In Africa i conti del covid non tornano

Il contenente africano sembrava essere stato risparmiato dalle conseguenze più gravi della pandemia in termini di perdita di vite umane. I dati sulle persone morte nel maggiore ospedale dello Zambia dicono qualcosa di molto diverso

di Jonathan W. Rosen 

I ricercatori sono vicini a risolvere uno dei misteri più grandi della pandemia: perché in Africa il covid ha provocato così poche vittime? Secondo un nuovo studio, non ancora sottoposto a peer review, basato su test sui cadaveri costituisce forse la prova clinica più evidente finora che le morti per covid a Lusaka, e probabilmente in gran parte dell’Africa, sono state ampiamente sottostimate.

Tra gennaio e giugno del 2021, i ricercatori hanno scoperto che il 32% dei morti all’obitorio è risultato positivo al SARS-CoV-2. Il dato è salito all’82% in riferimento alla settimana dell’ondata più letale dello Zambia, a giugno. La maggior parte delle persone era deceduta a casa senza cercare cure e meno del 10% era risultata positiva in vita, un criterio richiesto dalle autorità sanitarie per inserirli nel bilancio ufficiale delle morti per covid.

Anche se alcuni dei defunti contagiati dal virus sono probabilmente morti per cause diverse, le interviste con i parenti e le registrazioni di coloro che avevano cercato cure per sintomi simili al covid prima di venire meno suggeriscono che circa il 70% dei morti adulti risultati positivi è stato “probabilmente” o “forse” vittima del covid

Lusaka, una città di 3,5 milioni di persone al crocevia dell’Africa orientale e meridionale, potrebbe non essere un perfetto indicatore per un continente di quasi 1,4 miliardi, ma gli autori sottolineano che i risultati del loro studio sono coerenti con un corpo crescente di stime di altri paesi della regione: il mondo, secondo loro, potrebbe aver grossolanamente sottovalutato il vero bilancio del covid in Africa. “Il nostro studio sfata il mito secondo cui il covid ha graziato l’Africa”, afferma Christopher Gill, specialista in malattie infettive della Boston University School of Public Health, che è stato uno degli autori principali dello studio.

Il paradosso dell’Africa

Nei primi mesi della pandemia, si temeva che i sistemi sanitari sottofinanziati in Africa sarebbero stati sopraffatti: un rapporto delle Nazioni Unite dell’aprile 2020 prevedeva che solo quell’anno sarebbero morti tra 300.000 e 3,3 milioni di africani. Tuttavia, mentre SARS-CoV-2 e le sue varianti si sono diffuse in tutto il mondo, l’Africa, dove HIV/AIDS, malaria e tubercolosi uccidono più di un milione di persone ogni anno, è apparsa sorprendentemente resiliente. 

All’inizio, secondo Oliver Watson, un epidemiologo dell’Imperial College di Londra, il numero relativamente limitato di voli internazionali della regione e una serie di severi lockdown probabilmente hanno contribuito a tenere sotto controllo la diffusione del virus. Ma anche quando, dopo che la maggior parte delle misure di contenimento è stata allentata e gli studi sugli anticorpi hanno iniziato a dimostrare che SARS-CoV-2 stava circolando ampiamente, la mortalità è rimasta molto inferiore al previsto. Al 7 aprile, i 54 paesi africani avevano registrato solo 251.516 decessi ufficiali per covid, il 4,1% del totale globale, in un continente con il 18% della popolazione mondiale

Fin dall’inizio, l’apparente “paradosso dell’Africa” ha innescato un’ondata di speculazioni. Coloro che cercano di spiegarlo hanno sottolineato che l’Africa è il continente meno urbanizzato del mondo, con un clima che consente incontri all’aperto tutto l’anno. Hanno anche notato che una popolazione più giovane – l’età media dell’Africa è inferiore ai 20 anni – è probabilmente più resistente a una malattia che colpisce più duramente gli anziani.

Alcuni, come Bruce Kirenga, uno pneumologo che ha contribuito a contrastare il covid in Uganda, sospettano che alcune popolazioni africane potrebbero essere meno vulnerabili grazie alla genetica. Altri ipotizzano che una vita di esposizione a diversi agenti patogeni, inclusi altri virus o parassiti endemici delle regioni tropicali dell’Africa, possa conferire un certo livello di immunità che protegge da infezioni gravi.

