Il giardino tecnologico

“Digital life” è una espressione corrente a indicare che ormai la “digitazione” è un ‘azione comune , poiché è parte dell’ordinario affrontare i problemi della nostra esistenza davanti ad un video premendo bottoni e quindi usando i polpastrelli dei due indici.

E’ inevitabile che nella mente automaticamente si ripresenti una espressione sempre più desueta , quella di “human life”, di cui però sento una gran voglia di difendere e di combattere , se questa è l’intenzione , la sua sostituzione.

Mi viene voglia di assumere le vesti del “diavoletto” che ha svolto una certa importanza nelle teorie della fisica (1), soprattutto nel passato. Infatti, ogniqualvolta ci si trovava ad affrontare un fenomeno strano all’interno delle leggi che venivano spiegate, si affermava che la fisica doveva in fondo convivere con questo elemento di disturbo. Perché poneva quantomeno degli utili interrogativi.

Mi sento un demonietto che arde dal desiderio di porre i limiti alla tecnologia, di rispolverare qualche umanesimo : una cornice di senso senza la quale la tecnologia e la digitazione potrebbe persino delirare .

Premetto che sono affascinato dalla tecnologia, ne sono un consumatore e credo che le tecnologie, in quanto si pongano come delle protesi per l’uomo, o quantomeno come ambiente in cui si trova a vivere, cambieranno l’uomo.

Mai come oggi è impossibile concepire l’uomo come un’entità conclusa, una statua o comunque una realtà meccanica, anche se sotto il controllo della biologia, perché sappiamo che ogni comportamento umano, da quello tra virgolette normale ai comportamenti estremi, è sempre dato dall’insieme della biologia che lo costituisce e delle esperienze che l’uomo fa nell’ambiente e quindi che memorizza. Il comportamento dipende anche dall’ambiente in cui un soggetto agisce.

Sulla base di questa certezza si può, dunque, definire la tecnologia come qualcosa che è entrato nell’ambiente umano, modificandolo. E lo ha modificato in un modo tale che le protesi sono appunto ambiente che entra dentro di noi.

Sostenere che l’umano sia cambiato grazie alle tecnologie e che cambierà proprio in funzione delle scoperte future, le scoperte scientifiche divenute tecnologia, è un fatto ormai scontato.

Oggi, parlando di tecnologia, non si deve fare quindi l’errore di dimenticare che questi strumenti influenzano l’uomo. Chi produce tecnologia deve sapere che interviene profondamente nella psicologia dell’uomo.

In altre parole, chi fa strumenti, mettendoli a disposizione dell’uomo, lo cambia. Questo dato deve responsabilizzare i tecnologi rendendoli consapevoli del ruolo di grande modificazione che svolgono forse inconsapevolmente.

In gioco c’è un cambio della identità.

L’identità è quel filo conduttore che caratterizza un essere umano pur indossando abiti diversi e compiendo operazioni diversissime tra loro. E il volto che finisce per rappresentare ciascuno di noi nonostante le maschere che indossa , i carnevali a cui partecipa.

La identità è in altre parole l’Io , ciò che permette di distinguersi dagli altri , da tutti gli altri fino ad essere una identità unica , un unicum e un irrepetibile.

Le identità sono tre : di specie ( uomo ) di genere ( maschile o femminile ) , individuali ( distinto da ogni altro).

I tecnologi sono i grandi modificatori di questa epoca, quelli più incisivi rispetto a tutto ciò che riguarda l’uomo , a loro spetta la responsabilità di un cambiamento che potrebbe far smarrire l’uomo , attaccato a immagini di sé cosi diverse da non riconoscersi più e di finire per credere di essere un altro , uno qualsiasi che vive in un mondo mai sperimentato. Mentre occorre almeno non dimenticare il proprio volto e le caratteristiche del mondo in cui si è giunti : le due storie , quella personale e quella del mondo. Ciò dà il senso , il riconoscimento di un Io in questo mondo.

Da questa affermazione derivano alcuni quesiti ed elaborazioni, prima di tutto sulla stabilitas loci.

Le tecnologie attuali e le loro operazioni hanno ricostruito la stabilitas loci, che è stata una delle grandi invenzioni del monachesimo. Allora si trattava della possibilità per il monaco di stare nella cella, dove trovava tutto, perché tutto il mondo era riferito a Dio. La cella era benedetta, perché lì si poteva dimenticare tutto, la realtà concreta, e invece prendere un rapporto, connettersi, non digitalmente, allora si diceva spiritualmente, collegarsi nello spirito con il vero significato, la vera espressione del mondo, che era Dio.

