I fan del K-pop imperversano online

Ora chi usa lo slogan White Lives Matter non se la deve vedere solo con i manifestanti, ma anche con gli amanti delle band coreane, che stanno dimostrando una invidiabile potenza di fuoco online.

di Abby Ohlheiser

Quando la polizia di Dallas ha chiesto ai cittadini di inviare loro video di attività illegali durante le proteste di una settimana fa, non ha ricevuto prove di dimostranti che infrangono la legge. Invece, i fan della musica pop coreana hanno scaricato in massa l’app del dipartimento di polizia e hanno iniziato a inondarla di brevi filmati con un rating basso per renderli meno visibile nell’app store. Diverse ore dopo, la polizia ha annunciato che l’app era temporaneamente offline

Gli stan K-pop — dove “stan” in sostanza significa un superfan attivo online — hanno guadagnato un pubblico nuovo, organizzato e dedito ad atti di protesta, come dirottare hashtag razzisti su Twitter e far circolare petizioni e raccolte di fondi per le vittime della violenza della polizia. 

Mercoledì scorso, alcuni fan sono riusciti a prendere il controllo dell’hashtag coopt#whitelivesmatter, originariamente promosso da gruppi razzisti, e hanno consolidato la loro reputazione tra chi manifesta contro la violenza della polizia. L’hashtag è rimasto di tendenza su Twitter per ore, mentre si sono accumulati gli elogi per i fan di K-pop per aver messo da parte la loro continua promozione di gruppi come BTS, Blackpink o EXO e aver sostenuto la protesta per ottenere giustizia.

“Non avrei mai pensato di vedere il giorno in cui gli stan K-Pop sconfiggevano la polizia”, si legge su un tweet che ha ricevuto oltre 4.000 “Mi piace”. Il talk show Good Morning America ha dedicato un servizio alla “lotta per la giustizia” di questi gruppi. (Si veda link)

Molti hanno visto parallelismi con Anonymous, il collettivo hacktivista senza leader che in passato si è alleato con movimenti di protesta e ha messo alla gogna i membri del KKK. I fan di K-pop ora stanno anche realizzando un video per fan su Anonymous.

In parte, questa narrazione trova consenso perché gioca contro gli stereotipi: la comunità di K-pop viene spesso liquidata come una forma di manipolazione superficiale degli algoritmi di tendenza su Twitter al fine di determinare quale gruppo o artista abbia più successo. Ora, ci si rende conto che gli stan K-pop sono un fenomeno più complesso.

Tattiche riproposte

“L’idea prevalente tra il pubblico e i media è che la comunità dei fan del K-pop sia costituita per lo più da ragazze bianche e adolescenti”, afferma Keidra Chaney, scrittrice e curatrice di “The Learned Fangirl”, un sito Web che analizza e critica la cultura pop. “In realtà, è un fenomeno molto diversificato, non solo per razza ed etnia, ma anche per età. Lo stereotipo delle ‘ragazze adolescenti ridacchianti’ oscura l’articolazione interna del gruppo”.

La prima base di fan americani di K-pop risale alla diaspora asiatica, ma poi “si è diffusa attraverso comunità di giovani di colore che sono interessati ad altri aspetti della cultura popolare dell’Asia orientale”, afferma Michelle Cho, ricercatrice di studi dell’Asia orientale presso l’Università di Toronto. I fan da lei ascoltati, le dicono spesso che si sono avvicinati al K-pop cercando riferimento a una cultura popolare non occidentale come alternativa al mainstream americano, che “non li rappresenta”.

La loro capacità di padroneggiare lo strumento online non è un caso. Il loro obiettivo è ottenere visualizzazioni per conto del gruppo preferito. Gruppi di stan, guidati da tutorial, trasmettono in streaming nuovi video e tracce musicali su YouTube e Spotify a volte per ore. Creano meme, come i fancam, brevi video prodotti dai fan incentrati su un singolo artista, e li condividono. Sono così bravi a gestire le tecniche dei social media che le persone che non conoscono il K-pop possono, a prima vista, confondere gli account con i robot.

Questa abilità nel reindirizzare l’attenzione online si è tradotta in un attivismo senza tregua. C’è una lunga storia di fan del K-pop che sostengono cause in nome dei loro gruppi preferiti. L’attivismo è una componente essenziale della partecipazione alla comunità, in cui è centrale la “buona azione”. “I fan del K-pop usano spesso la loro voce per portare avanti campagne di beneficenza virali per organizzazioni no profit globali, spesso realizzate con i nomi dei loro idoli preferiti”, afferma Chaney.

