di Mario Morcellini
Parlare di management nella società moderna vuol dire accettare di confrontarsi con il cambiamento dell’intera società, e persino molto di più: questa l’importante intuizione alla base del libro Le nuove frontiere della cultura d’impresa. Manifesto dello humanistic management, recentemente curato da Marco Minghetti e Fabiana Cutrano (Etas, 2004). Un problema, quello del mutamento accelerato della società contemporanea, che ci siamo posti anche in altri contesti interpretativi.
I cambiamenti scrutinati in questo testo, che investono inevitabilmente anche il mondo dell’impresa, sono infatti di una profondità e una radicalità a tal punto marcati da risultare pressoché inconciliabili con i classici modelli interpretativi prescritti dalla letteratura sociologica sul mutamento. Tutti i cambiamenti che la storia descrive sono, appunto, definiti come metamorfosi: lente modificazioni negli assetti di vita e dei valori, così blande da non provocare, né alimentare, lo stress e il trauma del cambiamento. Diversamente, la qualità del «nuovo mondo» è resa con espressività da una celebre citazione de Il Gattopardo: «una stupefacente accelerazione della storia».
Inoltrandoci nel nostro laboratorio di ricerca , in un doveroso tentativo di nuova rappresentazione dei fenomeni contemporanei , ci siamo costantemente interrogati sull’opportunità di ancorare l’analisi a nuovi domini semantici. Tra questi, il concetto di «rivoluzione» , se non fosse compromesso dalla sua identificazione corrente con una gestualità di rivolta improvvisa, subitanea e violenta , potrebbe efficacemente connotare il cambiamento radicale della superficie del mondo attuale. Tutto muta velocemente, a partire dalle grandi categorie che segnano l’esperienza umana (il tempo accelera, lo spazio si ridefinisce in termini di distanza e di possesso), con impressionanti trasformazioni tanto a livello delle istituzioni e del costume, quanto di relazioni comunicative e intersoggettive. Come in uno spettacolo teatrale, si avvicendano la scena e il retroscena dell’azione umana. è un passaggio d’epoca.
Sul piano semantico, può concorrere alla definizione del cambiamento soggettivo un altro concetto, che deriva dalla psicologia sociale ed è tradizionalmente applicato alle culture giovanili: la transizionalità. Ma anche la transizionalità fa pensare a modificazioni lente e coerenti, che non rappresentano la condizione attuale del sistema e degli attori sociali, incalzati come sono dagli impulsi della modernità e sottoposti allo scintillio della comunicazione (vero «spirito» dei moderni). La transizione, infatti, è una situazione di ricerca di soluzioni, prospettive e strategie per lo sviluppo futuro: richiama, insomma, la progettualità. Il mutamento, così come attualmente inteso, implica invece un cammino frenetico. Mentre il cambiamento del passato era essenzialmente evoluzione e metamorfosi, quello di cui parliamo oggi è un rapido passaggio da un assetto tradizionale di valori culturali e di identità a una dimensione più aperta, più disinibita e certamente più universale.
Viviamo quindi una tarda modernità senza poter contare sulle relative «istruzioni per l’uso»: l’uomo moderno deve mettersi continuamente alla prova. In presenza di spazi discrezionali allargati, l’individuo è costretto a operare scelte, prendere decisioni, creare instancabilmente opportunità per se stesso. Per non fallire, deve essere in grado di elaborare piani a breve scadenza e di adattarsi alle circostanze; deve organizzare e improvvisare, individuare obiettivi e ostacoli, saper metabolizzare le sconfitte. In altre parole, essere sempre pronto a farsi artefice di un progetto di vita sempre aperto ad essere rimesso in discussione.