Le tecnologie attuali hanno ricreato una sorta di stabilitas loci: non si devono più fare corse forsennate per raggiungere i luoghi, non si deve più esporre il volto reale, perché lo si può trasmettere. E tutto questo riporterà a stare seduti. Si parla di compiere digitando ciò che si faceva correndo , raggiungendo luoghi lontani per essere presenti : dall’uomo faber all’uomo che digita ed esiste in quanto manda segnali digitali. L’uomo veramente morto non è chi non respira ma chi non muove i polpastrelli delle dita su un computer.

Seppure provi interesse per questa digital life, desidero che l’uomo sia vivo e individuato e per questo occorre essere certi che la digital life entri nella human life.

Significa innanzitutto che i tecnologi devono tenere presente che esiste qualcosa che in fondo definisce l’uomo, una cifra fondante che non ha bisogno di tecnologia.

Se così non fosse, se l’uomo potesse essere cambiato interamente, allora significherebbe che l’uomo non è altro che un apparato, una specie di manequin che viene modificato e mosso dalle tecnologie.

Il significato stesso della tecnologia, la ragione della sua esistenza, sta nell’affermare che c’è una parte dell’uomo che non può essere modificato. Se non fosse così oggi sarei preoccupato, perché significherebbe che non posso dare una definizione dell’uomo se non attimo per attimo, a seconda delle diverse epoche tecnologiche. L’uomo perderebbe il suo senso, diventando in fondo un elemento, una realtà che si modifica totalmente e viene modificata dalle tecnologie.

Deve esistere una parte dell’uomo che non ha bisogno della tecnologia, una parte da cui, anzi, le tecnologie, se avessero la possibilità di intervenirvi, dovrebbero astenersi dal farlo.

E’ qui il punto fondamentale: un’area che anche qualora potesse essere influenzata dalle tecnologie, bisognerebbe desistere dal modificare.

Dunque qual è questo tratto dell’uomo?

Sono i sentimenti. Quella parte dell’uomo che si esprime attraverso i legami.

Il sentimento è il legame che ciascuno di noi è capace di stabilire con l’altro. Con un altro ma persino con un’idea, con un’ideologia, perché generalmente diamo un volto alle ideologie. I legami ideologici hanno sempre una rappresentazione anche fisica, d’immagine con chi è diventato l’icona di quella ideologia.

I sentimenti sono questi legami e la tecnologia deve facilitarli semmai, ma non sostituirli.

L’esempio che ora riporto, fa riferimento ad una tecnologia vecchia – il vecchio video, il televisore, oppure il pc, che oggi fanno parte di una quasi archeologia rispetto a quello che sarà il futuro- e si lega al mondo adolescenziale, nato dentro la tecnologia , l’elettronica – rispetto a chi come me ha vissuto una parte della propria esistenza che l’avevano preceduta.

Gli adolescenti cercano in questo mondo di relazionarsi, cioè di fare corrispondere il bisogno dei sentimenti con la tecnologia.

Ma proprio qui si manifesta un uso anomalo della tecnologia – la tecnologia non è anomala, ma può avere un uso anomalo. Quando un ragazzo riesce a stabilire un rapporto privilegiato con un mondo che trova dentro al video, sempre di più si stacca dalla realtà, dalla realtà concreta, quella delle strade, quella delle persone.

Il motivo è intimamente legato alla natura stessa del digitare : attraverso la logica delle tecnologie elettroniche, infatti, si crea l’idea che, se uno incontra una realtà a sconveniente o sgradevole, la cancella : con un movimento digitale la si elimina e annienta.

Cancellare una madre o un padre è più difficile. Bisogna ammazzarlo, qualche volta avviene, ma la cosa è complicata e certamente la risposta è drammatica.

La tecnologia si deve porre come forza che aiuti a stabilire delle relazioni, ma non le sostituisca, non deve sostituire il padre e la madre in carne ed ossa, perché ci si adatterebbe altrimenti al principio secondo cui è meglio, ossia più facile e possibile, vivere con un video che con un padre che a sua volta è mutevole nei sentimenti, che ha reazioni del tutto particolari.

I sentimenti sono la parte più umana, l’area non percorsa dalla tecnologia.

L’uomo ,questo animale così umano lo è per i sentimenti, e lo è in qualche modo per una certa variabilità, per una condizione anche di fragilità.

E oggi c’è una grande fragilità, e la si vede soprattutto in quell’umanità giovanile, che è il mondo degli adolescenti(2). Una grandissima fragilità esistenziale.

