In un numero speciale della rivista dell’Arel, oltre trenta studiosi, poltici e operatori della informazione si interrogano sulla funzione del dubbio, in bilico tra una demoralizzante incertezza e una improbabile certezza.
di Giordano Ventura
Il dubbio, si sa, è doppio. A parte la facile allitterazione, infatti, quando si dubita, o lo si fa, cartesianamente, per conseguire qualche certezza indubitabile, o ci si rammarica che vengano poste indubbio certezze apparentemente indubitabili.
A questo doppio senso, che non riesce a conferire, né in un senso né nell’altro, un impegno operoso a una condizione di incertezza a cui per altro la ricerca scientifica è predisposta da tempo – nel mettere in dubbio, nel “falsificare”, Karl Popper, come è noto, individuava il compito precipuo della scienza – è dedicato un numero speciale (il 2/2016) della rivista dell’Arel, in cui sono raccolti oltre una trentina di qualificati intereventi di taglio principalmente politico e sociologico, ma anche filosofico ed epistemologico.
L’avvio è alla insegna della incertezza, con tutti i disagi psicologici e sociologici che il non sapere cosa fare e dove andare comporta. La incertezza costituisce un riscontro aleatorio, ma persistente della crisi istituzionale i cui protagonisti sono una politica sempre più delegittimata e l’onda lunga del populismo, che, nonostante i recenti successi elettorali, sembra non trovare sbocchi risolutivi.
Non a caso alla incertezza rispetto ai valori e agli assetti tradizionali fa riscontro un eccesso di certezza, che non trova altre motivazioni se non quelle di un antagonismo a oltranza. In entrambi i casi, si tratta di una oscillazione tra due eccessi a cui fa difetto una mediazione adeguata agli attuali processi decisionali. Non a caso, in una intervista di grande chiarezza e incisività, Gianfranco Pasquino riafferma la necessità di “un bilanciamento legato ad un sistema di pesi e contrappesi e basato su un sano equilibrio fra le istituzioni”.
Ma è chiaro che un equilibrio del genere non può scaturire da una regolamentazione costituzionale, anche se il dibattito sulla riforma della Costituzione torna in molti degli altri interventi. Si rende piuttosto necessario un processo decisionale basato, appunto, su un esercizio metodologico del dubbio, come scrive Marco Meloni, perché nel dubbio può trovare espressione la necessaria moderazione di qualsiasi leadership che non si dimostri incline a derive autoritarie. E perché nel dubbio lo stesso processo decisionale si pone come un confronto dialettico senza chiusure pregiudiziali, ma in grado di “vincere l’autoreferenzialità attraverso l’autorevolezza”.
Proprio nella rimozione dei pregiudizi, Rosario Nunzio Mantegna, fisico ed economista, individua il ruolo della scienza, che “non regala certezze, ma rimuove pregiudizi”, ed è ciò che fa della scienza “una isituzione collettiva umana”. Questo è anche il senso dell’affermazione di don Luigi Ciotti, secondo cui “la mia vita è piena della vita degli altri”, nel senso che ogni vita si alimenta e si fa forte di un sistema di relazioni consentanee.
Molto ancora ci sarebbe da segnalare, ma qui basta ricordare la considerazione conclusiva dello scrittore e critico letterario Nuccio Ordine il quale, riconducendo il dubbio nell’ambito della tradizione umanistica, ne prospetta il ruolo fondamentale contro le “comode certezze offerte dagli spacciatori di verità assolute”. E ricorda una immagine adottata sia da Giordano Bruno, sia da Montaigne: quella “della filosofia come caccia e del filosofo come cacciatore che non riesce mai a raggiungere la sua preda”.