Il segreto per migliorare la birra potrebbe risiedere nelle reti di segnalazione cellulare

Riutilizzare il lievito è un vecchio trucco del produttore di birra che consente di risparmiare tempo e denaro, ma alla fine si ritorce contro chi lo adotta, perché la qualità del lievito diminuisce nelle generazioni successive.

di ArXiv

Una delle pratiche più antiche e di maggior successo è la fermentazione della poltiglia a base di cereali per creare un liquido ricco di etanolo. In altre parole, la produzione di birra.

Al centro di questo processo c’è il lievito, un fungo monocellulare prezioso per i produttori di birra, che hanno imparato a raccoglierlo dal liquido fermentato e riutilizzarlo per le volte successive. Questo trucco, chiamato “ripetizione seriale”, consente di risparmiare tempo e denaro.

Tuttavia, dopo diverse generazioni, la qualità del lievito inizia a diminuire, in quanto altera la fermentazione e introduce sapori che rovinano la birra.

Ma perché succede? Il problema con la ripetizione seriale fa sì che produttori di birra e i biologi cellulari si interroghino su cosa nel processo di fermentazione sta rendendo le nuove generazioni di lieviti meno capaci di fermentare.

Una prima risposta arriva da Bianca Telini e colleghi del gruppo di ricerca sul lievito di birra dell’Università Federale del Rio Grande do Sul in Brasile. A loro parere, lo stesso etanolo può essere responsabile del cambiamento, perché ad alte concentrazioni crea una sorta di stress per le cellule di lievito che cambia il modo in cui funzionano i loro meccanismi molecolari.

In realtà, i biologi cellulari sanno da tempo che la fermentazione perde di efficacia all’aumentare della concentrazione di etanolo. Ecco perché la fermentazione non può produrre liquidi con una gradazione alcolica superiore a circa il 20 per cento.

L’etanolo uccide il lievito in concentrazioni abbastanza elevate. Ma la produzione della birra avviene a concentrazioni significativamente più basse, dove l’etanolo si limita a stressare le cellule, in modo molto simile a quanto accade con le temperature elevate.

Una teoria del perché il lievito diventa meno efficace su generazioni di ripetizioni seriali è che la fermentazione seleziona i lieviti che sono più tolleranti all’etanolo, e questi sono anche in qualche modo di qualità inferiore.

Il problema con questa teoria è che le prove non la confermano. Per tutto il 2007, i ricercatori hanno cercato una conferma all’esistenza di cambiamenti genetici nel lievito di birra coinvolto nella ripetizione seriale. Ma dopo 98 generazioni, non hanno trovato alcuna prova di questi cambiamenti nel lievito. I discendenti del lievito erano geneticamente identici ai loro antenati.

Quindi se il lievito non si “evolve”, qualcos’altro deve essere responsabile della fermentazione compromessa. L’ovvia domanda è cosa.

Nel corso dei millenni, gli organismi hanno sviluppato vari complessi meccanismi biochimici per far fronte a fattori che li stressano. Per esempio, le cellule vegetali (e altre cellule) reagiscono a temperature elevate con la cosiddetta risposta agli shock termici. Lo studio di questa risposta è diventato un’area di intensa ricerca per gli scienziati che sperano di sviluppare colture in grado di prosperare nei climi più caldi.

Quello che hanno scoperto è che la risposta allo shock termico fa sì che la cellula inizi a produrre gruppi proteici chiamati chaperones che aiutano a combattere gli effetti delle temperature più elevate. Il calore tende a cambiare la forma delle proteine e, quindi, la loro funzione. I chaperones molecolari mitigano questo processo prevenendo o invertendo l’errato ripiegamento delle proteine.

La risposta allo shock termico è un processo complesso perché le cellule sono in grado di produrre migliaia di proteine diverse. Ma solo un sottoinsieme di queste proteine viene espresso in ogni istante e i sottoinsiemi differiscono all’interno di ciascun organulo cellulare.

Quindi mantenere la funzione di queste proteine – la proteostasi – richiede un meccanismo di segnalazione complesso che attiva i geni rilevanti in ciascun organulo. Questo processo di commutazione deve essere coordinato attraverso la cellula, poiché gli organuli dipendono l’uno dall’altro.

Il processo di comunicazione e coordinamento si chiama CORE (cross-organelle response), ed è poco compreso. Ma questa è un’importante area emergente della biologia cellulare: i biologi stanno iniziando a rendersi conto che il CORE svolge un ruolo cruciale non solo nella risposta allo shock termico ma nel metabolismo in generale, e persino in processi come l’invecchiamento.

L’idea chiave che Telini e altri esplorano è che l’etanolo induce un processo simile allo shock termico e che questa “risposta allo shock dell’etanolo” debba anche essere strettamente collegata al CORE. Ipotizzano che questo in qualche modo riduca la vitalità delle cellule di lievito durante la ripetizione seriale. Ma esattamente come non è ancora chiaro.

Una possibilità sta iniziando a emergere. I chaperones molecolari nei lieviti aiutano a garantire che le proteine si pieghino nella forma corretta. Ma questo può portare a cambiamenti strutturali nel genoma stesso. Quindi un’alta concentrazione di etanolo non cambia il codice genetico o il fenotipo del lievito, ma può cambiare la forma del genoma e di conseguenza il modo in cui funziona.

Gli organismi di lievito che vengono riciclati durante la ripetizione seriale nuotano letteralmente nell’alcool, che innesca una risposta costante simile allo shock.

Ciò significa che le cellule sono piene di chaperones che fanno gli straordinari per mantenere stabile la funzione proteica. La nuova teoria è che ciò riduce inevitabilmente la vitalità del lievito. Infatti, i ricercatori hanno scoperto che il lievito mantenuto in alti livelli di etanolo in laboratorio alla fine mostra cambiamenti nella struttura genomica. Hanno lo stesso codice genetico, ma il DNA è disposto in una forma diversa. In laboratorio, questo diventa evidente dopo oltre 250 generazioni.

Non è noto come questo accada. Né è chiaro perché dovrebbe diventare significativo dopo un gran numero di generazioni, ma non prima. “L’impatto di questo meccanismo resta da determinare nella fermentazione della birra”, afferma Telini.

Ma ciò solleva importanti domande per i biologi cellulari. Potrebbe persino spiegare altri processi misteriosi come l’invecchiamento. Da qui l’interesse di Telini: “Una migliore comprensione della rete CORE nel contesto della fermentazione della birra e/o dello stress da etanolo ci consentirà di migliorare diversi aspetti della produzione della birra, che alla fine miglioreranno la resa e la qualità della bevanda”.

(rp)

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