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Il Green Deal Europeo vede nell’idrogeno una delle soluzioni principali per raggiungere la neutralità climatica, ma servono massicci investimenti nelle infrastrutture e sistemi di stoccaggio dell’energia più efficienti.

di Lisa Ovi

Da decenni sentiamo i ricercatori promuovere il potenziale di una “economia all’idrogeno“. La ragione dell’interesse è ovvia: l’idrogeno, l’elemento più abbondante nell’universo, potrebbe alimentare i nostri veicoli e le nostre centrali elettriche e fornire riserve di energia rinnovabile senza pompare nell’atmosfera l’anidride carbonica e altri elementi inquinanti responsabili del cambiamento climatico. 

Raramente disponibile allo stato libero e molecolare, sul pianeta Terra l’idrogeno si trova più frequentemente combinato ad altri elementi chimici, come acqua e idrocarburi. È possibile produrre idrogeno semplicemente scindendo l’acqua, in un processo noto come elettrolisi, finora afflitto da costi proibitivi a causa degli alti consumi di elettricità.

L’avvento di un’economia dell’idrogeno, infatti, è stato finora frenato dagli alti costi di produzione della sua versione pulita, dalla mole di investimenti necessari alla ricerca e nelle infrastrutture, nonché dai limiti delle tecnologie per lo stoccaggio dell’energia, come le batterie. Ovviamente, anche l’ampia disponibilità ed i costi più contenuti associati ai carburanti fossili hanno giocato il proprio ruolo in questo scenario.

Ora, posti di fronte alle conseguenze sempre più pesanti del cambiamento climatico ed alla necessità di decarbonizzare velocemente un’economia tra le più responsabili dei livelli di emissioni nell’atmosfera globale, la Comunità Europea ha deciso di scommettere proprio sull’idrogeno con cifre che nel 2050 potrebbero sfiorare i 180-470 miliardi di euro. Tutto per un vettore energetico “pulito, sicuro e conveniente”.

La strategia europea per lo sviluppo dell’idrogeno prevede una collaborazione tra industria, autorità nazionali e locali, società civile e altre parti interessate, volta a realizzare, entro il 2030, le tecnologie necessarie ad un’economia alimentata dall’idrogeno. Ciò significa sviluppare le tecnologie per la produzione di idrogeno rinnovabile e a basse emissioni di carbonio che rispondano alle necessità di industria, trasporti e altri settori, nonché le infrastrutture che si facciano carico della sua trasmissione e distribuzione.

La scelta di privilegiare l’idrogeno come risorsa energetica del futuro risponde, in Europa, anche alla necessità di emancipare l’Unione dalla dipendenza dalle fonti di energia esterne. Priva dei bacini di gas naturale della Russia o delle risorse petrolifere del Medio Oriente, la geografia e la geologia europee si prestano piuttosto alla produzione di idrogeno. Le immense aree del Mare del Nord, ad esempio, sono ideali alla creazione di parchi eolici offshore, mentre i territori del sud si prestano alla creazione di impianti fotovoltaici.

A garanzia di una tempestiva transizione dell’Europa verso l’alimentazione all’idrogeno, nasce la European Clean Hydrogen Alliance. Questa alleanza non solo sosterrà l’Unione nelle proprie ambizioni di divenire il primo continente completamente decarbonizzato entro il 2050, ma posizionerà l’Europa come leader globale del settore.

Membri dell’alleanza come la multinazionale dell’energia Eni, si concretamente impegnati a condividerne gli obiettivi per il futuro energetico della Comunità Europea partecipando attivamente alla realizzazione dei suoi obiettivi. Come spiega Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni: “Eni è il più grande produttore e consumatore di idrogeno in Italia, ma dobbiamo lavorare per riuscire a creare un sistema che permetta investimenti e sviluppo, che porti alla creazione di un vero e proprio mercato dell’idrogeno”.

In particolare, la filosofia di Eni sull’idrogeno calcola che una strategia efficace debba riconoscere e sostenere il contributo alla decarbonizzazione di tutte le forme di idrogeno low-carbon, anche al fine di massimizzare l’efficienza dell’utilizzo delle risorse e nell’attuazione dei principi di economia circolare.

L’impegno di Eni alla generazione di idrogeno in un regime di economia circolare si traduce, ad esempio, in progetti come Waste-to-Hydrogen. Condotto nella raffineria di Venezia, prevede la produzione di idrogeno sostenibile attraverso la gassificazione di rifiuti non riciclabili come Plasmix e CSS, attualmente utilizzati in termovalorizzatori o inviati alle discariche. Questo processo ha il vantaggio di produrre H2 sostenibile in sinergia con gli impianti di raffinazione, contribuendo quindi anche alla riduzione delle emissioni comunemente legate sia al trattamento dei rifiuti che alla produzione convenzionale di idrogeno.

