Gli Stati Uniti non sanno cosa fare con i test sul covid-19

Molti laboratori possono eseguire migliaia di test al giorno, ma il contenimento del contagio e la ripresa dell’economia dipendono dal capire come sfruttare questa capacità.

di Neel V. Patel

“Abbiamo il miglior programma di test al mondo”, ha detto ai giornalisti Donald Trump il 23 giugno. “Con oltre 25 milioni di test, un numero di gran lunga superiore a quello di altri paesi, troviamo più casi”, ha continuato il presidente americano. In effetti, oggi i test sono arrivati a 27.553.581, ma è difficile considerare il programma americano di test “il migliore al mondo”. 

Secondo le cifre di Our World in Data, gli Stati Uniti hanno eseguito 83,24 test per mille individui. In confronto, la Russia, anch’essa colpita duramente dal virus, ha eseguito 120,07 test ogni mille persone. Inoltre, gli Stati Uniti stanno attualmente testando circa 500.000 persone al giorno, molti di meno rispetto ai 5 milioni al giorno dichiarati da Trump a fine aprile

Il paese avrebbe la capacità di testare più persone, ma, secondo un sondaggio del mese scorso del “Washington Post”, effettuato su circa 20 stati, si stanno eseguendo almeno 235.000 test in meno al giorno di quanti se ne potrebbero fare. Mentre i luoghi con punte del contagio preoccupanti – come l’ Arizona – mostrano carenze, ampie aree del paese segnalano in realtà una disponibilità sottoutilizzata. Andare alla ricerca delle nuove infezioni non è però l’unico modo per utilizzare questo serbatoio di risorse non sfruttato. 

Quanto è grave la situazione?

La maggior parte degli esperti sanitari sostiene che i test sono fondamentali per controllare la pandemia. A livello personale, questi esami possono dire se una persona è positiva, indipendentemente dal fatto che stia manifestando sintomi. In questo caso, ci si può isolare per proteggere gli altri e  chi traccia i contatti può mettere in preavviso chi ha interagito con la persona positiva. I test possono anche dirci dove stanno spuntando nuovi focolai e le autorità possono intervenire per isolare le zone colpite. Se non si hanno a disposizione abbastanza test, non si può fare bene nessuna di queste cose, permettendo al virus di diffondersi più velocemente.

Un altro problema: non si sa ancora esattamente quanto i casi asintomatici contribuiscano alla diffusione del covid-19. Se si scopre che la trasmissione asintomatica è un grosso problema, “potremo affrontare la situazione solo identificando persone che non sanno di essere contagiate”, afferma Ann Kiessling, direttore del Bedford Research Foundation, un laboratorio nel Massachusetts.

Quindi, quanti test si dovrebbero davvero fare negli Stati Uniti? Gli esperti sanitari americani non hanno una posizione univoca. L’economista Paul Romer ha affermato che dobbiamo fare 30 milioni di test al giorno. Un modello sviluppato dal Safra Center di Harvard parla di 10 milioni di test al giorno. Ashish Jha, direttore del Global Health Institute di Harvard, e i suoi colleghi si attestano su cifre molto più modeste:  900.000 al giorno

Il loro modello parte dall’idea che tutti i soggetti con sintomi anche lievi di malattia simil-influenzale dovrebbero essere testati. L’ipotesi migliore di Jha al momento è che probabilmente ci sono circa 100.000 nuovi casi di covid-19 in tutto il paese ogni giorno. Supponendo che forse circa il 20 per cento delle persone è asintomatica, i testati dovrebbero essere almeno 80.000. Inoltre, si stima che ogni caso positivo stabilisca almeno 10 contatti che dovrebbero a loro volta essere identificati e testati. Insieme a una miriade di altre variabili (come il tasso di nuove infezioni e l’impatto delle riaperture) si arriva alla cifra di 900.000 test al giorno.

“Farei 30 milioni di test se fosse possibile”, afferma Jha. “Penso che da 3 a 5 milioni sarebbe già un buon risultato, ma di sicuro non possiamo scendere sotto i 900.000”. Quindi, perché gli Stati Uniti non stanno rispettando questo minimo? Nelle prime fasi della pandemia, il sistema semplicemente non poteva soddisfare la domanda. Alle persone che non presentavano chiari sintomi di infezione moderati o gravi non è stato fatto il test.  A fine aprile, secondo il Covid Tracking Project, il numero di test si attestava ancora sui 300.000 al giorno.