Molte di queste spiegazioni rimangono plausibili e la maggior parte degli epidemiologi ritiene che la bassa età media degli africani sia davvero un fattore critico. Tuttavia, l’idea più ampia che l’Africa fosse stata “risparmiata” si basava su un presupposto improbabile: che i dati ufficiali sui decessi a livello nazionale fossero in gran parte corretti. 

In contesti poveri di risorse, affermano gli esperti, anche le malattie che esistono da secoli sono spesso soggette a significative sottostime. Secondo l’OMS, meno di un quarto dei decessi stimati per malaria viene calcolato dalle statistiche nazionali ufficiali, in alcuni casi perché mancano le diagnosi e in altri perché i decessi stessi non vengono riportati. 

Qualcosa di simile probabilmente è successo con il covid. I test si sono rivelati costosi e scarsi: a più di due anni dall’inizio della pandemia, secondo i Centres for Disease Control and Prevention, solo un africano su 13, in media, è stato testato. In Nigeria, il paese più popoloso dell’Africa, questa cifra è inferiore a uno su 40.

In molti paesi a reddito medio e alto, le stime dell’eccesso di mortalità – decessi registrati al di sopra di un dato benchmark storico – sono stati utilizzati per valutare se fossero evidenti le lacune nella sorveglianza della malattia. Nella maggior parte dell’Africa, tuttavia, non sono disponibili nemmeno statistiche aggiornate sui decessi. Secondo Stephane Helleringer, un demografo della New York University che studia la mortalità, pochi paesi del continente hanno “una struttura amministrativa abbastanza articolata” per misurare i decessi in modo affidabile e tempestivo.

Tamponi per i defunti

In Zambia, dove i registri dei decessi sono spesso approssimativi e i test per il covid sono stati ostacolati dalla carenza di materiali e dallo stigma che ha accompagnato un risultato positivo, Gill e l’altro autore Lawrence Mwananyanda sospettavano che la causa principale del “paradosso” fosse un semplice mancanza di dati. 

La loro posizione era ideale per verificare questa ipotesi. Dal 2017, il loro team ha testato le malattie respiratorie nei neonati all’obitorio dell’UTH, dove l’80% dei corpi di Lusaka, compresi quelli delle persone morte nelle strutture sanitarie e a casa, viene portato per ricevere il permesso per la sepoltura. 

Avevano macchine PCR di qualità e personale esperto in grado di avvicinare i parenti in lutto e ottenere il loro consenso per la partecipazione a uno studio accademico. Avevano anche un finanziatore, la Bill and Melinda Gates Foundation. Nel giugno 2020, dopo aver rintracciato i composti chimici necessari per elaborare i campioni, il team si è messo al lavoro da un piccolo ufficio vicino all’ingresso sul retro dell’obitorio. Dall’inizio delle loro attività, lo Zambia ha avuto solo una morte ufficiale per covid. 

Il primo round del loro studio, che ha esaminato 364 cadaveri tra giugno e settembre 2020, tutti entro 48 ore dalla morte, ha rilevato la presenza della SARS-CoV-2 in quasi uno su sei. Solo una manciata di defunti era stata testata mentre era in vita. Il loro articolo iniziale, pubblicato su BMJ nel febbraio 2021, ha presentato un argomento convincente a sostegno della loro ipotesi di sottostima. 

Ma era ancora basato su un numero relativamente modesto di casi, quindi il team è tornato nel 2021 per un follow-up più lungo. Questa volta, il loro lavoro ha coinciso con la seconda e la terza ondata della pandemia, che ha colpito più duramente della precedente. 

Nel giugno 2021, mentre la variante delta colpiva Lusaka, l’obitorio che di solito ospitava un paio di decine di corpi al giorno era salito a quasi 100. Il vicolo cieco alberato che conduceva al suo ingresso era bloccato dal traffico. “È stato deprimente”, afferma Benard Ngoma, responsabile dei tamponi sul cadavere del team. “Mi sono tornati alla mente i ricordi dell’apice della crisi dell’HIV/AIDS in Zambia nei primi anni 2000″.

Il nuovo studio mostra che il covid era davvero il colpevole. In questa seconda fase, Ngoma e i suoi colleghi hanno tamponato più di 1.100 cadaveri e hanno riscontrato una positività oltre il doppio di quella osservata prima. Questa volta, la metà di coloro che sono morti per covid negli ospedali era stata testata in vita, ma circa l’80% dei corpi risultati positivi erano persone decedute a casa e quasi nessuno di questi aveva ricevuto una diagnosi ufficiale di covid. 

