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    Il tempo ritrovato: nuove architetture nei consumi culturali

    di Mario Morcellini

    Nelle società avanzate, le scelte e i comportamenti del tempo libero assumono un valore simbolico, sociale ed economico sempre più rilevante, cambiando radicalmente segno rispetto alle descrizioni di routine a cui siamo stati a lungo abituati. A emergere più nettamente sono alcuni trend che – già nella loro formulazione – potevano apparire, in passato, retorici, moralistici e, soprattutto, singolarmente approssimativi: la centralità e la trasversalità del tempo libero nella vita quotidiana, l’irriducibile «multidimensionalità dei suoi contenuti e, infine, la crescente affermazione del loisir come spazio elettivo di un potente movimento verso la soggettività e la pluralizzazione che caratterizza la condizione tardo-moderna.

    Da questo punto di vista, il tempo libero non rappresenta più un momento marginale di «non occupazione», ma al contrario incarna una funzione di tempo soggettivamente significativo. La sua espansione si accompagna alla progressiva erosione del primato attribuito in epoca industriale al lavoro quale principale agenzia di socializzazione e di autorealizzazione dei soggetti: una serie crescente di energie e risorse individuali vengono proiettate fuori dalla sfera lavorativa e investite, in buona parte, nei consumi culturali, al punto che oggi gran parte dei bisogni umani di identità, relazione e valorizzazione della vita quotidiana (in passato confluenti verso il lavoro, la politica, le ideologie) sono gratificati e soddisfatti dal consumo e dalla comunicazione. Ricorrendo a una metafora solo parzialmente retorica, il tempo libero sta al lavoro (ma anche al ruolo socialmente «indossato») come l’«anima» sta al corpo.Per esplorare i nuovi modelli del tempo libero degli italiani si impongono più adeguate categorie interpretative.Per altri versi – e qui scatta un’acquisizione più recente – le routines quotidiane sono scandite non più solo dai tempi dei media, ma da una pluralità di interessi e di attività che definiscono i ritmi di un nuovo tempo di vita. Soprattutto il declino del monopolio incontrastato di alcuni consumi mediali invita a riflettere sul significato del lento dissequestro del tempo libero rispetto ai vecchi mezzi di comunicazione generalisti e – soprattutto nel caso italiano – dalla TV. Solo negli ultimi anni, il nostro paese sembra gradualmente emanciparsi dalla tradizionale «monomedialità televisiva», per dirigersi verso una ridistribuzione sociale del consumo culturale e una più ampia diversificazione negli interessi e nelle scelte individuali: l’egemonia della TV comincia a cedere sotto l’«impatto multimediale» esercitato tanto dalle nuove tecnologie, quanto da una serie di consumi culturali outdoor e dal vivo, attualmente protagonisti di una stagione di rinnovata vitalità espressiva e, comunque, di un deciso riposizionamento nella tradizione del loisir di casa nostra.

    C’è stato qualcosa di sensazionale e di straordinario nel patto che ha unito gli italiani al loro «medium elettivo». Di fatto, in Italia la televisione ha giocato un ruolo assolutamente centrale: per decenni gli studiosi hanno denunciato il rapporto unilaterale ed eccessivo che contrassegnava la dinamica dei consumi culturali nella società italiana, in cui l’ingordigia da TV avrebbe tradizionalmente ostacolato il configurarsi di una diversa «economia dell’attenzione» e, dunque, una distribuzione più equilibrata dei comportamenti di consumo lungo tutta la tastiera dei mezzi di comunicazione. In altri termini, l’eccesso di appeal esercitato dalla televisione sembrava aver insidiato l’autorevolezza e la singolarità degli altri media, finendo per rendere questi ultimi dimensionalmente minoritari, soprattutto in termini comparativi rispetto alle industrie culturali degli altri paesi europei.

