I ghiacciai artificiali

Le comunità del Ladakh, nell’India settentrionale, stanno subendo pesantemente gli effetti del cambiamento climatico: le nevicate che caratterizzavano gli inverni della regione si sono fatte più rare lasciando il posto a piogge devastanti. Ma al di là delle alluvioni e del caldo, questa trasformazione sta avendo effetti ben più profondi.

di Chris Dalby

Il cambiamento climatico sta modificando l’architettura stessa dell’area, danneggiando preziosi monumenti religiosi e spingendo molti abitanti a cercare fortuna altrove. Come riferisce “The Economic Times”, in passato quasi tutte le abitazioni e gli edifici del Ladakh venivano costruiti con tetti di legno perché potessero resistere alla neve.

Oggi si è passati al calcestruzzo, per fornire protezione contro le piogge battenti. Le alluvioni hanno danneggiato numerose incisioni e sculture buddiste, mentre lo scioglimento dei ghiacciai causa continue infiltrazioni d’acqua negli edifici.

A giugno, quando ha inizio la stagione delle piogge, la valle viene inondata dalle acque di fusione dei nevai e da precipitazioni particolarmente intense, che determinano un afflusso d’acqua eccessivo. Viceversa, ad aprile e a maggio — mesi cruciali per la semina — la comunità si trova a combattere contro il nemico opposto: la siccità. 

Per molti anni è stato lo scioglimento dei ghiacciai a fornire la soluzione, in quanto le comunità locali riuscivano, attraverso soluzioni di irrigazione innovative, a convogliare verso i campi le acque di fusione provenienti dalle montagne. Il graduale ritiro dei ghiacciai, tuttavia, stava iniziando a rendere difficile l’uso di queste tecniche.

E’stato così che un ingegnere, Sonam Wangchuk, ha avuto l’idea rivoluzionaria di costruire dei ghiacciai artificiali, i cosiddetti stupa di ghiaccio.

Cos’è uno stupa di ghiaccio?

L’idea iniziale di Wangchuk fu quella di raccogliere l’acqua di fusione dei ghiacciai durante la stagione delle piogge per evitare che andasse sprecata defluendo nell’Indo. Per attuarla realizzò, nell’ambito di un progetto finanziato in crowdfunding, un prototipo di ghiacciaio artificiale alto 30 metri, noto come “stupa di ghiaccio”, installando 2,3 chilometri di tubazioni che immagazzinavano l’acqua al suo interno e nella zona circostante. 

Collegato a monte alla sorgente idrica usata dal villaggio, il sistema deviava una parte dell’acqua per pomparla alla sommità dello stupa, la cui struttura verticale rendeva molto più lento lo scioglimento del ghiaccio e favoriva un rilascio progressivo dell’acqua nonostante le temperature esterne (10-20 gradi in inverno). 

Secondo Wangchuk, il prototipo funzionò meglio del previsto: resistette sei mesi senza sciogliersi e fornì complessivamente 1,5 milioni di litri d’acqua per l’irrigazione, la semina e l’uso alimentare.

L’idea ebbe un’eco immediata e oggi Wangchuk, insignito di vari premi internazionali, sta seguendo la realizzazione di altri stupa nelle zone più vulnerabili dell’India settentrionale. La sua soluzione, elegante ed economica, potrebbe garantire l’approvvigionamento idrico a milioni di persone.

Nell’inverno 2018-2019, dieci villaggi del Ladakh hanno ricevuto un proprio stupa e progetti simili sono stati attuati nelle Alpi, mentre si moltiplicano le manifestazioni di interesse anche in regioni più lontane.
La tecnica degli stupa di ghiaccio è vantaggiosa sotto vari aspetti:

  • Utilizza risorse locali, vale a dire l’acqua di fusione dei ghiacciai, per fornire acqua potabile.
  • È stata concepita, progettata e implementata localmente, un fattore di grande importanza nelle best practice per il cambiamento climatico.
  • Può essere replicata a costi ragionevoli senza bisogno di tecnologie complesse.
  • Può essere sfruttata con la massima efficienza nell’ambito di progetti più ampi, insieme a programmi di forestazione e a nuovi metodi di irrigazione.

Come rispondono le comunità locali?

La risposta al progetto è stata entusiastica, ma rimangono alcune perplessità. Per esempio, gli stupa di ghiaccio possono costituire una soluzione a lungo termine per le comunità di montagna esposte a periodi di siccità? E possono rappresentare una fonte permanente di acqua potabile per la popolazione e il bestiame, o garantire un’irrigazione sufficiente dei campi?

