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    Il tema del futuro

    La crisi dei media riflette una crisi della comunicazione? E quest’ultima riflette una crisi della socializzazione?

    di Mario Morcellini

    Il titolo Il tema del futuro, soprattutto se declinato con riferimento ai media, implica una messa in guardia relativa a tutte le possibilità umane di fare previsioni fondate. è evidente, infatti, che previsioni e simulazioni che possono essere prospettate sul futuro tendono essenzialmente conto dei dati di realtà disponibili nel momento storico e nell’ambiente socio-culturale di chi effettua la previsione. Già questo rappresenta un limite cognitivo strutturale, poiché non è facile anticipare oggi quali saranno le realtà comunicative di domani. Anche a essere cauti, e dunque immaginando che il ritmo di innovazione dei media sia equivalente a quello di oggi, è quasi impossibile immaginare quali saranno i media che oggi definiamo strategici, quelli cioè che sono capaci di condizionare il clima culturale.

    Al netto di questa osservazione tautologica (perché è chiaro che noi immaginiamo le tecnologie di oggi o le loro evoluzioni) due dimensioni si possono azzardare meno rischiosamente. La prima riguarda l’impatto culturale della comunicazione del futuro e in quale misura essa accorcerà le distanze tra comunicazione e cultura, mentre la seconda enfatizza il rapporto tra tecnologie e persone, o meglio tra tecnologie e generazioni.

    La vertenza qualità e la vertenza contenuti

    Sull’ipotesi che il futuro veda abbreviare le distanze tra media e cultura, mi sento di escludere che la comunicazione del futuro sia così povera di qualità e di innovazione come quella di oggi. Per quanto si possa parlare positivamente della comunicazione di oggi, e ciò implica chiudere gli occhi su molte contraddizioni, è difficile non annotare che due vertenze sono al centro della scena: la prima è la vertenza qualità, che, tradotta in termini non demagogici parte dalla circostanza che non di rado i soggetti sociali sembrano più forti dei contenuti offerti dalla vetrina dei media. Si assiste, cioè, a una asimmetria della comunicazione rispetto ai sistemi di attese e all’evoluzione della mentalità collettiva.

    La seconda è la vertenza contenuti. I messaggi mediali sono poco innovativi, incredibilmente fotocopiati tra i diversi media, a volte anche nel rimbalzo della Rete sono caratterizzati, comunque, dal fatto di essere scarsamente elaborati. Quindi sia qualità che contenuti (le due cose non sono uguali, ma per il momento le possiamo considerare interdipendenti) costituiscono una vertenza aperta. è impensabile che i media sopravvivano non innovando i meccanismi produttivi, le professionalità coinvolte e, alla lunga, i contenuti stessi della comunicazione. Quindi, l’ipotesi che avanzo, debitamente azzardata, è che il futuro sarà dei contenuti. Fondo questa idea sulla presa d’atto che la bolla comunicativa di oggi, che vede confusione, ripetizione, cascami della cultura di massa, sia destinata a esaurirsi, forse travolgendo quegli studiosi che hanno troppo euforicamente cantato le bellezze della comunicazione.

    Sul combinato disposto tra soggetti sociali e strategie di selezione nel mercato dell’offerta di consumi culturali è più difficile fare una profezia che non sia avventata. Una questione, però, si pone drammaticamente e coincide con un radicale spartiacque di generazione. Già oggi si può procedere a una sorta di tracciabilità del dividendo digitale per età. Comincia a vedersi chiaramente che la vertenza non è più sociale, ma un age-divide. è difficile non pensare che questo aspetto si riprodurrà senza adeguate politiche di contrasto. Almeno a breve, l’essere giovani (o essere adulti in una famiglia con juniores), sarà l’elemento strategico per innovare le diete comunicazionali. Con più precisione, ipotizzo che i centri propulsori d’innovazione, ma anche di acquisizione delle tecnologie pregiate o di elettronica di consumo, siano giovani e adulti con figli in età di formazione. Sono quelli più assetati di gestire la comunicazione come elemento di rimediazione delle differenze di età.

    Coerentemente con il quadro illustrato, è necessario tematizzare con rigore il rapporto tra media e giovani generazioni, con un’attenzione particolare al tema della soggettività della scelta. Prima di dirimere la questione relativa a un giudizio complessivo sui comportamenti culturali dei giovani, non si può non sottolineare come le singole scelte di consumo siano spesso il frutto di percorsi di socializzazione all’offerta dei media personali e innovativi, utilizzati a volte come strumento – più o meno consapevole – per marcare la differenza con il mondo degli adulti. Ciò che sorprende e che stimola la riflessione è l’estrema variabilità della mappa dei consumi culturali dei giovani: su questo è comunque possibile delineare alcune tendenze di lungo periodo.

