La nuova guerra del petrolio

Il Califfato, in difficoltà in Siria e Iraq, porta i suoi centri direzionali in Libia, e questa non è una bella notizia per l’Italia.

di Luca Longo

Quando, un anno fa, le bandiere nere sono spuntate su Sirte, la dominazione ISIS era solo nominale: si trattava di alcune delle tante tribù reduci dalla guerra libica del 2011 che adottavano “in franchising” il marchio dell’autoproclamatosi Stato Islamico. Ma ora la situazione di tutta l’area sta cambiando rapidamente.

Mentre gli americani continuano a procedere in modo autonomo, l’azione militare coordinata viene portata avanti dai francesi e dai russi. Subito dopo il voto del parlamento britannico del 3 dicembre, anche i bombardieri inglesi schierati a Cipro si sono uniti a questi ultimi. La coalizione, principalmente sulla base dell’intelligence russa, si sta impegnando per risolvere il problema del contrabbando di petrolio – e dei sui derivati raffinati artigianalmente – dalla Siria alla Turchia.

L’offensiva più visibile è diplomatica: mentre Putin invita, o forse sfida, la Turchia al dialogo, il viceministro della difesa russo, Anatoli Antonov, ha dichiarato di avere le prove che Erdogan e le più alte autorità turche sono “coinvolte nel business criminale”. Per altro Erdogan, invece di difendersi, tenta di ribaltare le stesse accuse sui russi.

L’offensiva meno visibile, al di là della propaganda, è invece sul piano militare. Gli americani puntano a tagliare l’autostrada 47, la via di rifornimento principale che attraversa Mosul e Raqqa, dove si trovano i due centri militari che presidiano rispettivamente le zone irachene e siriane controllate da ISIS. È però chiaro che una rete di migliaia di strade secondarie renderebbe rapidamente inefficace ogni interruzione militare della via principale.

I russi, che già quando cacciarono Napoleone da Borodino avevano imparato a non sprecare i colpi, hanno sviluppato una tattica tanto efficace quanto economica. Sotto la guida del vicecapo di stato maggiore Serghiei Rudskoi, sorvegliano dal cielo le colonne di autobotti che si arrampicano verso nord sulle colline della regione di Aleppo lungo le tre rotte fino a ora individuate dai loro ricognitori. Appena le sorprendono in un tratto senza vie di fuga laterali colpiscono con preziosi missili aria-terra solo i fuoristrada dotati di pezzi antiaerei, che da qualche settimana scortano le autobotti in testa e in coda alle colonne. Bloccata così ogni via di fuga all’intera colonna, impiegano proiettili di piccolo calibro ricoperti di fosforo, con cui provvedono a forare e incendiare tutti i mezzi, che bruciano completamente sulle loro 18 ruote.

Anche a causa dell’aumento della pressione militare nei territori occupati fra la Siria e l’Iraq, più fonti confermano che il Califfato ha deciso di trasferire i propri centri direzionali in Libia. L’operazione logistica non è di poco conto e testimonia il permanere della vocazione alla mobilità di una forma di terrorismo che aveva stupito il mondo proprio per il suo originale carattere stanziale. Si tratta di percorrere oltre 3mila km e di scavalcare indenni l’Egitto. Se la via scelta passa più a sud, attraverso il Sudan, ci si può chiedere come possano attraversare impuniti l’Arabia Saudita e guadare il Mar Rosso.

L’Institute for the Study of War sta studiando le mosse di ISIS e ha constatato che appare tutt’altro che disorganizzato, ma sembra dotato di centri militari efficienti e in grado di coordinare un wargame globale. Dove trova uno Stato all’anarchia, vi assume il potere imponendosi facilmente a popolazioni stremate dai disordini. Occupano il territorio, creano nuove istituzioni, applicano un sistema di riscossione dei tributi.

Intere aree della Cirenaica sono cadute nelle loro mani e le tante tribù libiche si sono coordinate fra loro sotto il logo del Califfato. A sud, dal Sahel alla Nigeria, i vari gruppi terroristici potrebbero facilmente costruire rapporti organici e strutturati con ISIS, se non lo hanno già fatto.

In Libia il Califfato ha trovato un terreno fertile. Dopo le sollevazioni della Primavera araba del 2011, che portarono alla caduta della dittatura di Gheddafi anche grazie ai bombardamenti francesi, inglesi ed americani, la Libia non è riuscita a completare la transizione verso la normalità. Degli scontri fra i due governi libici (uno riconosciuto internazionalmente, laico, con sede a Tobruk e protetto dall’Egitto, l’altro islamista, dominato dalla Fratellanza Musulmana, con sede a Tripoli e protetto dalla Turchia) ha approfittato il Califfato che si è collegato con il secondo gruppo ed è penetrato prima a Derna e poi a Sirte. L’ISIS sta ora avanzando nell’est libico minacciando Harawa, Nufaliya e Bin Jawa con l’evidente obiettivo di raggiungere l’area di Ajdabiya – la chiave per i campi della “mezzaluna petrolifera” a metà strada tra Bengasi e Sirte – e assumere il controllo delle risorse energetiche del Paese.

Ci si chiede che conseguenze potrà subire il nostro Paese che, se non ha interessi in Siria, ha interessi critici proprio in Libia. Qui la produzione petrolifera, secondo il World Oil and Gas Review, appena uscito a cura di Eni, è precipitata al livello della guerra del 2011 a soli 0,5 mb/d (milioni di barili al giorno) rispetto agli 1,6-1,7 mb/d di tutto il quinquennio 2005-2010.

Per altro, la Libia ha una importanza strategica non solo per l’Italia, visto che è al nono posto fra i Paesi più ricchi di petrolio con riserve stimate in 48,363 milioni di barili, cui si aggiungono 1,505 miliardi di metri cubi di gas. È chiaro che chi dovesse scendere in campo per cacciare il Califfato dalla Libia, lo farebbe per difendere i propri ideali, il proprio Paese e i propri interessi.

Link

Contrabbando di petrolio e dei suoi derivati raffinati artigianalmente
https://www.technologyreview.it/come-colpire-il-petrolio-per-fermare-l-isis

Migliaia di strade secondarie
http://www.nytimes.com/interactive/2015/11/11/world/middleeast/isis-syria-iraq-supply-route.html
Institute for the Study of War
http://www.understandingwar.org/

World Oil and Gas Review
http://www.eni.com/it_IT/azienda/cultura-energia/world-oil-gas-review/world-oil-gas-review-2015.shtml

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