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    La Banca del Tessuto Muscolo-Scheletrico dell’Emilia Romagna

    C’è l’immagine del muro di mattoni, mattoni rossi su cui sta scritto, invisibile ma duraturo, il nome di ciascun donatore. Perché spetta a loro, ai donatori appunto, il merito di far esistere e funzionare la Banca del Tessuto Muscolo-Scheletrico (BTM) dell’Emilia Romagna, con sede a Bologna – la banca delle ossa, per usare un’espressione efficace seppur meno scientifica.
    A dirlo è il dottor Pier Maria Fornasari, membro del Centro di Medicina Rigenerativa degli Istituti Ortopedici Rizzoli a Bologna e direttore della Banca, nonché scienziato dal profilo impeccabile, con un curriculum straordinario e una gentilezza altrettanto eccezionale. Che racconta: «In base alla normativa italiana sui trapianti, la legge 91/99, le regioni sono state invitate a creare tre tipi di strutture per i tessuti: le strutture di prelievo, le strutture di trapianto e le strutture di conservazione. Queste strutture di conservazione sono state chiamate banche. Se ne trovano varie tipologie: oltre a quelle del tessuto muscolo-scheletrico, come la nostra che è la più antica, essendo stata fondata nel 1962 dal professor Campanacci (in Italia ce ne sono attualmente altre sei, a Torino, Milano, Verona, Treviso, Firenze e Roma), esistono la banca delle cornee o degli occhi, la banca della cute, la banca dei vasi e delle valvole, quella del cordone ombelicale che è già, come spiegherò, una banca cellulare».

    di Silvia Andreoli

    Cos’è una BTM

    Ma che cosa si conserva nella BTM? Ossa e frammenti ossei umani, e questo chiarisce il ruolo cruciale dei donatori. «Sono due le tipologie di donatori da cui acquisiamo: quelli vivi che, per esempio, si siano sottoposti a interventi chirurgici come le protesi d’anca che comportano la rimozione ed eventuale eliminazione della testa femorale sostituita, che, per noi, se segmentata e frammentata, può divenire utile per altri intereventi; e i donatori deceduti. In questo caso rimuoviamo i segmenti maggiori, ossia arti superiori e arti inferiori, oltre che tendini e cartilagini, soprattutto quelle costali. Il loro uso è principalmente per attività di trapianto nei pazienti oncologici ossei. Siamo passati, cioè, da una chirurgia amputativa a una sostitutiva, che consente una qualità molto più alta della vita del paziente».

    All’interno dell’Istituto Ospedaliero Rizzoli, dove si trova la banca, vengono trattati con queste tecniche più di cento pazienti l’anno. Però, avverte Fornasari, «la maggior parte del nostro lavoro consiste nel produrre, a partire dal tessuto intero, una serie di tessuti più piccoli. Attraverso questo processo, detto appunto processazione del tessuto, otteniamo stecche, cunei d’osso, piatti tibiali, osso morcellizzato che, congelati o liofilizzati, secondo le due tecniche in uso, si possono conservare per cinque anni e quindi anche facilmente gestibili a livello di sale operatorie chirurgiche». Il loro impiego è ormai abituale, per esempio, in chirurgia vertebrale, nelle scoliosi, o nella sostituzione di protesi esistenti consumate, o nei casi di pseudoartrosi o nonunion, ossia non perfetta stabilizzazione dell’osso a seguito di interventi chirurgici per traumi. Un altro campo in grandissima espansione, e lo mostra anche il mercato americano, è quello della medicina sportiva, con particolare riguardo alla patologia tendinea».

    A Bologna, in questo settore, la BTM garantisce una distribuzione media di tremila tessuti l’anno, ma la domanda è in forte crescita.

    Struttura e funzionamento

    Vista la delicata natura del «bene» trattato, le banche hanno un sistema di controllo rigidissimo ed estremamente preciso. «Qui», spiega Fornasari, «ci occupiamo di tutto il processo che riguarda il tessuto: a cominciare dal prelievo da donatore, effettuato da un’equipe totalmente gestita dalla banca e composta di quattro chirurghi ortopedici e un tecnico della banca, continuando con i controlli sia virologici sia microbiologici, e naturalmente la loro conservazione. Invece l’identificazione del donatore, la selezione, gli esami di legge sul donatore sono effettuati dal centro regionale trapianti, cui spetta il coordinamento dell’intero processo donazionale».

    A visitarla, la banca si presenta come una stanza in cui sono contenuti i freezer con i tessuti, preservati in azoto liquido a meno 180 C°.