    Lo spostamento del pubblico della televisione segna oggi una radicale inversione di rotta all’interno della nostra storia culturale, individuando un momento topico di straordinaria importanza su cui riflettere. Mai come negli ultimi anni appare chiaro quanto la disinfiammazione del pubblico dalla TV lasci finalmente emergere un tessuto di svaghi e consumi culturali diversificati e alternativi, prospettando una graduale europeizzazione degli stili comunicativi degli italiani. In questo senso, le statistiche provano che l’avvento della modernità ha rappresentato una fase in cui i soggetti sociali hanno letteralmente «preso le misure» alla televisione, giocando una partita di personalizzazione dentro il labirinto dei generi e dei linguaggi.

    L’allargamento e la diversificazione dei comportamenti di consumo culturale emergono inequivocabilmente dall’analisi della società italiana, così come percepita dalla prospettiva grandangolare dell’ISTAT. Gli anni Novanta sono segnati, di fatto, dalla progressiva sottrazione di soggetti dalla sfera della non partecipazione culturale, una condizione in passato imputabile principalmente alle divaricazioni di censo e di classe. Il fatto che, di fronte alla vetrina scintillante della comunicazione, i soggetti possano essere in qualche modo più liberi rispetto ai condizionamenti socioeconomici costituisce una scoperta quasi rivoluzionaria, che la riflessione scientifica – a lungo accanitasi contro il classismo della cultura – sembra paradossalmente sottovalutare.

    Soprattutto nel corso dell’ultimo quinquennio, all’indebolimento della centralità televisiva si sono accompagnati, di fatto, straordinari incrementi in tutti i consumi culturali di alto profilo. La conferma viene proprio dalle Indagini Multiscopo ISTAT, che – nell’arco del quinquennio 1995-2000 – rilevano un costante aumento dell’interesse del pubblico italiano per tutti i diversi spettacoli e intrattenimenti caratterizzati da un sostanziale ancoraggio alla dimensione territoriale: dal cinema alle discoteche, dai concerti di musica leggera agli spettacoli sportivi, fino alle pratiche tradizionalmente più elitarie quali la frequentazione di musei, mostre, concerti di musica classica, rappresentazioni teatrali, siti archeologici e monumenti. La sensibile e costante ascesa registrata, negli ultimi anni, da praticamente tutte le pratiche culturali dal vivo e i consumi outdoor segnala eloquentemente la forza del rinnovamento in atto nello scenario dei consumi culturali e dei meccanismi della loro valorizzazione sociale.

    Dal punto di vista di simili cambiamenti, la forza simbolica e metaforica del concetto di tempo libero risiede allora nella sua capacità di offrire una prospettiva nuova e illuminante: da essa si può derivare una tale densità di dinamiche, senza rinunciare al valore aggiunto di una «visione sistemica». Al contrario, proprio quest’ultima può essere assunta come chiave di lettura privilegiata delle nuove costellazioni sociali del consumo culturale, del complesso sistema di «rischi» e di «opportunità a esse associato. Di fronte a una rivoluzione immateriale senza precedenti, che assume le proporzioni e la fisiologia di una vera e propria svolta antropologica, la ricerca è chiamata, infatti, a elaborare nuove e più adeguate categorie interpretative per una messa a fuoco non approssimativa dei nuovi modelli di produzione/consumo del tempo libero.

    è in gioco un vero e proprio cambiamento di paradigma, che impone un profondo ripensamento delle tradizionali coordinate a disposizione dell’analisi culturale, anche e soprattutto in direzione di una lettura globale e integrata delle dinamiche di loisir e di una loro piena contestualizzazione entro la più ampia dimensione della vita quotidiana.

