Il giusto sonno per una mente vigile

Nè troppo, né troppo poco: per lottare contro il declino cognitivo anche il sonno deve essere moderato.

di Lisa Ovi

L’abitudine ad un buon sonno è fonte di salute in ogni momento della vita. Un recente studio americano ha certificato che dormire 7-8 ore al giorno si accompagna, per esempio, ad un minor rischio di insufficienza cardiaca, mentre uno studio inglese attribuisce alle ore in cui dormiamo il compito di condurre quelle operazioni di pulizia del cervello tanto importanti per la prevenzione delle malattie neurodegenerative

Monitorare la qualità del sonno di un individuo può fornire indicatori sulla potenziale insorgenza di disturbi cognitivi come il morbo di Alzheimer. Diversi studi certificano l’esistenza di una correlazione tra alterazioni del sonno e il rischio di Alzheimer, ma mancano approfondimenti su come questa correlazione si manifesti nella fase pre-clinica della malattia, soprattutto nelle varie fsi della vita, comunemente caratterizzate da rapporti diversi con il sonno.

Ora, uno studio pluriennale condotto su individui anziani da ricercatori della Washington University, dimostra che il declino cognitivo accompagna sia chi dorme poco, sia chi dorme troppo, rispetto a coloro che dormono con moderazione. 

Questo dato si è rivelato valido anche in presenza di casi di Alzheimer precoce, ma la vera sfida è stato imparare a distinguere tra gli effetti del morbo e gli effetti delle alterazioni nel sonno. Pubblicata sulla rivista Brain, la ricerca descrive come gli studiosi abbiano seguito per diversi anni le attività cognitive di un ampio gruppo di anziani, rilevando sia i livelli di proteine ​​legate all’Alzheimer, che la misura dell’attività cerebrale dei soggetti durante il sonno.

Guidati da Brendan Lucey, direttore del Washington University Sleep Medicine Center, i ricercatori hanno imparato a distinguere tra le conseguenze cognitive di un sonno squilibrato e quelle dell’Alzheimer grazie ai volontari impegnati negli studi sull’Alzheimer attraverso il Charles F. e il Joanne Knight Alzheimer Disease Research Center dell’università. 

I volontari hanno accetto di sottoporsi a valutazioni cliniche e cognitive annuali e fornire campioni di sangue su cui monitorare la possibile presenza di una variante ad alto rischio dell’Alzheimer chiamata APOE4. Hanno anche fornito campioni di liquido cerebrospinale su cui misurare i livelli di proteine ​​dell’Alzheimer, e ciascuno ha dormito con un minuscolo monitor dell’elettroencefalogramma (EEG) attaccato alla fronte per quattro-sei notti per misurare l’attività cerebrale durante il sonno.

I ricercatori hanno scoperto una relazione a forma di U tra sonno e declino cognitivo. Nel complesso, i punteggi cognitivi sono diminuiti per i gruppi che hanno dormito meno di 4,5 o più di 6,5 ore a notte – come misurato dall’EEG – mentre i punteggi sono rimasti stabili per gli individui soliti dormire per un numero di ore compreso in questo intervallo. L’EEG tende a fornire stime del tempo di sonno che sono circa un’ora in meno rispetto al tempo di sonno auto-riferito, quindi i risultati corrispondono a 5,5-7,5 ore di sonno auto-riferito.

La relazione a forma di U si è confermata nelle misure di specifiche fasi del sonno, incluso il movimento rapido degli occhi (REM), o il sogno, il sonno; e il sonno non REM. Inoltre, la relazione è rimasta anche dopo l’aggiustamento per fattori che possono influenzare sia il sonno che la cognizione, come l’età, il sesso, i livelli di proteine ​​dell’Alzheimer e la presenza di APOE4.

Ciascun individuo ha esigenze di sonno differenti. I ricercatori ci tengono a sottolineare che chi si sveglia sentendosi riposato non ha bisogno di metterei n dubbio le proprie abitudini. Al contrario, coloro che non dormono bene dovrebbero essere consapevoli del fatto che i problemi del sonno spesso possono essere trattati.

Rimane senza risposta la domanda su come intervenire per migliorare la qualità del sonno, e se tali tali interventi potrebbero avere un effetto positivo sulle prestazioni cognitive di dormiglioni e nottambuli. I risultati di questi studi potrebbero aiutare gli sforzi per aiutare a mantenere le menti delle persone acute mentre invecchiano.

(lo)

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