Il metaverso ha un problema serio

Una donna è stata molestata sessualmente sulla piattaforma VR di Meta. Non è stato il primo caso nel mondo online, né purtroppo sarà l’ultimo finchè non verranno stabilite delle regole condivise.

di Tanya Basu

Meta, che controlla i servizi di rete sociale di Facebook, ha aperto l’accesso a Horizon Worlds, la sua piattaforma di social media di realtà virtuale, che secondo i primi positivi commenti viene avvicinata a Minecraft. Sulla piattaforma, sono a disposizione fino a 20 avatar per muoversi e prendere iniziative all’interno dello spazio virtuale.

Ma non tutto va per il versi giusto. Secondo Meta, il 26 novembre una beta tester ha riportato un epiusodio profondamente preoccupante: era stata palpeggiata da uno sconosciuto su Horizon Worlds. Il 1° dicembre, Meta ha rivelato di aver pubblicato la sua esperienza nel gruppo di beta testing di Horizon Worlds su Facebook.

Il gruppo di revisione interna di Meta a proposito dell’incidente ha rilevato che la beta tester avrebbe dovuto utilizzare uno strumento chiamato “Safe Zone” che fa parte di una suite di funzioni di sicurezza integrate in Horizon Worlds. Safe Zone è una bolla protettiva che gli utenti possono attivare quando si sentono minacciati. Al suo interno, nessuno può toccarli, parlare con loro o interagire in alcun modo fino a quando non segnalano di voler uscire dalla zona sicura.

Vivek Sharma, il vicepresidente di Horizon, ha definito l’incidente “un episodio sfortunato”, e ha dichiarato a “The Verge”: “Sarà l’occasione per rendere la funzione di blocco più facilmente trovabile”. Non è la prima volta che in VR accade qualcosa di simile, né, purtroppo, sarà l’ultima. Ma l’incidente mostra che finché le aziende non scopriranno come proteggere i partecipanti, il metaverso non potrà mai essere un luogo sicuro.

Immagine di: Meta

“Ho subito violenza nel mondo virtuale”

Quando Aaron Stanton ha saputo dell’episodio, è andato con la mente all’ottobre del 2016. Fu allora che un giocatore, Jordan Belamire, scrisse una lettere aperta su “Medium” descrivendo di essere stato molestato su Quivr, un gioco co-progettato da Stanton in cui i giocatori, dotati di arco e frecce, cercano di uccidere gli zombies.

Nella lettera, Belamire raccontava di aver partecipato al gioco in una modalità multiplayer, in cui tutti i personaggi erano esattamente gli stessi tranne che per le loro voci. “Tra un’ondata di zombies e demoni da abbattere, mi trovavo vicino a BigBro442, in attesa dell’attacco successivo. Improvvisamente, si è tolto l’elmetto, mi si è avvicinato e con la mano ha iniziato a toccarmi il petto. “’Fermati!’ , ho detto e ho cominciato a piangere. Paradossalmente, la mia reazione lo ha incoraggiato e ha poggiato la sua mano sui miei genitali.

Stanton e il suo cofondatore, Jonathan Schenker, hanno immediatamente risposto con delle scuse e hanno apportato delle correzioni al gioco. Gli avatar sarebbero in grado di allungare le braccia in un gesto a V, che avrebbe allontanato automaticamente eventuali malintenzionati. Stanton, che oggi guida il VR Institute for Health and Exercise, afferma che Quivr non ha tracciato i dati su quella funzione, ma ritiene che sia stata utilizzata solo saltuariamente. A suo parere, c’è ancora molto da fare perché nessuno dovrebbe mai sentirsi violato durante un’esperienza VR.

Screenshot dell’interfaccia di Safe Zone, Meta

Le molestie sessuali in RV sono molestie sessuali a tutti gli effetti

Una recente rivisitazione dell’esperienza di Belamire pubblicata sulla rivista della Digital Games Research Association ha rilevato che “molte risposte online a questo incidente sono state sprezzanti nei confronti dell’esperienza di Belamire e, a volte, misogine. Un costante argomento di dibattito sulle bacheche dopo l’articolo di Belamire su “Medium” era se avesse avuto l’effettiva sensazione che il suo corpo fosse stato toccato fisicamente.

“Penso che le persone dovrebbero tenere a mente che le molestie sessuali non hanno mai solo una componente fisica”, afferma Jesse Fox, ricercatore della Ohio State University che studia le implicazioni sociali della realtà virtuale. “La violenza può essere verbale ed essere molto dolorosa anche in un’esperienza virtuale.