Rispetto alle vittime del covid in altre parti del mondo, si è scoperto che anche gli zambiani morivano giovani: l’età media dei cadaveri risultati positivi era 48, il 58% aveva meno di 60 anni e il 15% erano bambini o adolescenti. Entrambi i round dello studio hanno rilevato un numero sproporzionato di decessi positivi al covid provenienti dai quartieri più poveri e densamente popolati. Secondo Ngoma, questo dato contrastava con le prime percezioni di molti che vivevano lì, che avevano insistito sul fatto che la pandemia fosse qualcosa che affliggeva solo i “ricchi”.

I nuovi risultati, come quelli pubblicati lo scorso anno, sono accompagnati da alcuni avvertimenti. Anche se lo studio fornisce un’istantanea di come il covid abbia colpito una città africana, offre poche informazioni sul suo impatto nelle aree rurali, dove le lacune sia nella sorveglianza delle malattie sia nella registrazione dei decessi sono maggiori. 

Come ammettono gli autori, il loro metodo per dedurre se la morte di qualcuno risultato positivo al SARS-CoV-2 sia stata causata dalla malattia stessa non è infallibile: i membri della famiglia in genere non sono esperti medici e lo studio delle “autopsie verbali” basate sul ricordo dei sintomi potrebbero essere soggette a qualche errata classificazione. 

Misurando i decessi ma non i tassi di infezione di base, lo studio non tenta di calcolare le possibilità che un residente di Lusaka con SARS-CoV-2 sviluppi un’infezione grave o muoia. (Una meta-analisi dell’OMS di studi sugli anticorpi di 14 paesi africani, che non è stata ancora sottoposta a revisione dei pari, stima che due terzi dei casi nel continente siano stati asintomatici).

Tuttavia, come raro tentativo di sondare il bilancio delle vittime in Africa con dati clinici, il lavoro del team della Boston University ha avuto un impatto significativo, affermano esperti esterni. Nel periodo precedente al suo primo articolo, dice Watson, che ha lavorato a diversi studi relativi al covid in contesti a basso reddito, c’era un “sostanziale equilibrio” all’interno del mondo accademico tra coloro che credevano che ci fosse “qualcosa di fondamentalmente diverso nel numero di decessi in Africa e coloro che sottolineavano la mancanza di dati. 

Lo studio in Zambia, dice, ha svolto un ruolo importante nello “spostare la narrativa” verso quest’ultima ipotesi. L’ugandese Kirenga afferma che lo studio è in linea con le sue osservazioni sulla probabile sottostima. 

Ma Roma Chilengi, consigliere speciale per il covid del presidente dello Zambia Hakainde Hichilema, che dirige anche l’organizzazione che compila i dati ufficiali di sorveglianza dello Zambia, afferma di credere ancora che la pandemia non sia stata letale nel suo Paese come previsto: inizialmente si temeva che “si sarebbe diffusa a macchia d’olio”, ma non è successo. Tuttavia, Chilengi concorda con le conclusioni dello studio. “Non c’è dubbio che abbiamo avuto molte persone che sono morte di covid, ma non sono state diagnosticate”, dice.

Sopravvissuti e algoritmi: la stessa versione

Al di là dei cadaveri dell’UTH, un numero crescente di studi non clinici conferma la mancata registrazione di morte per covid in Africa. Un articolo pubblicato su “The Lancet” lo scorso maggio, che ha tracciato quasi 6.800 pazienti confermati o sospetti di covid indirizzati a strutture di terapia intensiva in 10 paesi africani, ha rilevato che meno della metà è stata ricoverata e il 48% di questi sono morti entro un mese

Secondo gli autori del documento, ciò rappresenta un’eccessiva mortalità intraospedaliera da 11 a 23 decessi ogni 100 pazienti rispetto alla media globale, una cifra collegata a un personale insufficiente e alla frequente assenza di interventi salvavita come l’ossigenazione e la dialisi. 

Sebbene lo Zambia non sia stato incluso nello studio, la gente del posto mi ha detto che le carenze terapeutiche erano evidenti. Sky Banda, un residente di 58 anni di Kaunda Square, un complesso che prende il nome dal primo presidente dello Zambia, afferma che molti membri della comunità che si sono ammalati durante il culmine della pandemia hanno interpretato il ricovero in ospedale come un “viaggio diretto all’obitorio”. La maggior parte dei pazienti ha invece optato per trattamenti casalinghi a base di erbe.