Ecco allora che la stessa concezione dell’azienda come «mondo vitale», suggerita in apertura dai due curatori, si lega in modo straordinariamente coerente con i concetti di movimento e cambiamento: l’azienda, come ogni altro elemento sociale, è immersa nello scorrere del fiume della vita, della società, del «progresso». è qualcosa che si realizza qui e ora e che muta con la stessa rapidità con cui si trasforma l’ambiente circostante. Per questa ragione, una concezione statica e «già data» della sua gestione, che ci riporta verso lo scientific management del passato, non può condurre a risultati di qualità. Non è concettualmente possibile contenere qualcosa di fluido e mutevole dentro una «gabbia d’acciaio»: la stessa di cui parla Max Weber a proposito dell’organizzazione burocratica dell’inizio del secolo scorso. E, in un certo senso, il paragone potrebbe essere spinto all’estremo: esattamente come la burocrazia immobilizza e paralizza la gestione della «cosa pubblica», così un management rigorosamente attaccato all’iter tecnico-scientifico può rendere statica e immobile l’organizzazione aziendale che, al contrario, è oggi chiamata a essere corpo mutevole e non definito.
La recente teoria delle organizzazioni come culture, un paradigma mutuato direttamente dalle scienze sociali (e quindi a dominante umanistica), invita a considerare ogni organizzazione come una cultura caratterizzata da simboli, valori, credenze. Una siffatta identità non può essere gestita se non da un management diverso, un po’ portmanteau secondo gli autori del «Manifesto»: capace di «respirare» la cultura, la storia, l’essenza vitale dell’azienda; teso a tramandare i valori, l’etica dell’organizzazione; abile traduttore di simboli, quindi di codici, e capace di farli apprendere, quindi formare.
Cultura, etica, codici, formazione: sono competenze umanistiche oggi più che mai vitali per un management impegnato nella gestione non più solo di una struttura, ma di risorse umane. Al punto che si può oramai delineare l’identikit del neo-manager, quasi distaccato dalle mere esperienze di «calcolo» e orientato soprattutto alla nuova etica aziendale, alla conoscenza delle persone e, quindi, alla gestione delle emozioni, degli affetti, del privato: valori che sfociano, di fatto, nella proiezione dell’azienda «condivisa». Si assiste così a un riposizionamento profondo del concetto di profit, non più legato esclusivamente ai calcoli finanziari, ma a una visione più ampia, a un profitto maggiormente vissuto in termini umani e partecipativi. Un neo-manager, quindi, che vanti una solida formazione umanistica, nel senso degli interessi e della personalità culturale (humani nihil a me alienum puto); attento alle pulsioni espresse dalle «culture» interne e, al tempo stesso, pronto a interpretare le trasformazioni e le richieste del territorio che ospita l’impresa.
In opposizione al paradigma meccanico-razionalista (che concepiva tutte le organizzazioni, sia pubbliche che private, come macchine, e gli uomini e le donne che lavoravano al loro interno come ingranaggi), il paradigma socio-culturale considera infatti l’organizzazione come una cultura caratterizzata da valori, simboli e credenze che la rendono unica e irripetibile. Certamente, in fasi di sviluppo economico e societario caratterizzate dalla centralità della produzione di massa, la risposta meccanico-razionale possedeva una propria pertinenza e operatività: nel cuore del secolo scorso, all’indomani della seconda rivoluzione industriale e nella fase di consolidamento della democrazia di massa, l’impresa e l’amministrazione potevano essere concepite e organizzate come macchine. Ma oggi, nell’era della produzione post-industriale e dei bisogni post-materialisti, tutto questo non ha più senso. In una società sempre più differenziata e individualizzata, l’elemento che emerge in primo piano è la soggettività delle persone: liberatosi di tutte le antiche appartenenze, il soggetto postindustriale può vivere una soggettività che in altri tempi era prerogativa delle ristrette élite dominanti. In questo contesto, la prospettiva socio-culturale attribuisce la massima importanza alla valorizzazione della soggettività degli attori che operano all’interno dell’organizzazione.
è un altro punto focale della nuova concezione aziendale: la centralità dell’elemento umano. L’attenzione all’uomo quale elemento centrale e fulcro di tutti i processi, che ritroviamo nelle teorie di orientamento al consumatore e alla comunicazione interna, richiama , insieme alla costante crescita di attenzione per gli stakeholders, l’ambiente sociale e la società civile , i valori fondanti del Rinascimento e dell’Umanesimo: la scoperta dell’uomo e del mondo esterno.