    Dopo l’espianto da donatore, la tappa successiva è la catalogazione dei tessuti. «Nel porli all’interno dei congelatori, una prima distinzione è tra idonei, ossia già controllati, ossia sottoposti agli esami batteriologici e virologici, e non idonei, in attesa di analisi. Ottenuta l’idoneità, sono quindi distinti per tipologia, dimensione. Ogni frammento osseo è radiografato e le informazioni sono raccolte in una database, in modo che il chirurgo che lo richiede sappia valutare la conformità a quello che sta cercando».

    Niente, ovviamente, è lasciato al caso.

    Tanto che qui a Bologna, ed è il primo caso in Europa su questo tipo di progetto, da un anno a questa parte, stanno gestendo il database informatico con l’RFID (Radio Frequency Identification), ossia un sistema di smart tag (quello che utilizza il colosso della grande distribuzione Wal-Mart per intenderci), etichette silenti, dotate di un chip, che contiene tutta una serie di informazioni preziose, utilissime sia per la gestione del magazzino in tempo reale, ma anche per informare il chirurgo che riceve i tessuti su chi è il donatore, la sua età, l’altezza, le malattie avute, sugli esami a cui è stato sottoposto il frammento nonché il percorso di processazione che ha subito». Non solo, ma questo tipo di sistema, continua Fornasari, «se esteso, e stiamo collaborando proprio in questo senso a un progetto europeo, potrebbe portare alla creazione di un magazzino unico europeo, che, in tempo reale, permetta al chirurgo che cerca un tessuto di trovarlo. In atre parole, se i dati contenuti nella smart tag vengono trasferiti in un sito remoto, offrendo in tempo reale il magazzino di ciascuna BTM, i chirurghi europei o italiani che debbano procedere a un intervento sanno dove trovare cosa». Certo, e alleggerire così le attese del paziente, che è e rimane l’altro grande referente del dialogo a tre di questo delicatissimo meccanismo, che coinvolge anche il dolore, certo, ma in qualche modo, che qui si respira, soprattutto la vita e la speranza.

    Medicina rigenerativa e cellule staminali

    Progressivamente, e il mondo americano ne è la testimonianza – si calcola che i trapianti ossei siano arrivati al milione all’anno, con 22.000 donatori – il sistema ha aumentato ampiamente le richieste, grazie anche al suo impiego, in ambiti vasti, come quello della medicina sportiva, per esempio, con l’utilizzo di tessuti da donatore per la guarigione del crociato o del menisco.

    Così, però, si acuisce un nervo scoperto nel sistema, ossia la difficoltà, sovente, ad avere sufficiente tessuto disponibile per tutte le richieste.

    Ma, ci si chiede, possibile che non si riesca a crearli, questi tessuti, proprio «fabbricarli»? «Bisogna qui distinguere due questioni», spiega Fornasari. «La prima riguarda i tessuti cosiddetti ingegnerizzati, ossia che prevedono trattamenti industriali di processazione. Uno di questi è l’osso umano demineralizzato, ossia osso che viene decalcificato estensivamente e, per questo, oltre ad agire da supporto, agisce stimolando la rigenerazione ossea. In Italia e in Europa non è attualmente disponibile, per ora esiste solo a livello americano, ma siamo in una fase avanzata di collaborazione con una ditta di biomateriali e dovremmo entro l’anno averne l’utilizzo, primi in Europa come produzione. Esistono anche biomateriali che solidificano a temperatura del paziente e hanno un lungo tempo di riassorbimento, di qualche mese, in modo che, man mano che si riassorbe, questo tessuto viene sostituito da nuovo osso, da osso neo formato». Questo è, dunque, un primo passo verso l’idea di un tessuto «fabbricato». Ma c’è un’evoluzione ulteriore. «Da alcuni anni l’interesse forte dell’ortopedia è nei confronti della rigenerazione biologica, quella che viene chiamata la medicina rigenerativa. Lo scopo della medicina rigenerativa è quello di aiutare la guarigione biologica della lesione, piuttosto che la sostituzione del segmento danneggiato con una protesi. Capofila è stato il trapianto di cartilagine. Ultimamente si lavora a una serie di sperimentazioni, che prevedono l’uso, sia per la rigenerazione dell’osso, sia per quella della cartilagine, di cellule staminali mesenchimali, che sono le cellule che danno origine a osso, cartilagine, muscolo. Passiamo così dal trapianto di cellule al trapianto di tessuto ingegnerizzato, nella maggior parte dei casi autologo. Il processo, però, prevede che ci sia una fase di isolamento e di espansione delle cellule del soggetto. In pratica, si procede al prelievo della cartilagine del paziente in zone non di carico, in zone indenni. La cartilagine viene trattata in modo da isolare le cellule, e poi in laboratorio, si provvede a una loro espansione e crescita su un’eventuale matrice, che verrà poi impiantata. Lo stesso discorso vale per le staminali mesenchimali che, in genere, vengono prelevate da midollo osseo del soggetto, con biopsia midollare. Una volta isolate ed espanse bidimensionalmente, si procede a trasferirle su matrice tridimensionale».