Oggi i più grandi laboratori in tutto il paese hanno a disposizione più attrezzature e risorse per eseguire molti più test diagnostici per il covid, e molti piccoli laboratori fanno solo questo. Eppure, come ha rivelato il “Washington Post”, uno stato come lo Utah sta eseguendo solo un terzo dei 9.000 test che potrebbe eseguire ogni giorno. In California, il governatore Gavin Newsom ha ammesso che lo stato potrebbe testare 100.000 persone al giorno, ma utilizza solo il 40 per cento delle sue capacità. 

Il “Boston Globe” ha riferito alcune settimane fa che il Massachusetts aveva il potenziale per elaborare 30.000 test al giorno, ma non ne effettua più di un terzo. Migliaia di test in Oregon, Texas e a Los Angeles rimangono inutilizzati. Gli Stati Uniti potrebbero fare immediatamente altre centinaia di migliaia di test. Perché non succede? 

“Ancora si ragiona come se la disponibilità di test fosse scarsa”, afferma Jha. Sebbene la capacità sia migliorata, osserva, la maggior parte degli stati non ha alleggerito le restrizioni contro il test di persone con sintomi lievi o assenti, o non li incoraggia a fare test. Invece, altre comunità hanno semplicemente scelto di far ripartire le loro attività, come nel caso di New York City, l’epicentro della pandemia nel Nord America. Nel complesso, gli Stati Uniti  stanno assistendo a un’ondata di nuovi casi.

Non tutti gli esperti sanitari sono entusiasti dei test di massa. Michael Hochman, un medico della Keck School of Medicine dell’Università della California del Sud, pensa che sarebbe sufficiente l’attuale livello di 500.000 al giorno. Il mese scorso ha pubblicato un articolo su “Stat”  sostenendo che ci sono alcuni aspetti negativi dei test di massa, tra cui il costo, il potenziale di diffusione delle infezioni nei siti dei test stessi e la prospettiva relativa di falsi negativi

Preferirebbe limitare i test a chi presenta sintomi, e invece le comunità dovrebbero concentrarsi maggiormente sulle abitudine quotidiane più semplici, come il rispetto delle distanze sociali, l’indossare maschere per il viso, lavarsi spesso le mani e mantenere pulite le superfici. Paesi che hanno gestito bene il virus, come la Corea del Sud, Taiwan, Giappone, Islanda e Hong Kong, hanno avuto programmi di test di successo, ma pensa che il motivo per cui ora sono in grado di aprire le loro economie in modo più ampio ha più a che fare con l’obbligatorietà delle mascherine per il viso.

Michael Mina, un epidemiologo dell’Università di Harvard, afferma che abbiamo sicuramente bisogno di ulteriori esami, ma aggiunge che i test virali sono molto importanti all’inizio di una pandemia, quando è fondamentale trovare e isolare coloro che sono infetti. In una seconda fase, egli dice, “non è necessario testare tutti se la circolazione del virus è bassa”. 

I test sierologici, che cercano la presenza di anticorpi che indicano la presenza di un’infezione precedente, possono fornire un quadro di come l’epidemia si muova nel lungo termine in una comunità e se è sicura la riapertura. Mina suggerisce inoltre che la capacità aggiuntiva di test sarà necessaria in autunno, quando una seconda ondata di infezioni probabilmente colpirà gli Stati Uniti.

Ripensare il ruolo dei test

Kiessling è una ricercatrice che ha visto come le strutture di test siano sottoutilizzate. Ogni martedì, nelle ultime sei settimane, la First Parish Unitarian Church di Bedford, nel Massachusetts, ospita un centro per i test di covid-19 amministrata dal suo laboratorio. Essendo una struttura locale con casi limitati, Kiessling credeva che lei e il suo team della BRF sarebbero stati in grado di fornire i risultati dei test alle persone in meno di 48 ore, rispetto ai 7-14 giorni di attesa in media del resto del paese

All’inizio, il centro ospitava più di 100 persone, ma man mano i numeri sono diminuiti. Quando sono andato, il 16 giugno, erano registrate solo 30 persone e alcune non si sono nemmeno presentate. A piena capacità, il laboratorio potrebbe eseguire 200 test al giorno. Perché i numeri sono precipitati così drasticamente? “Non sappiamo davvero il perché”, dice Ryan Kiessling, responsabile delle operazioni di BRF. “Le persone sembrano stanche di questa storia”.

