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    Guardarsi da fuori

    Le tracce proposte nei giorni scorsi agli studenti che affrontano gli esami di maturità, nella varietà delle problematiche e dei riferimenti storici e letterari, sembrano complessivamente esprimere la condizione di disagio in cui versa la cultura contemporanea e i suoi più giovani rappresentanti.

    di Gian Piero Jacobelli 23-06-16

    Gli addetti ai lavori, della scuola e della pubblica opinione, nonché coloro ai quali questi lavori sono destinati, gli studenti, hanno ampiamente commentato in questi giorni le tracce proposte per la Maturità 2016.

    Tutto sommato, sembra che queste tracce abbiano riscosso qualche consenso, cioè che non siano sembrate, per così dire, “cadere dall’alto”. Se mai – e queste brevi considerazioni intendono soffermarsi proprio sul modo d’intendere questa “prova di maturità” in tutti i sensi, non soltanto in senso scolastico – si potrebbe dire che sono “cadute dal basso”. Che, nel loro “politicamente corretto”, nella apparente persistenza dei buoni sentimenti di fraternité, égalité, liberté, per conservare la foglia di fico della rivoluzione francese, in realtà esprimono in maniera coerente il senso di disagio che attanaglia i giovani, i quali si stanno affacciando a una vita auspicabilmente operosa, ma purtroppo già frustrante.

    Si è scelto un brano di Umberto Eco – al quale deve paradossalmente avere giovato la recente scomparsa per venire preso in considerazione da parte della intendenza culturale italiana – che sarebbe stato particolarmente apprezzato perché conteneva un riferimento, inconsueto per Eco, ai “valori spirituali”. Eppure, a leggere oltre la prima riga, ci si può rendere conto che il letterato italiano più conosciuto nel mondo voleva affermare proprio il contrario di quanto si vorrebbe: non la stabilità e la continuità dei cosiddetti valori spirituali, ma la funzione movimentista e innovativa della letteratura, che “forma la lingua” nella misura in cui continua a formarla e che ci rende liberi in un esercizio interpretativo destinato a scontrarsi sistematicamente contro modelli precostituiti, come i generi letterari, e contro la stessa “intenzione del testo”.

    Non, quindi, un possibile rifugio da una contemporaneità delusiva e ansiogena, ma la persistente consapevolezza di trovarsi in un guado insidioso; e comunque che panta rei, che “tutto scorre”, che attraversando un fiume non ci si immerge mai nella stessa acqua.

    Un discorso analogo, quanto meno nella ambiguità di segni che sembrano significare qualcosa e in realtà significano qualcos’altro, emerge dalla seconda traccia, quella del “figliol prodigo” di Giorgio de Chirico, e della poesia di Umberto Saba sul padre “assassino”. «Due razze in antica tenzone», conclude Saba e in effetti, a guardare bene il quadro di de Chirico, si rileva come il ritrovarsi di padre e figlio resti pregiudicato dalla diversità radicale dei loro modi di essere: entrambi “in divisa”, eccessivamente formale quella del padre, eccessivamente informale quella del figlio.

    Anche questa volta, un fiume da attraversare senza sapere come andrà a finire, proprio perché la presunta riconciliazione cela un confronto apparentemente irresolubile e, quindi, foriero di ulteriori conflitti.

    Nella traccia sulla riduttività del PIL, “economicamente” inteso dalla Enciclopedia Treccani e “umanamente” inteso da Robert Kennedy, c’è poco da aggiungere al fraintendimento provocato dall’alterazione dell’ordine dei fattori, che, rimessi al loro posto, rendono anacronistico il discorso del più giovane dei Kennedy e persino troppo attuale quello della Treccani. In altre parole, il presunto riduzionismo del PIL, la “riduzione” di tutto l’uomo e di tutto il mondo al valore del denaro, sarebbe l’unica forma possibile per cercare di esprimere la contraddittorietà del tempo presente, dove sia pure obtorto collo si può convenire sui valori monetari, mentre gli altri valori, quelli tradizionali, alimentano inevitabilmente una conflittualità permanente e dirompente.

    Quanto al suffragio universale e al voto alle donne, proposto come tema storico, i brani di Alda De Céspedes e di Anna Banti sembrano contraddirsi programmaticamente: tanto rivendicativo, il primo, quanto ispirato a una condizione femminile forte proprio della sua apparente debolezza, nel gioco psicologico della seduttività, il secondo.

    A rendere ancora più esplicito come il “passaggio” della contemporaneità venga assimilato non tanto a un guado affidabile tra due rive, quanto all’assenza di un ponte, provvede la traccia sui significati etimologici, storici e simbolici del “confine” che, nella contrapposizione alla “frontiera”, spazio aperto e sia pure rischiosamente praticabile, si pone come un limite invalicabile. Limite identitario, prima ancora che politico e sociale, in cui si può intravedere non tanto una sfida, quanto la rinuncia a una sfida, il rinchiudersi in sé per il timore di andare oltre di sé.

    Forse si tratta della prima volta in cui la istituzione scolastica, non si sa se intenzionalmente e meno, ha saputo proporre una riflessione così sistematica sulle difficoltà del passaggio che stiamo faticosamente affrontando: passaggio necessario, perché indietro non si può tornare, ma fatalmente incompiuto, perché avanti non si sa ancora come andare.

    Sia pure nelle enfatiche ipocrisie delle convenzioni culturali, questi esami di maturità stanno così fotografando il disagio di una generazione che è stata definita “perduta”, soprattutto perché stenta a ritrovarsi.

    Sarebbe interessante, da questo punto di vista, se qualcuno dei giovani testimoni della “coscienza infelice” si fosse impegnato a svolgere tutte le tracce insieme, appellandosi non alla conoscenza di qualcosa che sembra non più appartenergli, ma alla sua personale e sofferta conoscenza di se stesso. Se non altro perché, la traccia tecnico-scientifica – di nostro specifico interesse – dedicata all’avventura dell’uomo nello spazio, con la testimonianza dell’astronauta italiana Samantha Cristofoletti, non debba apparire come una mera fuga in avanti, ma come il perseguimento della complessa, logorante, ma creativa opportunità di “guardarsi da fuori”.

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