Il cambiamento climatico è una minaccia alla sicurezza globale

Le trasformazioni degli ambienti naturali comportano rischiose modifiche degli scenari economici e geopolitici. Il livello di tensione cresce, gli eserciti giocano un ruolo sempre più importante. Dall’Africa all’Artico

di MIT Technology Review Italia

Nell’estate del 2021, l’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite ha innalzato il livello di minaccia rappresentato dai cambiamenti climatici a un “codice rosso per l’umanità “. È stata prevista una serie di scenari climatici, ma comune a tutti è l’aumento della frequenza e della portata di eventi meteorologici estremi, più siccità e inondazioni, scioglimento delle calotte polari e del permafrost, aumento del livello del mare, acidificazione e deossigenazione oceanica.

Come riportato da “The Conversation”, sia la sicurezza umana che quella nazionale saranno quasi certamente colpite dalle minacce ai regimi agricoli, tra cui l’aumento della presenza di parassiti e malattie, picchi nei prezzi degli alimenti e shock della produzione alimentare e della logistica alimentare. Gli effetti del cambiamento climatico modellano, proliferano e amplificano i rischi, interagendo in modi complessi con vulnerabilità preesistenti come disuguaglianza socioeconomica, governance fragile e tensioni tra i gruppi sociali.

Le Nazioni Unite riferiscono che l’aumento della temperatura nella regione africana del Sahel sarà 1,5 volte superiore alla media globale. Questo è un problema di sopravvivenza per molti paesi della regione, come il Mali, dove il clima ostile mette già a repentaglio la produzione agricola. Con un tasso di crescita della popolazione di quasi il 3 per cento, il Mali è anche una delle popolazioni più giovani e in più rapida crescita al mondo.

Le tensioni tra i gruppi etnici, come nel caso dei Fulani e dei Dogon, sono state aggravate da decenni di migrazioni nei centri urbani. Violenti scontri su pascoli, fonti d’acqua e infrastrutture locali sono diventati comuni. Gruppi terroristici come Boko Haram, Islamic State West Africa (ISWA), Jamaat Nusratul Islam wal-Muslimin (JNIM) e Katiba Macina rappresentano una minaccia nel Sahel, spesso con l’intento e le capacità di organizzare complessi attacchi contro obiettivi governativi e civili.

L’artico è al centro del confronto militare

Nell’Artico, lo scioglimento dei ghiacci marini sta amplificando la concorrenza strategica poiché l’accessibilità alle risorse migliora, in particolare ai giacimenti di minerali e combustibili fossili. Stanno emergendo nuove rotte commerciali: la rotta del Mare del Nord (NSR), per esempio, dovrebbe competere con il traffico del Canale di Suez e spostare i flussi commerciali tra l’Asia e l’Europa. La Russia ha dichiarato la NSR “un corridoio di trasporto nazionale” come mezzo per garantirsi l’accesso esclusivo.

Altri, come Cina e Stati Uniti, invece, hanno dichiarato di considerarlo un “dominio internazionale”. In riferimento alla “Via della Seta Polare”, la Cina ha iniziato a definirsi uno “stato vicino all’Artico”, cosa che, in termini assoluti, è geograficamente insostenibile. Diversi paesi artici e non artici stanno costruendo rompighiaccio per trarre vantaggio da queste nuove realtà economiche.

A sua volta, La Russia sta investendo con decisione nelle infrastrutture di difesa attraverso la presenza di sottomarini nucleari, voli di aerei MiG-31 Foxhound sul polo nord e nello spazio aereo statunitense e scandinavo ed esercitazioni della loro Brigata Motorizzata Artica. Il chiaro messaggio è che il paese, se necessario, utilizzerà la forza per difendere i suoi interessi strategici.

Anche la Nato non si tira indietro. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, per esempio, ha rilanciato Arctic Warrior, un programma di addestramento per la guerra fredda e, all’inizio del 2021, ha inviato bombardieri strategici B-1 Lancer in Norvegia, in una zona molto vicina a possibili obiettivi militari russi nell’Artico e oltre. In risposta, la Russia ha spostato nella zona un incrociatore missilistico.

Le emissioni militari contribuiscono alla crisi climatica

In linea con le politiche stabilite dal Climate Change and Sustainability Strategic Approach, il segretario di Stato alla Difesa britannico, Ben Wallace ha dichiarato alla COP26, la necessità di ridurre le emissioni militari per favorire il processo di sostenibilità ambientale.

Nel Regno Unito, infatti, l’esercito ha investito in prototipi di veicoli ibridi elettrici corazzati, da ricognizione e logistici, con emissioni notevolmente ridotte e prestazioni migliorate. I camion elettrici che trasportano un ospedale da campo possono ora fornire energia fino a 12 ore, fornendo l’equivalente di nove generatori diesel. Anche i nuovi edifici nella zona di addestramento dei militari vengono riforniti da fonti rinnovabili come digestori anaerobici e parchi solari.

La Royal Air Force ha recentemente realizzato un primo volo al mondo alimentato da carburante sintetico al 100 per cento, ha autorizzato l’uso di carburante aeronautico sostenibile al 50 per cento in tutti i suoi aerei e prevede di ordinare aerei a propulsione elettrica per l’addestramento. La Royal Navy, nel frattempo, sta incorporando la sostenibilità alimentata da combustibili alternativi nel nuovo design delle navi.

Nell’affrontare il problema del contributo che forniscono all’impronta di carbonio, le forze armate rafforzano il loro ruolo nella sicurezza sostenibile. Inoltre, in quanto agenti della “diplomazia climatica”, possono influenzare cambiamenti positivi in altre nazioni e dipartimenti governativi, giocando un ruolo vitale in un mondo sempre più insicuro.

(rp)

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