Questa è probabilmente una buona spiegazione. Secondo un sondaggio di Gallup di questo mese, molti americani pensano che la situazione negli Stati Uniti stia migliorando. Con più attività commerciali e più aree ricreative come le spiagge che si riaprono, le persone sono più disposte a abbassare la guardia e ad abbandonare le regole che hanno dovuto mantenere per diversi mesi: stanno riprendendo sempre più  le attività regolari e, a maggio, il numero di americani che praticano l’isolamento  è sceso dal 75 al 58 per cento

“Le persone si sentono davvero stanche di tutto ciò che ha a che fare con il covid”, spiega Kiessling. “Vogliono solo che finisca, anche se sanno che è così”.  È facile capire che la gente voglia tornare alla vita normale. Sarebbe più semplice accettarlo se stessimo sfruttando tutta la capacità di test a nostra disposizione. Ann Kiessling pensa che potremmo testare le persone regolarmente (almeno ogni 14 giorni) per assicurarsi che possano tornare al lavoro o a scuola in modo sicuro e ottenere risultati abbastanza velocemente da isolarli immediatamente se si scopre che sono contagiati. 

Non è un’idea originale. Molti datori di lavoro stanno già effettuando test regolari obbligatori per consentire ai dipendenti di tornare in ufficio. Ma Kiessling vuole spingersi più in là e utilizzare i test come strumento per ammorbidire le regole di allontanamento sociale in determinate situazioni. Supponiamo, per esempio, che una scuola o un asilo nido voglia riaprire. 

Sarà estremamente difficile mantenere un rigoroso distanziamento sociale in questi tipi di contesti. Una soluzione potrebbe essere quella di imporre che tutti i dipendenti e tutti i bambini iscritti vengano testati regolarmente (forse più volte alla settimana) e monitorati rigorosamente in caso di potenziali sintomi. Ciò potrebbe consentire di aprire in sicurezza questi luoghi anche in situazioni di emergenza.

Se portato avanti con attenzione, un tale piano potrebbe funzionare anche negli uffici. Il distanziamento sociale è molto importante per fermare la diffusione del virus e non ne va trascurata l’importanza. Ma, dice Kiessling, se si sta lavorando con un piccolo gruppo di persone e il lavoro non richiede di interagire faccia a faccia con estranei, i test regolari potrebbero abbassare il livello di rischio fino al punto da risultare accettabile.

Il dipartimento della sanità del Massachusetts e le commissioni sanitarie locali dello stato, tuttavia, non hanno rivisto le loro linee guida per rendere i test parte della strategia per riaprire  aziende o scuole. Kiessling afferma di aver sollevato la questione parecchie volte con funzionari sanitari statali e locali, sempre senza risultati, soprattutto per volere di diverse aziende che semplicemente non possono operare in base agli attuali requisiti di distanziamento sociale. I funzionari sembrano semplicemente disinteressati all’idea di espandere il ruolo dei test. 

Ripensare il modo in cui utilizziamo la capacità di test in eccesso potrebbe essere argomento di dibattito nei prossimi mesi. Con il clima più freddo, il virus si diffonderà di nuovo e molte aree si potrebbero ritrovare nella situazione di marzo e aprile. Il sistema potrebbe ritrovarsi ancora una volta sul punto di collassare.

Jha suggerisce che se la capacità di fare test sarà di nuovo messa in discussione, potremmo estenderla con strategie come il  pooling, in cui i campioni di test di più individui vengono elaborati come un singolo test: se è positivo, è necessario tornare indietro e ripetere il test dei campioni uno per uno per vedere chi è infetto, ma se risulta negativo, si può escludere l’infezione per molte persone contemporaneamente.

immagine: Kevin Winter / Getty Images

(rp)

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