Onechi Lwenje, un regista di 36 anni che ha trascorso una settimana nel reparto covid dell’UTH durante la seconda ondata in Zambia all’inizio del 2021, afferma che il personale era così sopraffatto dai casi che alcuni pazienti sarebbero morti e non sarebbero stati scoperti per ore. “La maggior parte delle persone che sono entrate in quel reparto non sono mai uscite”, dice.

Anche in presenza di queste incertezze sui dati, i tentativi di approssimare l’eccesso di mortalità attraverso soluzioni statistiche supportano la teoria della sostanziale sottostima. Un modello di apprendimento automatico sviluppato da “The Economist”, basato su più di 100 indicatori correlati all’eccesso di decessi nei paesi in cui tali dati sono disponibili, suggerisce che l’Africa ha registrato da 1,1 a 3 milioni di decessi in eccesso dall’inizio della pandemia

Un modello dell’Institute of Health Metrics and Evaluation dell’Università di Washington, incluso in un documento pubblicato da “The Lancet” a marzo, stima il numero, a dicembre 2021, a 2,1 milioni per la sola Africa subsahariana, con una stima per lo Zambia di 81.000, vale a dire 20 volte il pedaggio ufficiale di 3.967. 

Gli esperti avvertono che questi modelli, che sono costruiti con algoritmi in gran parte formati su dati provenienti da paesi ricchi, devono essere utilizzati con cautela. Tuttavia, le stime sulla mortalità in eccesso dal Sud Africa, che si basano su record di decessi effettivi, dipingono un quadro sostanzialmente simile. 

Il tasso di mortalità ufficiale per covid di quel paese, in parte grazie a una migliore sorveglianza, è quasi otto volte più alto di quello dello Zambia, ma il Medical Research Council, affiliato allo stato, stima che le morti siano sottovalutate di un fattore tre.

Mwananyanda, un ex clinico e ricercatore che ora è uno dei principali consulenti di Hichilema, ritiene che i due paesi abbiano abbastanza in comune da suggerire che i loro tassi reali di morte per covid siano probabilmente simili. “Penso che quello che è successo in Sud Africa sia esattamente quello che è successo qui”, dice. “L’unica differenza è che loro hanno un sistema per raccogliere e dare un senso ai dati e noi no”.

Domande persistenti

Sebbene il team della Boston University abbia già compiuto progressi sostanziali nel compensare tale divario di dati, il suo studio ha anche portato alla luce alcune domande mai abbandonate. Una grande incognita riguarda l’argomento della precedente ricerca di Gill e Mwananyanda: le morti pediatriche. Mentre la maggior parte degli adulti morti con covid nel loro studio presentava i soliti sintomi respiratori della malattia, entrambe le ricerche hanno scoperto che la maggior parte dei bambini piccoli con covid non lo faceva.

Secondo Gill, ciò potrebbe essere dovuto al fatto che la loro morte non era correlata al virus. In alternativa, sospetta, SARS-CoV-2 potrebbe avere un impatto pediatrico maggiore in contesti in cui i bambini sono spesso denutriti e affetti da altri disturbi rispetto a quanto accade in Occidente, dove le morti infantili sono state minime. Una terza fase del progetto, iniziata a febbraio, cercherà di svelare questo mistero conducendo biopsie sui cadaveri dei bambini risultati positivi. “È una teoria totalmente plausibile”, dice Gill, “ma va dimostrata”. 

Data la traiettoria attuale della pandemia, tuttavia, Gill non è sicuro se il suo team ne avrà la possibilità. Come in gran parte del mondo, l’arrivo della variante omicron in Zambia lo scorso dicembre ha segnato un grande picco di infezioni. Ma quando ho visitato l’obitorio dell’UTH a marzo, tutti, dal personale del progetto ai negozianti che vendono bare vicino all’ingresso, hanno detto che l’ultima ondata aveva causato molte meno morti di quelle precedenti. 

Anche se solo il 12% degli zambiani è completamente vaccinato – le autorità sanitarie hanno le dosi, ma hanno lottato per combattere le esitazioni e i colli di bottiglia logistici – molti nel paese credono che la fase peggiore del covid sia passata. 

Qualunque cosa accada, Gill e Mwananyanda si aspettano che una comprensione più profonda del suo impatto continuerà ad emergere: il personale del progetto ha recentemente trascorso mesi a perlustrare i registri delle sepolture in tutta Lusaka per raccogliere dati a sostegno di un’analisi della mortalità eccessiva intesa a evidenziare la gravità della sottostima. 

Immagine: Pixabay

(rp)

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