del 59 per cento. Un dato che testimonia, in maniera netta, l’apertura di un vero e proprio “fronte interno” ? quello dei docenti – che rappresenta l’avanguardia delle posizioni critiche rispetto all’università e alla riforma didattica.

    Per comprendere meglio questi dati, è utile considerare anche la dimensione cronologica, che consente di ricostruire la distribuzione della curva di attenzione rispetto ai grandi temi che hanno animato il dibattito sull’università lungo questa delicata fase di transizione. L’articolazione per anni indica infatti un andamento discontinuo dell’attenzione dei media, che vede una particolare concentrazione di articoli negli anni 2003-2005: non a caso, gli anni delle clamorose proteste dei rettori, delle polemiche sul riordino delle docenze e sul precariato universitario, ma anche quelli in cui ? tra annunci e proposte di controriforma ? si tenta un bilancio della riforma didattica, ormai quasi a regime.

    Questa lettura trova una problematica conferma nell’analisi dei picchi d’attenzione, cioè dei mesi in cui è stato rilevato un maggior numero di articoli, comparati con una cronologia degli eventi che hanno maggiormente segnato la vita dell’università: l’impressione è che gli eventi più conflittuali siano quelli che con più forza mobilitano la copertura giornalistica. Al primo posto, troviamo infatti il mese di settembre 2003, quando in un clima già agitato per l’approvazione del decreto Moratti sui fondi alle scuole private, la CRUI presenta la Prima Relazione sullo Stato delle Università Italiane, un documento di inedita e dirompente critica al governo. Segue quindi il mese di febbraio 2004, segnato dalle forti proteste contro il riordino della docenza, culminate in una serie di mobilitazioni promosse dalla stessa CRUI e dal “movimento dei precari universitari”. Non a caso, è al terzo posto il marzo 2004, quando le proteste assumono forme clamorose come l’occupazione simbolica degli atenei da parte di docenti e ricercatori. Per ritrovare in questa top ten la corrispondenza tra un evento univocamente legato alla riforma e un picco di attenzione mediatica, bisogna quindi arrivare al settimo posto, con il dibattito sull’approvazione delle nuove classi di laurea nell’agosto 2000. Si ha quasi l’impressione che l’eccitazione per il resoconto degli scandali finisca per trasformarsi in un rumore di fondo in grado di coprire tutti i fermenti dell’università.

    Da questi sintetici dati è utile trarre alcune letture e qualche prima conclusione. Anzitutto, si coglie una posizione fortemente resistenziale da parte della stampa nei confronti dell’università: un atteggiamento quasi di sfiducia a priori nei confronti dell’istituzione, che prescinde da un’analisi serrata della qualità di didattica e ricerca e che guarda al sistema universitario italiano soprattutto nei suoi aspetti di maggior conflittualità, laddove vi sia un disagio visibile e rumoroso. In secondo luogo, emerge la distanza fra mondo giornalistico e universitario: sembra quasi che l’informazione non disponga di “saperi esperti” che consentano un’autonoma lettura dei fenomeni, ed è frequente la delega a osservatori non neutrali, quali possono essere gli stessi docenti. Con qualche eccezione, ne esce fuori dunque il ritratto di un’Università in bianco e nero: quasi una vecchia litografia, che indugia sulle ombre senza cogliere le proposte di rinnovamento e l’impegno dei suoi protagonisti nel complesso cammino di riposizionamento nello spazio europeo della formazione e della ricerca.

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