Questi ragazzi, capacissimi di usare le tecnologie, in maniera persino naturale (rispetto alla fatica di chi è vissuto in una generazione prima ed è entrato poi nella generazione tecnologica), nonostante questo universo straordinario , sono fragilissimi sul piano dell’emotività e dei sentimenti.

Nessuno oggi negherebbe il grande supporto che viene dalla tecnologia alla vita, all’uomo che agisce, l’homo faber, ma anche all’uomo che pensa.

Le tecnologie ci aiutano a pensare, ci aiutano a fare associazioni molto più forti. La ricerca senza le tecnologie sarebbe finita. Ho vissuto per anni nei laboratori di ricerca biologica, ma oggi riconosco che non si potrebbe fare biologia se non ci fossero questi strumenti. Però tutta questa forza non aiuta il nucleo profondo dell’uomo, non incrementa la stabilità, ossia l’equilibrio che si lega ai sentimenti.

Allora occorre ricordare che la tecnologia deve coniugarsi con i sentimenti, ossia con quell’aspetto dell’uomo che non ha bisogno di protesi, quell’universo intimo che mai deve essere demandato, nemmeno facendo un contratto mefistofelico. I sentimenti devono rimanere dentro l’uomo, un uomo che non muta sotto questo profilo, un uomo “vecchio”.

C’è un uomo vecchio, ossia un nocciolo che è fatto di sentimenti, che è fatto di legami e bisogna che la tecnologia non sostituisca questo legame, che anzi si astenga dall’entrarvi, che lo rispetti.

I campi vanno divisi chiaramente, in modo che si arrivi a potere dire, un giorno, che grazie a queste tecnologie si conquista più spazio per i legami umani, per i sentimenti che appunto sono i legami umani.

L’ingegneria elettronica, la tecnologia, devono fare un grande sforzo che non è solo tecnologico , devono contribuire a delineare un nuovo umanesimo.

L’umanesimo è una visione del mondo che deve variare nel tempo e oggi abbiamo bisogno di un umanesimo che tenga conto e che sia fatto di tecnologia.

In passato si è potuto fondare un umanesimo con un giardino, perché tutto il grande cammino della storia umana ha avuto alla base questo simbolo, la Bibbia racconta che abbiamo perso il giardino, appunto il luogo dove l’umano doveva vivere in maniera tranquilla, e la storia è stata concepita come il percorso per ritornare dentro il giardino.

Oggi abbiamo bisogno di un umanesimo di tipo completamente diverso, un umanesimo in cui l’uomo viva in un giardino tecnologico. E la tecnologia può essere straordinaria, ha prodotto cose straordinarie, ma necessitano di un pensiero umano dietro, l’attenzione all’area dei sentimenti umani .

C’è bisogno di domandarsi chi sia l’uomo, e di rispettare quella parte vecchia , stabile , fatta di sentimenti : l’uomo vecchio , l’uomo di sempre.

Il tecnologo deve trovare le nuove tecnologie, ma al contempo pensare all’uomo, ad un nuovo umanesimo.

Non ci servono umanesimi che nascano dai filosofi chiusi in qualche buia stanzetta di qualche importante centro intellettuale. Abbiamo bisogno di un umanesimo che nasca dai laboratori. Anzi credo proprio che se un nuovo umanesimo inizierà, non uscirà né dai monaci né dai filosofi cosiddetti puri, astratti, ma da chi fa questi strumenti straordinari e forse dagli adolescenti che dentro questi strumenti possono anche rischiare di dimenticare che c’è un mondo concreto.

Ma dimenticando il mondo non si fa un umanesimo.

C’è ancora un aspetto che ritengo necessario sottolineare . Credo che chi si occupa di tecnologie abbia un compito importantissimo.

Si parla spesso di Natura e di una tecnologia che può essere contro la Natura.

La Natura non è qualche cosa di concluso, non è l’hortus conclusus di cui parlava Aristotele, un’entità che l’uomo può solo rovinare oppure rispettare (3).

L’uomo è Natura, tutto ciò che fa, tutto ciò che gli serve per vivere e operare è dentro la natura.

Si tratta di un assunto da portare in luce, su cui insistere, un’elaborazione da illustrare non più con la paura che tutto ciò che l’uomo fa possa essere distruttivo. Analizzare bene questi due termini per dare la forza all’uomo di essere elemento della Natura e quindi dentro una realtà che muta, muta già senza le tecnologie.

Cournot ha notato in maniera straordinaria come anche la natura sia sottoposta a un divenire continuo che non è solo quello dell’evoluzionismo, ma una modificazione che dipende dai diversi ambienti. La natura è insomma a sua volta un’entità vitale, e quindi cambia (4) .

