Gli Stati Uniti non hanno idea di come gestire i dati dei test

Ogni stato decide come registrare i risultati dei test covid-19, contribuendo alla creazione di un sistema caotico che sta danneggiando la risposta alla pandemia.

di Neel V. Patel

Immaginate di essere un epidemiologo o un esperto di salute pubblica negli Stati Uniti durante l’attuale crisi. Gli alti funzionari eletti vi hanno appena contattato per chiedervi se, a vostro parere, si possono allentare in sicurezza alcune misure di restrizione. Per dare una risposta, dovrete dare un’occhiata più da vicino a ciò che dicono i dati dei test covid-19. 

Ottenere questi dati significa andare al sito web del dipartimento sanitario di ciascuna giurisdizione in questione (e di quelle vicine), estrarre le informazioni una per una e quindi provare a raccoglierle tutte insieme. Dovete anche sperare che le informazioni siano aggiornate, cosa di cui non esiste alcuna garanzia. Potreste anche dover contattare direttamente i dipartimenti e fare una richiesta speciale se state cercando numeri e informazioni non facilmente disponibili sui loro siti web. L’intero processo sarà un affare lungo, elaborato e frustrante, senza alcuna garanzia del risultato finale. 

Questa situazione si verifica perché la salute pubblica è un sistema decentralizzato negli Stati Uniti. Nel caso di covid-19, non esiste uno standard coerente su come gli stati dovrebbero raccogliere e riportare i dati. I singoli stati e i loro dipartimenti sanitari decidono come vogliono gestire i test, incluso come raccogliere, organizzare e riferire i risultati. E questo può essere un problema.

“Come è facile immaginare, alcuni dipartimenti sanitari funzionano meglio di altri”, afferma Neal Goldstein, epidemiologo della Dornsife School of Public Health della Drexel University.  Ogni dipartimento sanitario statale riporta il numero di test positivi e negativi. Ma poi sorgono disparità. Gli stati possono scegliere se suddividere i numeri geograficamente (come per il codice postale); conteggiare casi e decessi (confermati e probabili); mostrare ricoveri e statistiche sull’uso del ventilatore e dell’ICU; o includere informazioni demografiche come etnia, età, sesso e condizioni preesistenti dei pazienti. 

In alcuni luoghi, come New York City, i dati grezzi sono liberamente disponibili e regolarmente aggiornati nei particolari. Ma questo tipo di trasparenza è raro e spesso è necessario effettuare richieste complesse per ottenere informazioni su test più approfonditi. Questo patchwork di approcci e standard sta causando ritardi nella risposta degli Stati Uniti alla pandemia.

Senza una pipeline uniforme ed efficiente per l’aggregazione e la comunicazione dei dati dei test covid-19, mancano i dati aggiornati che potrebbero aiutare a concentrare gli sforzi e a evitare di impiegare risorse e tempo inutili per “leggere” le disparità nei numeri. Cose come la tracciabilità dei contatti, la sorveglianza e la gestione delle risorse per gli ospedali dipendono dalle informazioni sui test in tempo reale, ma sono difficili da ottenere quando nessuno utilizza sistemi di segnalazione simili. 

I ritardi possono influenzare il processo decisionale. I responsabili politici non dovrebbero prendere decisioni importanti sulla base di dati vecchi di 72 ore, in attesa che gli esperti rendano disponibili le informazioni in arrivo. “Per noi epidemiologi è difficile trarre conclusioni a livello generale in caso di incoerenza nei dati”, afferma Goldstein. “Ha davvero un impatto sulla nostra capacità di valutare la portata reale della pandemia che sta colpendo gli Stati Uniti”.

Alcuni stati e comuni semplicemente non si sono adeguati al nuovo secolo. Emily Travanty, responsabile scientifica del Colorado State Public Health Laboratory, rileva che il suo stato consente di comunicare i risultati via fax, poiché alcune cliniche più piccole non dispongono di mezzi elettronici per farlo. Aaron Miri, responsabile delle informazioni presso la Dell Medical School dell’Università del Texas, ad Austin, afferma che non è poi così raro vedere alcune istituzioni utilizzare Excel invece di software più moderni per le cartelle cliniche elettroniche. Altri stati stanno semplicemente procedendo a tentoni.