    La ricerca è in piena espansione. «Oggi stanno sviluppandosi fonti alternative al midollo, di cellule mesenchimali», dice ancora Fornasari. «Per esempio, c’è un gruppo di Bologna, diretto dal professor Bagnara, che ha dimostrato che la placenta è ricchissima di cellule mesenchimali. Anche il grasso ne contiene molte, tant’è vero che in America c’è una banca dove chi si sottopone a liposuzione può donare o conservare le proprie cellule staminali mesenchimali per successivi utilizzi».

    Controlli e garanzie

    Ma oggi queste manipolazioni sono ammesse in Italia? «Abbiamo due tipi di trial in materia. Il primo, che prevede l’approvazione del comitato etico, si attua utilizzando non isolamento ed espansione di cellule mesenchimali, ma semplicemente concentrazione del sangue midollare e utilizzo intraoperatorio. In pratica, al paziente, durante l’intervento chirurgico, viene prelevato sangue midollare, questo viene concentrato e miscelato eventualmente con biomateriali, quindi impiantato nello stesso intervento chirurgico. In questo momento è l’intervento più diffuso sul piano nazionale sia per la rigenerazione di lesioni del ginocchio, sia della caviglia. Invece i trial che prevedono il prelievo del midollo, l’isolamento delle mesenchimali e la loro espansione, devono essere approvati dall’Istituto Superiore di Sanità, e sono pochi perché, di fatto, richiedono a monte una cell factory che manipoli le cellule ad hoc».

    Però, oggi, in Italia non c’è nessuno autorizzato a produrre cellule. «Ed è un problema serio», prosegue Fornasari, «perché se noi non abbiamo una serie di cell factories che possa produrre queste cellule per nuovi trial, di fatto i ricercatori italiani che sono molto progrediti sul discorso della medicina rigenerativa si trovano fuori dal VII Programma Quadro europeo sull’utilizzo delle staminali».

    Il collo di bottiglia, in questo momento, è dunque rappresentato dall’assenza di cell factories operative, cioè delle strutture di manipolazione.

    L’importanza della sinergia

    Consapevole che temi cruciali nella ricerca italiana sono coordinazione e sinergie è la Regione Emilia Romagna che, con l’apporto attivo del dottor Fornasari e della Banca e la competenza del dottor Roberto Grilli, direttore dell’Agenzia Sanitaria Regionale, sta dando vita a un organismo, un comitato tecnico scientifico, destinato proprio a coordinare le forze coinvolte, ottimizzandone il lavoro e creando la necessaria sinergia. Spiega Grilli: «Siamo consapevoli della necessità di creare adeguate infrastrutture capaci di seguire tutte le diverse fasi delle attività di ricerca, necessarie fino a fare arrivare i “prodotti” al letto del paziente. L’attenzione a queste problematiche, in regione, non è nuova e i finanziamenti non sono mancati. Però, prosegue Grilli, «il punto a cui siamo arrivati è la consapevolezza dell’obbligo di passare da una logica di sostegno a singoli centri a una logica di sistema e quindi integrare i diversi centri di ricerca sparsi, per favorire la cooperazione. Politiche di costruzione di infrastrutture, insomma, che siano in grado di rispondere simultaneamente alle esigenze dei diversi ambiti di ricerca, in un contesto di integrazione con le università. In concreto? «Già è previsto che le quattro aziende universitarie della regione ricevano ogni anno per tre anni almeno un finanziamento di 10 milioni di euro che sarà destinato a supportare attività di ricerca rilevanti per il servizio sanitario. Il tema della medicina rigenerativa è stato subito identificato come uno di quelli prioritari». Ed è molto rassicurante saperlo, perché ci pare che si tratti di un settore in cui debba proprio esistere un attento occhio collettivo. O le fantasie visionarie e suggestive di un romanziere come Kazuo Ishiguro nel recente e bellissimo Non lasciarmi, che ha per protagonisti dei ragazzi clone, appariranno meno remote di quanto si voglia.

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