La tecnologia, come attività dell’uomo, non può quindi non essere inserita all’interno della Natura e questo deve accadere senza creare una frattura insensata per cui esistono persone che non vogliono avere a che fare con la tecnologia o che affermano di accettarne solo alcuni livelli. E’ un approccio pericoloso che mina alla base una delle forze più importanti delle sviluppo. Credo, infatti, che la tecnologia rappresenti il vero mondo globalizzato, molto più dell’economia, perché serve a tutti.

Allora il tecnico, ossia colui che pensa e produce tecnologia, non può accontentarsi di conoscere le formule a cui si riduce il suo oggetto . Deve pensare in qualche modo come un filosofo.

Ecco allora i paradigmi per una nuova tecnologia: una tecnologia che pensi all’uomo, che sia filosofica, e che non debba più mettersi in difesa per difendersi dalle accuse di esser contro Natura. Come se fosse un perverso che maltratta o violenta la Natura. Lo si può fare, certo, ma per questo non è necessario essere dei tecnologi.

Coniugare la tecnologia come parte dell’uomo e l’uomo come parte della Natura, superando quest’enorme conflitto, è la vera scommessa del futuro, o finirà che l’uomo stesso si porrà contro la tecnologia.

Accade di continuo, nel nostro Paese, per le biotecnologie.

Se non elaboreremo una filosofia che sorga anche dagli operatori, da chi produce macchine, finiremo per creare un dualismo estremo, in base a cui si sarà secundum naturam o contra naturam : scissioni che abbiamo già vissuto, in passato per il sesso ma sarebbe terribile rivederle sul piano di grandi apporti che sono scientifici prima e tecnologici dopo.

(1) Il diavoletto di Cartesio: «Come faccio a sapere che non esiste un demone malvagio e infinitamente potente che presenta ai miei sensi cose inesistenti in una fantasmagoria interminabile per condurmi a credere che esiste un mondo esterno e che ho un corpo?» Il diavolo di Laplace: «Un’intelligenza che per un istante dato conoscesse tutte le forze di cui la natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se fosse abbastanza vasta per sottomettere questi dati al calcolo, abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti dei più grandi

corpi dell’universo e quelli del più leggero atomo: niente sarebbe incerto per essa e

l’avvenire come il passato sarebbero presenti ai suoi occhi».

Il demone di Maxwell: fa la sua comparsa nel 1871 e mette a soqquadro il secondo

principio della termodinamica secondo il quale «in un sistema chiuso il calore non

può passare da un corpo freddo ad uno caldo» a meno che, aggiunge Maxwell, non

vi sia un diavoletto capace di separare le particelle veloci, quelle più calde, da quelle lente, più fredde, e di imporre così al sistema una direzione non uniforme alle temperature.

Si distinguerebbero zone calde e zone fredde e diversi potenziali elettrici,

grazie alla capacità del demonietto di distinguere le particelle e di lasciar passare

da una porticina solo quelle più veloci.

I demoni di Selfridge sono i primi a entrare nei computer. «Selfridge introduce l’idea di fonti indipendenti di conoscenza ( i demoni) che reagiscono strepitando quando riconoscono dei tratti tipici già noti. Il sistema funziona con cinque livelli di demoni gerarchicamente ordinati».

(2) Vittorino Andreoli , Lettera a un adolescente, Rizzoli , Milano , 2004. Vittorino

Andreoli, Giovani, Rizzoli, Milano , 1995

(3) «Di tutto ciò che possiamo dire, risulta che la natura, nel suo senso primitivo e fondamentale, è l’essenza degli esseri che possiedono in loro stessi in quanto tali il principio del movimento. La materia, infatti, prende il nome di natura perché è suscettibile di ricevere in sé questo principio… La natura, in tal senso, è il principio del movimento degli esseri naturali, immanente in qualche modo, sia come possibilità che come entelechia» (Aristotele, L Metafisica, Libro 4, Tomo 1).

(4) Augustin Cournot ha sostenuto che la natura si modifica e anzi procede dificandosi, nel senso che un momento prima non era più quella che è adesso e pertanto non può essere quella di milioni di anni fa.

Esiste dunque una natura che ha una storia dentro di sé, una legge che esprime un

impulso autonomo e proprio che si realizza di per sé, basta che le condizioni esterne lo rendano possibile, una storia irreversibile.

L’irreversibilità è, appunto, il segnale che quella che consideriamo natura in questo

momento non è la natura che esisteva prima. (Cournot, Materailisme, vitalisme,

rationalisme. Vrin , Paris, 1979)

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