I ristoranti sono centri di diffusione del contagio

Un nuovo modello che ha utilizzato i dati dello smartphone per monitorare la diffusione dell’infezione ha rilevato che limitare l’acceso ai luoghi pubblici al 20 per cento della capacità ridurrebbe le infezioni dell’80 per cento.

di Charlotte Jee

Durante questa pandemia, ogni attività in un luogo pubblico al coperto comporta un certo livello di rischio, ma alcuni luoghi sono molto più rischiosi di altri, soprattutto se sono piccoli e affollati. Sapevamo già che i ristoranti possono facilmente diventare “punti caldi”, ma un nuovo documento pubblicato su “Nature” quantifica quanto siano realmente pericolosi: quattro volte più pericolosi del luogo a rischio per eccellenza: la palestra. 

Tuttavia, potrebbe esserci un modo semplice per ridurre l’esposizione. Secondo un nuovo modello creato dal team di epidemiologi, informatici e sociologi delle università di Stanford e del NorthWestern, i limiti al numero di persone autorizzate a entrare contemporaneamente in un ristorante potrebbero ridurre drasticamente la diffusione delle infezioni.

I ricercatori hanno utilizzato i dati degli smartphone per prevedere dove le persone prendono il coronavirus. Analizzando i dati sugli spostamenti di quasi 100 milioni di persone nelle 10 più grandi città degli Stati Uniti dal 1 marzo al 1 maggio 2020, forniti da SafeGraph, una società che aggrega dati di posizione anonimi dalle app per smartphone, lo studio ha preso in considerazione i movimenti delle persone nei diversi quartieri e in palestre, negozi di alimentari, ristoranti o luoghi di culto. 

Quindi hanno cercato di prevedere le infezioni sulla base di tre parametri: quanto era grande il luogo, quanto tempo le persone sono rimaste al suo interno e quante persone potevano essere contagiose nell’area data. Infine, hanno confrontato il numero previsto di infezioni dal loro modello con il numero ufficiale di infezioni registrate in quei quartieri nello stesso periodo. Il nuovo schema è stato in grado di prevedere con precisione i casi reali, ha affermato il team. 

Simulando vari scenari, per esempio la riapertura a piena capacità o solo al 50 per cento, i ricercatori hanno scoperto che la riduzione al 20 per cento delle presenze ridurrebbe i tassi di infezione dell’80 per cento, con un minimo impatto economico. Lo studio ha rilevato che solo il 10 per cento dei locali ha raccolto l’85 per cento delle infezioni a Chicago nel periodo di tempo esaminato, probabilmente fino ai cosiddetti eventi di super diffusione

Questi dati indicano che i limiti di occupazione dei locali potrebbero ridurre significativamente le velocità di trasmissione, consentendo al contempo alle attività di rimanere aperte. Poiché queste restrizioni avrebbero per lo più un impatto solo sulle presenze durante le ore di punta, i ristoranti perderebbero in media circa il 42 per cento dei clienti. Gli autori hanno sottolineato che anche misure come indossare la mascherina e il distanziamento sociale dovrebbero far parte del mix per riaprire in sicurezza.

“Il nostro studio evidenzia che la scelta non è tra tutto o niente e che possiamo optare per interventi differenziati per luoghi diversi”, ha detto Jure Leskovec, professore associato di informatica alla Stanford University e uno degli autori dell’articolo. “Il modello che abbiamo predisposto fornisce ai responsabili politici uno strumento per definire i giusti compromessi”.

Lo studio ha anche fatto luce sul perché il rischio di contrarre il covid-19 e morire sia strettamente correlato alla etnia e al background socio economico. In primo luogo, il modello ha rilevato che le persone nei quartieri con meno popolazione bianca e redditi medi più bassi non hanno tante opportunità di ridurre la loro mobilità, soprattutto perché hanno meno probabilità di avere un lavoro che possono fare da casa. 

Non solo, ma i locali frequentati dai gruppi a basso reddito tendono ad essere più affollati, il che aumenta il rischio di infezione. Dallo studio è emerso che i negozi di alimentari frequentati da persone con redditi inferiori vedono molte più frequenze al loro interno e gli acquirenti tendono a rimanere all’interno più a lungo, rendendo queste permanenze due volte più pericolose.

C’è un ovvio svantaggio nella riduzione delle presenze, vale a dire i minori incassi e la conseguente possibilità che le attività diventino economicamente non redditizie. Il problema da affrontare è capire in che modo le aziende possano guadagnano abbastanza per rimanere aperte, limitando il numero di clienti, o se il governo debba sovvenzionare le aziende per garantire la loro sopravvivenza economica pur ospitando un numero limitato di clienti. 

(rp)

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