Katherine Cross, che fa ricerche sulle molestie online presso l’Università di Washington, afferma che quando la realtà virtuale è immersiva e reale, anche il comportamento “tossico” che si verifica in quell’ambiente è reale. “In fin dei conti”, spiega, “la natura degli spazi di realtà virtuale è tale da essere progettata per indurre l’utente a pensare di trovarsi fisicamente in un determinato spazio, che ogni sua azione corporea avvenga in un ambiente 3D.  Fa parte del motivo per cui le reazioni emotive possono essere più forti in quello spazio e perché la realtà virtuale attiva lo stesso sistema nervoso interno e le stesse risposte psicologiche della vita quotidiana”.

Questa riflessione vale anche per il caso della donna palpeggiata su Horizon Worlds. Secondo “The Verge”, il suo post recitava: “Le molestie sessuali non sono uno scherzo su Internet normale, ma essere in VR aggiunge un altro livello che rende l’evento più intenso. Non solo ho subito questa violenza ieri sera, ma c’erano altre persone lì che hanno sostenuto questo comportamento e mi sono sentita più isolata cha mai nel Plaza [il punto d’incontro dell’ambiente virtuale]”.

Le aggressioni e le molestie sessuali nei mondi virtuali non sono una novità, né è realistico aspettarsi un mondo in cui questi problemi scompariranno completamente. Finché ci sono persone che si nasconderanno dietro gli schermi dei loro computer per eludere la responsabilità morale, continueranno a verificarsi. Il vero problema, forse, ha a che fare con la percezione che quando si gioca o si partecipa a un mondo virtuale, c’è quello che Stanton descrive come un “contratto tra sviluppatore e giocatore. Se questo contratto viene rotto e il giocatore non si sente più a suo agio, l’obbligo dell’azienda è garantirne la tranquillità”.

La domanda è: di chi è la responsabilità di assicurarsi che gli utenti si sentano a proprio agio? Meta, per esempio, sostiene di offrire agli utenti l’accesso a strumenti per proteggersi, spostando efficacemente l’onere su di loro. “Vogliamo che tutti in Horizon Worlds abbiano un’esperienza positiva con strumenti di sicurezza facili da trovare perchè non è mai colpa dell’utente se non utilizza tutte le funzionalità che offriamo”, ha affermato Kristina Milian, la portavoce di Meta. 

“Stiamo lavorando al miglioramento della nostra interfaccia utente”, ha continuato, “e a capire meglio come le persone utilizzano i nostri strumenti in modo che gli utenti siano in grado di segnalare le disfunzioni in modo semplice e affidabile. Il nostro obiettivo è rendere sicuro Horizon Worlds”. Milian ritiene che gli utenti debbano capire come usare Safe Zone prima di partecipare al mondo virtuale. Ha anche ricordato che i promemoria regolari vengono caricati su schermi e poster all’interno di Horizon Worlds.

Ma il fatto che la vittima del gioco non abbia pensato di utilizzare Safe Zone o non abbia potuto accedervi è esattamente il problema, afferma Cross. “La questione strutturale è il grande problema per me”, dice. “In generale, quando le aziende affrontano gli abusi online, la loro soluzione è esternalizzarli all’utente e dire: ‘Noi ti diamo il potere di prenderti cura di te'”.

E’ un sistema ingiusto e non funziona. La sicurezza dovrebbe essere facile e accessibile e ci sono molte idee per renderlo possibile. Per Stanton, tutto ciò che servirebbe è una sorta di segnale universale nella realtà virtuale, forse il gesto V di Quivr, che potrebbe comunicare ai moderatori che qualcosa non sta andando per il verso giusto. Fox si chiede se una distanza personale automatica, a meno che due persone non abbiano concordato reciprocamente di essere più vicine, sarebbe d’aiuto. Cross crede che sarebbe utile per le sessioni di formazione stabilire in modo esplicito norme che rispecchiano quelle che prevalgono nella vita ordinaria.

Fino a quando non si chiarirà di chi è il compito di proteggere gli utenti, un passo importante verso un mondo virtuale più sicuro sarà “colpire” gli aggressori, che spesso non vengono scoperti e possono continuare a partecipare online anche dopo che il loro comportamento è diventato noto. “Abbiamo bisogno di deterrenti”, dice Fox. Ciò significa assicurarsi che i malintenzionati vengano trovati e sospesi o banditi. (Milian ha detto che Meta “non condivide dettagli sui singoli casi” quando gli è stato chiesto cosa è stato fatto nei confronti del presunto palpeggiatore).

Stanton si rammarica di non aver parlato di più dell’incidente di Belamire. “È stata un’occasione persa”, dice. “Avremmo potuto evitare quanto sta succedendo a Meta”. Se c’è qualcosa di chiaro, è questo: non esiste un organismo chiaramente responsabile dei diritti e della sicurezza di coloro che si trovano online, figuriamoci nei mondi virtuali. Finché qualcosa non cambierà, il metaverso rimarrà uno spazio pericoloso e problematico.

(rp)

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