    I media e il mondo dei giovani

    Intanto è altamente probabile che non si manifestino, almeno con il peso di oggi, sacche rilevanti di dipendenza monomediale che ancora caratterizzano il mondo giovanile di oggi. Quasi nessuno lo dice: è vero che sono più gli adulti i monomediali, ma ci sono anche curiose resistenze nel cluster giovanile. è sostenibile l’ipotesi che i giovani saranno per definizione multipiattaforma, o meglio, con una parola più rigorosa, multitasking. Dovrebbe attenuarsi quell’avvitamento bizzarro in forza del quale oggi gli adulti sono il luogo del generalismo e i minori il luogo dell’innovazione culturale. è più probabile che ci sarà una compenetrazione di cluster e una minore differenza linguistica tra i contenuti delle due province di comunicazione. Oggi il generalismo si riconosce facilmente rispetto allo spontaneismo linguistico della Rete. Non è impossibile pensare che la Rete si possa – questa è una formula su cui non mi sento di azzardare una proposta, ma la voglio almeno enunciare – istituzionalizzare di più, e dunque la Rete possa riproporsi come ricompensa del generalismo in crisi, risarcimento sociale di un vuoto di contenuti che oggi non si può più intercettare nel grande atlante dei vecchi media.

    è difficile immaginare che la Rete possa farsi carico di ricomporre la distanza che oggi osserviamo con nettezza tra le competenze e le possibilità espressive dei giovani e la tradizione culturale del passato. Su questa questione, però, occorre fare attenzione: alcuni interessanti fenomeni, come un nuovo fermento dei codici linguistici testuali, testimoniano uno scenario che non regge ai facili schematismi del nuovo che vorrebbe il digitale in grado di fare piazza pulita della strumentazione espressiva e linguistica del passato. Questo evento si è già realizzato, e devo dire che è stato lucidamente annotato da uno studioso come Ong (Ong W. J., Oralità e scrittura: le tecnologie della parola, il Mulino, Bologna, 1986). La Rete ha imposto, con buona pace delle profezie apocalittiche dei sociologi e l’eccesso di diagnosi impegnate sull’oralità, con incredibile forza, un ritorno alla centralità della parola scritta. Sempre più soggetti accedono ai testi, e questo meriterebbe una più attenta valutazione storica e culturale.

    Il fatto che il testo, l’espressione più compiuta della “mentalizzazione” della vita, dello stoccaggio dell’esperienza e della codificazione (anche ai fini della memoria sociale), coinvolga un numero imponente di persone è davvero una novità rivoluzionaria, che dovrebbe essere colta più adeguatamente dagli studiosi di linguistica. Troppi credono che l’influenza della comunicazione si concentri sull’oralità, ma è soprattutto sulla scrittura che agisce l’impatto dei media. è impressionante prendere atto di quanto il circuito ristretto della scrittura, fondato su un meccanismo minoritario, si sia infranto. E i giovani ne sono la testimonianza d’avanguardia.

    Esposizione informativa, media education e recessione culturale

    L’esempio appena citato offre una decisiva indicazione metodologica: è possibile spostare in avanti l’orizzonte previsionale sul futuro dei mezzi di comunicazione a patto di non dismettere la strumentazione teorica che deriva dagli studi sui cosiddetti old media. Un altro terreno in cui la crisi di legittimità e l’emersione di comportamenti nuovi rischia di paralizzare la riflessione è quello del giornalismo in Rete. è necessario infatti prendere su di sé l’onere di tematizzare la crisi del giornalismo senza occultare le forme di consumo partecipativo degli utenti più attrezzati culturalmente. Per queste forze contrastanti in gioco (da una parte i fermenti culturali del giornalismo dal basso, dall’altro il pericoloso scollamento tra giovani lettori e giornali tradizionali), è difficile vedere chiaro nell’esperienza complessiva del giornalismo in Rete. Ancora più difficile è capire se la vocazione alla produzione di contenuti possa essere una nuova piattaforma di formazione e quindi di collegamento tra i giovani e i tradizionali settori professionali dell’informazione. Da un lato siamo assolutamente convinti che l’esposizione dei soggetti è aumentata, contrariamente a quello che raccontano molti studiosi del giornalismo. Se si fa l’addizione del mondo dell’editoria giornalistica, del libro e dell’informazione online, il numero di utenti è più imponente che in passato. Che tutto ciò si traduca anche in un uso pedagogico è ovviamente più complicato. Dipende molto dalla forza educativa dei docenti e dalla sintonia che riescono a stabilire con gli allievi. Le esperienze di media education sono affascinanti, ma minoritarie. Occorre capire meglio perché non riusciamo a diffonderle e a farle diventare un patrimonio di massa.

    Volendo generalizzare la riflessione, è opportuno guardare al futuro cercando di intercettare la postura comunicativa di domani, con particolare attenzione al ruolo degli ambienti che, prima della travolgente ascesa dei media, erano in grado di ricomporre il quadro tra le aspettative, i bisogni individuali e la società pensata nel suo complesso.

    In questo senso, la riflessione sul mutato assetto di potere delle tradizionali agenzie di socializzazione non può essere di-sgiunta dall’analisi del clima culturale del nostro tempo, che non è certo in buone condizioni di salute, al punto che noi parliamo esplicitamente di “recessione culturale”. Nell’immediato futuro occorrerà seguire con grande attenzione la dinamica di questa recessione, documentando i punti di crisi e le parole chiave ai fini di un atlante della cultura moderna. Solo da un’autoriflessione di questo genere può prendere le mosse un progetto di trasformazione, che sia in grado di offrire una meta convincente ai bisogni sociali, all’insoddisfazione per lo stato di cose esistente e alla coscienza civile.

    Ma su questa dimensione di prospettiva avremmo occasione di tornare prossimamente.

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