Non solo, Eni sta studiando la possibilità di abbinare la decarbonizzazione di impianti esistenti alla produzione di idrogeno blu grazie a sistemi di CCS e tecnologie di Steam Reforming del gas naturale. In Italia esiste l’opportunità unica di produrre idrogeno blu nell’area di Ravenna, grazie alla realizzazione del progetto “Adriatic Blue” che, sfruttando la combinazione di giacimenti di gas offshore esauriti con infrastrutture ancora in funzione, fornirà un sito di stoccaggio sicuro per tutte le emissioni industriali dell’area.

Non solo. Il dipartimento Eni di ricerca e sviluppo sta sviluppando kGas, una tecnologia che serve a convertire il gas naturale in gas di sintesi, ovvero quella miscela di idrogeno e monossido di carbonio che costituisce una preziosa fonte di H2 attraverso l’ossidazione parziale catalitica del gas naturale. Questo processo potrebbe candidarsi a diventare la tecnologia di elezione per la produzione di idrogeno blu, poiché consente di effettuare la cattura di CO2 con maggiore efficienza.

La forma di idrogeno più pubblicizzata è però, l’idrogeno verde, ovvero idrogeno prodotto a partire da fonti rinnovabili attraverso l’elettrolisi dell’acqua. Anche in quest’ottica, l’Italia si posiziona in primo piano grazie alla collaborazione tra Eni ed Enel, società energetiche leader nel mondo, impegnate a sviluppare insieme progetti che posizioneranno elettrolizzatori nelle vicinanze di due delle raffinerie Eni per cui la produzione di idrogeno verde rappresenta la migliore opzione di decarbonizzazione. Ciascuno dei due progetti pilota includerà un elettrolizzatore di circa 10 MW e si prevede che inizino a generare idrogeno verde entro il 2022-2023.

Immaginiamo ora di essere nel 2030 e di avere a disposizione quantità di idrogeno verde e blu, economico da produrre e pronto all’uso. Cosa ce ne facciamo?

Intanto possiamo guardare alle isole Orcadi, a nord della Scozia, dove l’abbondante disponibilità di vento e onde, abbinata ad una vera e propria rivoluzione tecnologica, ha portato gli abitanti delle isole a produrre più elettricità da fonti rinnovabili di quanta ne possano usare. Questo eccesso di energia viene già utilizzato in progetti di transizione all’idrogeno che alimentano navi, traghetti, veicoli e edifici pubblici. Allo stesso tempo, Airbus, l’azienda aeronautica europea ha preannunciato per il 2035 la conclusione del programma ZEROe, con cui riempirà i cieli di velivoli all’idrogeno, i primi a emissioni zero del mondo.

Grazie al suo grande potenziale come vettore energetico, l’idrogeno rappresenta infatti una valida opzione per la mobilità sostenibile, di terra, aerea o marittima a medio e lungo raggio dove dove la soluzione elettrica non è tecnologicamente possibile.  Il progetto H2iseO avviato tra Eni e FNM, vede, ad esempio, l’utilizzo dell’idrogeno tra le risorse da mettere in campo per la decarbonizzazione dei trasporti in Lombardia, una delle aree del mondo con i più alti livelli di inquinamento atmosferico. Il contributo di Trenord vede un futuro in cui Sebino e Valcamonica saranno trasformate nella prima “Hydrogen Valley” italiana.

Per far fronte agli attuali elevati costi di produzione e di distribuzione di idrogeno, nonché alla mancanza di una rete di infrastrutture adeguate, Eni sta realizzando due stazioni di rifornimento di idrogeno pilota: una a San Donato Milanese dove l’idrogeno sarà prodotto in loco mediante elettrolizzatore e la seconda nel territorio del Comune di Venezia.

Secondo stime del 2019, il fabbisogno energetico dell’Europa dipende per il 61% da fonti estere. Nel caso dell’Italia, questa percentuale tocca l’80%.

Le risorse energetiche del territorio italiano, infatti, hanno poco da contribuire ad un’economia alimentata da carburanti fossili. Ben diverso è il caso della produzione di energia da fonti rinnovabili: acqua, sole, vento e calore della terra non ci mancano e ad esse vanno aggiungendosi lo sfruttamento di moto ondoso, maree e vari biocombustibili.

In Europa, l’Italia si posiziona al terzo posto per consumi complessivi di energia da fonti rinnovabili. Con un occhio alla ripresa economica ed al potenziale per la creazione di nuovi posti di lavoro, il nostro paese le carte in regola per divenire uno dei più “Green” d’Europa.

(lo)