La libertà malata

Il mediologo Derrick de Kerkhove, già collaboratore di Marshall McLuhan e docente delle Università di Toronto e di Napoli Federico II, attualmente direttore scientifico di Media Duemila, ipotizza le drammatiche conseguenze della epidemia di Coronavirus sui regimi della convivenza e sulle libertà individuali.

di Derrick de Kerckhove

Per quanto riguarda sia la minaccia virale di Covid19 sia le reazioni normative dei governi del mondo, il virus si inserisce in una sorta di “tempesta perfetta”. La ancora recente globalizzazione del pianeta, la rete quasi soffocante di comunicazioni disponibili e la necessità di un riavvio della cultura umana di fronte al cambiamento climatico presentano condizioni ideali a una forma di malattia interamente basata sulla comunicazione.

Coronavirus diventa così una malattia della comunicazione, un punto di incontro – e di collaborazione – fra progressione biologica e digitale. È anche un climax della civiltà, che segna un punto di non ritorno in una transizione già iniziata.

Siamo a un momento critico (epocale) della cosiddetta trasformazione digitale (DT). Però quando si parla di trasformazione digitale tutti noi pensiamo che sia una mera questione di business e, sì, pure un po’ di vita sociale e di politica, ma fondamentalmente nulla vicino a ciò che è realmente, vale a dire un radicale e profondo reset dell’individuo umano e della società umana. Vorremmo davvero pensare che la DT ci stia servendo, ma diventa chiaro che è il contrario: noi stiamo servendo la DT.

Lo tsunami digitale in arrivo eliminerà tutte le forme di autonomia a cominciare dalla privacy. Ma molto prima di subire le conseguenze della attuale emergenza sanitaria, con il tracciamento specifico degli individui contagiati, abbiamo già abbandonato e ceduto la nostra privacy in una miriade di modi.

Per il governo la minaccia prima e poi la rimozione della protezione della privacy in caso di necessità è solo un tecnicismo. Se non avremo la sfida Covid19 sotto controllo affidabile, entro la metà dell’estate (e forse prima), a cominciare dall’Italia, tutti i governi occidentali tra cui gli Stati Uniti libertariani d’America metteranno l’intera popolazione sotto sorveglianza al modo cinese (e fra poco indiano) e inizieranno a seguire il tracciamento off-line di quanti butteranno via i loro telefonini pensando così di sfuggire alla sorveglianza.

Non voglio arrivare a dire che la pandemia di coronavirus faccia parte di una sorta di strategia auto-organizzante della DT per accelerare la sua conquista dell’umanità. Quello che sto dicendo è che viene utile per garantire che ciò accada.

Non c’è modo di sfuggire. La perentoria volontà di bloccare le persone e forzare le distanze sociali è proprio il messaggio della DT: quello di smaterializzare beni e servizi, ma allo stesso tempo rimuovere ogni autonomia, immobilizzare la popolazione e accrescere il sistema di comunicazione a livelli senza precedenti. Inoltre, il programma di distacco sociale sta riorganizzando le nostre vite sensoriali riducendo la necessità di contatto, di mobilità, di trasporto, trovandoci tutti simbolicamente senza gambe.

Jean Baudrillard lo diceva nel 1976, nel suo L’échange symbolique et la mort, suggerendo che stare a casa a guardare la TV renderebbe la maggior parte delle persone fisicamente e mentalmente paralizzate. A quel tempo, i lettori ridevano. Oggi la situazione è molto più avanzata. Come ha osservato Lev Manovich nei giorni scorsi, l’equilibro fra vita reale, fisica, e vita virtuale, davanti a qualche schermo, già minacciato da parecchio tempo, si sta perdendo a favore del virtuale, dove siamo tracciati e catalogati nelle banche dati.

Una volta rimossa l’ultima muraglia del nostro essere privato, nessun governo ce lo restituirà. Ciao al GDPR, l’acronimo inglese di General Data Protection Regulation, e ad altre fantasie della democrazia! L’immagine del dopo coronavirus è prevedibilmente quella di una metamorfosi kafkiana, non in uno scarafaggio, ma in api produttori di dati e algoritmi nell’alveare globale…

(gv)

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