Per quanto riguarda la fattibilità, gli stupa richiedono condizioni adatte. Lo scioglimento dei ghiacciai assicura indubbiamente un apporto d’acqua regolare, ma è difficile che altri tipi di insediamento possano contare su risorse analoghe. Inoltre, non tutti gli stupa mostrano la stessa efficacia.

I risultati migliori si ottengono con strutture alte quanto un palazzo di 10 piani: quello di Takmachik, un villaggio della regione di Jammu e Kashmir, ha fornito mezzo milione di galloni d’acqua da marzo a luglio; una quantità che basterebbe a un qualsiasi villaggio della regione per soddisfare gran parte delle sue esigenze di irrigazione. Ciò nonostante, il team che ha creato gli stupa non ritiene che questa invenzione rappresenti, da sola, un passo importante nella lotta contro il cambiamento climatico.

“Non vediamo gli stupa di ghiaccio come una soluzione al cambiamento climatico”, ha dichiarato Simant Verma, project manager nella costruzione degli stupa, in un’intervista al “New Yorker“. “Non è in questa chiave che vogliamo presentarli al mondo. Stiamo cercando di stimolare l’innovazione affinché da qui possano nascere altre idee”.

La popolazione li vuole?

Malgrado l’acclamazione della stampa mondiale, la risposta locale agli stupa di ghiaccio è stata talvolta ostile. Gli agricoltori delle prime comunità in cui sono stati eretti hanno ripetutamente protestato per l’acqua sottratta all’irrigazione e alle esigenze delle famiglie, che ai loro occhi non veniva compensata da vantaggi apprezzabili.

I villaggi a valle lamentano di ricevere meno acqua e di non potersi più preparare alla siccità con i metodi abituali. Nel Ladakh è in corso un’aspra controversia tra il villaggio di Phyang, che possiede lo stupa, e quello di Phey, situato più a valle. Sonam Phunsuk, agricoltore di Phey, sostiene che “a novembre iniziano a deviare l’acqua del torrente (Phyang Nallah) per formare gli stupa di ghiaccio, mettendo seriamente a rischio le nostre coltivazioni e i nostri allevamenti”.

Come ha spiegato a “The Third Pole“, le comunità della zona erano solite raccogliere l’acqua di fusione e usarla nei campi e nei terreni incolti intorno al villaggio per alimentare le falde freatiche. Nel 2018, l’amministrazione locale è arrivata a ordinare la sospensione temporanea delle attività di deviazione dell’acqua per lo stupa finché un comitato di esperti non ne avesse accertato i rischi.

I risultati dell’indagine non sono stati pubblicati, ma la proliferazione di stupa di ghiaccio osservata nel 2019 fa pensare che i timori siano stati confutati. Wangchuk è convinto che vi sia acqua a sufficienza per tutti. Secondo i suoi calcoli, su 100 milioni di metri cubi d’acqua che scorrono nel Phyang Nallah ogni anno, i due villaggi ne utilizzano “meno di 10 milioni nei cinque mesi della stagione agricola”. Spiega inoltre che, con appena quattro milioni di metri cubi, si potrebbero costruire oltre 50 stupa.

Un futuro di turismo

I prossimi anni saranno cruciali per le sorti degli stupa di ghiaccio. Dopo un 2019 che ha visto sorgere nuovi stupa in tutta la parte indiana dell’Himalaya, per il 2020 e gli anni successivi si prevede un’ulteriore diffusione. È difficile, tuttavia, stabilire se questa crescita sarà dettata dal bisogno o da motivi di efficienza e non piuttosto dal desiderio di provare una soluzione ‘di tendenza’.

In ogni caso, gli sforzi di Wangchuk per far conoscere la sua invenzione sembrano portare buoni frutti, almeno sul fronte del turismo. Se finora il Ladakh, per la sua lontananza e le recenti tensioni nel Kashmir, non rientrava tra le mete di maggior richiamo dell’India, oggi si iniziano a vedere i primi turisti incuriositi dagli stupa.Un gruppo di giovani intraprendenti ha perfino realizzato un proprio stupa nel Ladakh, non per ricavarne acqua ma per adibirlo a ristorante.

Foto: Laddakh, India Commons Wikimedia

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