Nell’ultimo decennio, queste iniziative hanno incluso forme di donazioni per il rimboschimento a cui dare il nome del loro gruppo o idolo preferito, la creazione di unità di donazione e la promozione di campagne promosse da celebrità. “L’altruismo è sicuramente una motivazione che si affianca alla volontà di fare una pubblicità positiva i loro artisti preferiti”, spiega Chaney.

Questo fenomeno ha raggiunto la massa critica negli Stati Uniti con l’emergere delle proteste per l’uccisione di George Floyd a Minneapolis. Due giorni prima che gli stan del K-pop mettessero in crisi l’app della polizia di Dallas, i fan di Blackpink, un gruppo di ragazze sudcoreane che infrange regolarmente i record di streaming, hanno organizzato una campagna per rispondere a un hashtag di Twitter relativo alla collaborazione del gruppo con Lady Gaga, optando per amplificare l’hashtag #blacklivesmatter.

Conflitto interno

Ma alcuni stan e gli esperti che li studiano affermano che l’attenzione agli aspetti della “venerazione” sta oscurando le dinamiche più complesse alla base delle comunità di K-pop. A loro parere, la nuova immagine dell’eroe antirazzista lascia dietro le quinte gran parte delle voci dei fan neri del K-pop, che lottano da sempre con il razzismo e le discriminazioni.

“Per molti fan neri, incluso me stesso, vedere i fan bianchi del K-pop essere elogiati e accreditati dai media per l’attivismo anti-razzista, mentre i fan neri hanno affrontato (e continueranno ad affrontare) discriminazioni, ha il valore di un pugno nello stomaco: usati e scartati”, dice Chaney.

Per esempio, mentre l’attivismo K-pop attirava l’interesse internazionale, si stava sviluppando anche una campagna offensiva contro i fan di Suga, dei BTS, un gruppo K-pop enormemente popolare. Le proteste erano legate a una canzone su un nuovo mixtape in cui si poteva sentire la voce del predicatore Jim Jones, il responsabile del suicidio di massa di Jonestown, le cui vittime erano in prevalenza nere.

 

Molti fan neri hanno manifestato la loro contrarietà su Twitter e, di conseguenza, sono stati “aggrediti” da altri fan che non volevano si criticasse il loro artista preferito, afferma Tamar Herman, un collaboratore musicale di Billboard. BTS , a sua volta, è rimasto in silenzio su Black Lives Matter, anche se altri gruppi facevano dichiarazioni pubbliche a sostegno delle proteste. Infine, pochi giorni fa, l’account BTS ufficiale ha twittato al riguardo. (Si veda link)

La controversia attinge a un lungo dibattito sulla storia del K-pop, accusato di volersi appropriare della cultura musicale americana nera. I fan neri di K-pop hanno chiesto a gran voce spiegazioni quando, per esempio, un gruppo popolare ha deciso di esibirsi con il volto nero. La cultura di Internet (come altre forme precedenti di cultura pop) ha spesso fatto riferimento alle comunità emarginate – in particolare quelle dei giovani neri – per promuovere delle tendenze e quindi filtrare quei contributi attraverso influencer, media mainstream e televisione popolare fino a dimenticare chi ha fornito il contributo originale.

Questo fenomeno è spesso esacerbato dalla dipendenza dei media da personalità di giornalisti che si affrettano a battezzare nuove mode culturali. “Prendere in considerazione  fin dall’inizio più scrittori provenienti da contesti emarginati per occuparsi di questo tipo di problemi tecnologici e culturali aiuterebbe a dare il giusto peso a quanto accade”, sostiene Chaney.

Herman ha seguito in tempo reale la partecipazione degli stan del K-pop all’azione di boicottaggio dell’app della polizia di Dallas. A lei, all’inizio sembrava che la volontà fosse di “impedire l’arresto delle persone coinvolte”. Una settimana dopo, Chaney sta vedendo segnali che pur continuando a prendere attivamente di mira gli hashtag, gli stan hanno spostato l’attenzione su loro stessi, arrivando quasi a mitizzarsi. “I fan neri affermano che il lavoro è tutt’altro che finito”, conclude Chaney, “e continueranno a parlare e organizzarsi per Black Live Matter anche quando sarà passato di moda”.

Immagine: Ms Tech / Getty

(rp)

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