I traguardi europei per le energie pulite sono minati dalla Brexit

L’uscita della seconda economia più grande dell’Unione Europea potrebbe avere conseguenze negative sugli accordi climatici di Parigi.

di Richard Martin

La decisione del Regno Unito di uscire dall’Unione Europea ha gettato il mondo nel panico, mandando le borse in crisi e coinvolgendo persino il settore energetico. È pensiero comune fra regolatori, sostenitori delle energie pulite ed analisti, che anche se la “Brexit” non deraglierà completamente gli sforzi dell’Unione Europea di ridurre le emissioni di anidride carbonica secondo gli accordi climatici di Parigi, di certo non agevolerà il raggiungimento del traguardo.

Sotto il Primo Ministro David Cameron ed i suoi predecessori, l’Inghilterra ha guidato le normative energetiche ed il supporto a favore delle energie rinnovabili. Diverse regole poste a controllo delle politiche energetiche europee nell’ultimo decennio – fra cui lo smantellamento dei monopoli energetici che controllavano generazione, trasmissione e distribuzione – hanno preso spunto dalla legislazione del Regno Unito.

Di recente, però, il governo britannico ha ridotto il supporto alle energie pulite con severi tagli ai sussidi sia verso le installazioni solari domestiche che verso quelle su larga scala. Un rapporto pubblicato quest’anno dalla U.K. Renewable Energy Association descrive “ripetuti interventi da parte del Governo che stanno nuocendo alla posizione del paese come leader globale, rallentando i tassi di crescita ed aumentando la probabilità che i traguardi fissati per il 2020 non vengano raggiunti”. Libero dalle sue obbligazioni verso i trattati e gli accordi dell’Unione Europea, un nuovo governo nel Regno Unito potrebbe continuare a perseguire questa linea di condotta. I traguardi fissati per il 2020 erano incerti già prima del voto di giovedì, e il distacco dall’Unione Europea potrebbe renderli inarrivabili.

Un rapporto stilato a marzo dalla Vivid Economics su commissione della National Grid del paese, giungeva alla conclusione che il distacco dall’Unione Europea sarebbe costato mezzo milione di sterlina (circa $700 milioni) l’anno a partire dal 2020, come conseguenza delle incertezze degli investimenti nel settore energetico ed ambientale.

Rachel Kyte, che è a capo della iniziativa Sustainable Energy for All delle Nazioni Unite, si è espressa con una semplice parola a commento dei risultati della votazione: “Weep” (piangete).

Al momento, il Regno Unito possiede l’industria eolica offshore più grande e avanzata al mondo. Molti dei suoi progetti, però, vengono finanziati dall’Unione Europea e da aziende del Continente, per cui il destino di questi accordi sarà incerto. Il gigante industriale tedesco Siemens, che a Hull sta costruendo un imponente polo produttivo per le turbine eoliche, era uno dei principali oppositori alla Brexit.

L’elemento più importante, probabilmente, è che il risultato del voto mette in dubbio lo sviluppo del mercato energetico unificato a cui ambiva l’Unione Europea.

Per quasi due decenni l’Unione Europea si è mossa lentamente verso l’unificazione dei mercati, costruendo linee di trasmissione internazionali e liberalizzando norme pensate per i fornitori stranieri che operano all’interno di altri paesi europei. Una rete elettrica continentale è fondamentale per l’integrazione di grandi quantità di energie rinnovabili nel sistema.

Le principali interconnessioni sottomarine ad alto voltaggio fra Scandinavia, Nord Europa e Regno Unito sono alcune delle grandi componenti di questo progetto. Senza la seconda economia più grande d’Europa, nonché il terzo mercato energetico in termini di generazione dell’elettricità, l’intero progetto potrebbe restare bloccato.

(MO)

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