Nel frattempo, gli epidemiologi vogliono capire la diffusione del contagio in una comunità. Parte del lavoro significa adeguare i numeri per tenere conto di risultati errati, per evitare di spostare falsi negativi nella colonna dei positivi. Ma dovrebbe essere compito del dipartimento della salute segnalare quali sono le procedure più accurate in modo che gli scienziati possano apportare correzioni. 

“È possibile interfacciarsi con un singolo dipartimento sanitario e lavorare con i loro dati e i loro esperti, ma non basta; collaborare con più dipartimenti sanitari, potrebbe prefigurare uno scenario molto diverso”, afferma Goldstein. Cercare di comprendere le tendenze al di là dei confini statali può essere un’impresa e il virus di certo non discrimina sulla base dei confini. 

Nuove piattaforme di test aggraveranno questi problemi. Non vi è alcuna garanzia che i risultati dei test a domicilio vengano comunicati allo stato a meno che le persone che effettuano tali test non facciano di tutto per interagire con il sistema sanitario. La diversa accuratezza di questi test significa che non tutti i risultati hanno lo stesso peso e non devono essere conteggiati allo stesso modo.

Ma come si può intervenire per evitare il caos? La buona notizia è che non dobbiamo inventare qualcosa di nuovo perché le soluzioni già ci sono e vanno solo migliorate. Molti sistemi sanitari utilizzano già uno standard per la gestione e la presentazione dei dati delle cartelle cliniche, denominato Fast Healthcare Interoperability Resources (FHIR). 

Il CDC ha un nuovo strumento basato sul FHIR che può generare automaticamente relazioni sui casi clinici covid-19 usando cartelle cliniche elettroniche. Lo strumento potrebbe inviare in automatico tali rapporti ai dipartimenti sanitari, senza supervisione umana. Una versione iniziale è già disponibile

Erich Huang, vicerettore per l’informatica biomedica presso la Duke University School of Medicine, afferma che è fondamentale la collaborazione tra diversi sistemi informatici sanitari. Logica, un’azienda non profit, ha realizzato una piattaforma di interoperabilità open source progettata per facilitare la raccolta e l’organizzazione di tutti i dati clinici relativi a covid per tutti i sistemi sanitari. “Penso che le persone dovrebbero condividerla e iniziare a mappare i propri dati in quel formato”, afferma Huang. 

Ciò che è importante, sottolinea Miri, è che queste piattaforme siano abbastanza flessibili da gestire aggiornamenti e modifiche regolari nel tempo: “Mentre continuiamo a saperne di più su covid-19, stiamo imparando anche a capire quali dati critici dovrebbero essere segnalati”. Il CDC, per esempio, ha appena aggiunto 15 nuovi elementi al suo modulo di segnalazione dei casi di covid-19.

Altre soluzioni sono più semplici. Donald Thea, professore di salute globale alla Boston University, sostiene che in teoria si potrebbe usare un dispositivo intelligente che tiene traccia dei test PCR in tempo reale e invia i risultati direttamente al dipartimento sanitario locale o statale, senza la necessità di un operatore umano per leggere quelle informazioni e inserirle manualmente. Qualunque clinica che non abbia già adottato cartelle cliniche elettroniche basate su cloud dovrebbe attenersi a questo sistema.

Nel 2014-2015, Eric Perakslis, un compagno di Rubenstein alla Duke, era in prima linea nella lotta all’epidemia di Ebola in Africa occidentale. A sua parere, la lezione più grande che ha imparato è stata che “intervenire come possibile da subito era più importante che aspettare qualcosa di più grande in seguito“. 

La maggior parte degli esperti concorda sul fatto che, in una situazione ideale, il governo federale dovrebbe avere la responsabilità della gestione dei dati sulla salute pubblica per una crisi come questa, ma è altamente improbabile che ciò accada. Dato, però, che alcuni modelli suggeriscono che dovremo implementare misure di risposta contro la pandemia fino al 2022, Miri non pensa che sia troppo tardi per portare avanti un’iniziativa nazionale. 

È solo una questione di finanziamento di tali misure e di convincere gli stati ad accettare un maggiore controllo. “Potrebbero essere necessari dai 24 ai 36 mesi”, afferma Miri. “Ma se non inizi oggi, saremo impreparati come già è successo con Ebola. Dobbiamo mettere in campo tutte le nostre forze e soprattutto collaborare”.

(rp)

Related Posts
Total
0
Share