    è alla luce di simili «emergenze» di ricerca che, nell’aprile 2001, è stata costituita un’unità di ricerca sulle moderne dinamiche del tempo libero presso il Dipartimento di Sociologia e Comunicazione dell’Università «La Sapienza». L’obiettivo del progetto MediaLoisir è stato, fin dall’inizio, quello di procedere a una mappatura dei nuovi vissuti e stili del tempo libero degli italiani: in altri termini, un’esplorazione ad ampio raggio delle sue dimensioni simboliche e dei suoi nuovi «protagonisti», condotta attraverso la produzione di profili empirici supportati da analisi quanti/qualitative delle percezioni e delle attività.

    L’obiettivo istituzionale è stato quello di promuovere la costituzione di un vero e proprio osservatorio sul tempo libero degli italiani, volto al monitoraggio di un fenomeno la cui conoscenza assume sempre maggior centralità all’interno delle politiche pubbliche e private. Inserendosi nel contesto di una consolidata attività di ricerca in materia di consumi culturali, promossa da diversi docenti e ricercatori del Dipartimento, l’iniziativa vuole rappresentare, al tempo stesso, un correttivo e un elemento equilibratore contro un tradizionale sbilanciamento sul versante dell’analisi mediale.

    Entro questo quadro d’analisi, l’approccio proposto al tempo libero si configura anzitutto come un contributo all’elaborazione di un nuovo modello interpretativo, empiricamente fondato e capace di non sacrificare il valore aggiunto di un’ottica sistemica al solo carisma dei media. In particolare, la proposta d’analisi articola la propria strategia intorno a un duplice baricentro: da una parte, il senso del loisir, quale ottica privilegiata da cui intercettare le rappresentazioni prevalenti del tempo di vita, a partire dalla stessa multidimensionalità delle definizioni soggettive; dall’altra, la vetrina delle attività del tempo libero, attraverso cui un intero caleidoscopio di consumi e di opzioni di natura culturale, espressiva e ricreativa, si offre all’esperienza di vita del soggetto moderno.

    All’analisi delle attività e dei vissuti del loisir fa da cornice la convinzione che la gestione del tempo libero e i significati simbolici associati alle sue multiformi architetture costituiscano, di fatto, un’efficace lente d’ingrandimento del nuovo protagonismo del soggetto moderno, dell’aumento dei suoi poteri di negoziare la realtà e di soddisfare attivamente i bisogni che orientano il suo agire. Da questo punto di vista, la progressiva legittimazione dell’ideologia e della pratica del loisir presso settori sempre più ampi della popolazione sancisce una netta priorità del tempo scelto sul tempo ordinato, disegnato in qualche modo «dall’alto»: in altre parole, la centralità degli usi del loisir rispetto alla macchinosità della sua offerta.

    Il moderno significato del tempo libero va allora interpretato anzitutto dal punto di vista di una nuova soggettività, capace di intercettare ed elaborare dimensioni orizzontali e non mediate dell’esperienza, e di attingere a piene mani dalle reti della multimedialità. Al tempo stesso, proprio l’exploit tecnologico dei nostri anni torna a riproporre bruscamente la questione dell’uguaglianza, nei termini precisi di una nuova libertà per tutti di avere accesso alla disponibilità e alla competenza del loisir: la disuguale distribuzione delle risorse culturali e comunicative tra gli individui e i popoli costituisce uno dei più stridenti paradossi della globalizzazione, nell’epoca in cui – di fronte al progressivo tramonto delle tradizionali forme di mediazione – la cultura e la comunicazione si offrono come la forma più universale di partecipazione alla società.

    Ora, l’accresciuta autonomia e libertà conquistate dall’attore sociale di fronte alla vetrina scintillante della cultura e della comunicazione si accompagna, di fatto, alla necessità di fondare la competenza del tempo libero su una qualche forma di alfabetizzazione e di «civilizzazione». Diventa evidente, allora, quanto la democratizzazione del tempo libero passi attraverso un crescente investimento – esistenziale e della società – nell’istruzione, ma anche nell’esercizio individuale a gestire la complessità del loisir attraverso la quotidiana familiarità con i media stessi e la comunicazione.

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