L’individualizzazione è la dinamica della nuova modernità; per adottare le parole di Jean-Paul Sartre, gli uomini sono condannati all’individualizzazione. Essa diventa così un dovere che comporta il vincolo di progettare e mettere in scena autonomamente non solo la propria biografia, ma anche i legami e le relazioni. L’uomo moderno concepisce la propria esistenza in continuo divenire; gli stili di vita e di relazione sono più aperti e più flessibili, mentre i costumi e i comportamenti individuali risentono anche dell’imitazione internazionale e della globalizzazione. L’uomo moderno si presenta dunque con sembianze nettamente diverse sul piano dei comportamenti visibili. Le differenze sono minute e di dettaglio, ma anche strategiche.
Anzitutto, oggi è radicalmente cambiato per l’uomo il peso della tradizione e delle certezze ereditate dal passato e dalla cultura. Nel continuum identità-memoria si gioca, infatti, uno spostamento a favore della mobilità, della dimensione sperimentale, dell’apertura al futuro e alle possibilità. Il codice genetico, l’eredità, la tradizione svaniscono per riemergere in nuove formule problematiche tutte da indagare. La perdita della capacità di orientamento è tale da far apparire l’uomo contemporaneo come un’entità «liquida», senza storia e senza profondità.
Ed è proprio in un contesto che iniziano a configurarsi bisogni inediti: la necessità dell’attore sociale di ri-creare le proprie dimensioni di ambientazione sociale, di riscoprire se stesso e le modalità di relazionarsi con il mondo, per poter dominare la continua transizione in cui si sente coinvolto. E la magia che concilia il soggetto con i tempi moderni è la comunicazione. Essa è contenuto, parola, interazione, esplorazione, narrazione, produzione di miti, suoni, immagini: è tutto ciò che i soggetti si scambiano, il punto di incontro tra privato e pubblico. I messaggi diventano elementi della nostra personalità (una dimensione spesso dimenticata dal pensiero scientifico) e vivono recentemente una sorta di nuovo «rinascimento».
Sta emergendo, quindi, una forma di neoumanesimo basato sulla rinascita di una cultura dello spirito, della natura, della verità, della ricerca della felicità anche in contesti a lungo considerati tutt’altro che spiritualizzati, come per esempio quelli della progettazione e della gestione aziendale. Questo è il tempo nel quale, per la prima volta, anche nel mondo delle imprese lo spirito è possibile. Persino quello ludico, ma soprattutto quello che si ammanta di creatività. è il mondo in cui ci accorgiamo che la cultura è la dimensione che aumenta la nostra sinestesia con il mondo, cioè la confidenza, la relazione positiva con la realtà e con gli eventi.
Fondamentale diventa, allora, per il management possedere doti quali la vivacità intellettuale, l’apertura al mondo, la capacità di leggere e anticipare gli scenari del futuro; l’attitudine a coltivare i rapporti interpersonali in modo tale da costruire veri e propri «sistemi», vere e proprie «reti» in cui ogni punto è fondamentale, ma nello stesso tempo non necessario (in opposizione proprio alla concezione della catena di montaggio di vecchio stampo fordista). Tutto ciò esige una nuova concezione del management, rispetto a cui sono soprattutto gli operatori a essere chiamati a elaborare un nuovo discorso su se stessi. E la proposta dell’humanistic management sembrerebbe la più appropriata: un management aperto al mondo con la capacità di operare a 360 gradi sull’intero universo culturale dell’azienda.
L’attività manageriale come esaltazione del soggetto, interno o esterno all’organizzazione; come continua messa in comune di sinergie e di atti interpretativi, in grado di delineare le stesse linee operative in situazioni di complessità ambientale. Il rischio e l’esperienza dell’azione in funzione dell’emozione, dell’intelligenza e della ragione umana. Intuizione del tempo e del mutamento: sono queste le dimensioni della sfida.