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Saprete già che il social network utilizza il vostro profilo online per inviare pubblicità mirate che potrebbero interessarvi. Quello che forse non sapete, è che raccoglie anche informazioni sulla vostra vita offline da broker di dati.

di Michael Reilly

Se avete un account Facebook, allora sapete come vanno le cose: vi potete connettere “gratuitamente” ad amici, familiari e contatti con i quali non avete più scambi dai tempi del liceo. In cambio, Facebook raccoglie informazioni su di voi – le informazioni sul vostro profilo, gli articoli o le pagine che vi piacciono, i video che guardate e così via dicendo – e le utilizza per vendere pubblicità.

Le cose, in realtà, non sono così semplici. Come dimostrato in una indagine in corso ad opera di ProPublica, Facebook si spinge oltre questo tacito accordo i suoi utenti. Di fatto, la società ha siglato contratti con diversi broker di dati che le forniscono informazioni sulla vita offline delle persone – informazioni come lo stipendio, i ristoranti preferiti e il numero di carte di credito che possiedono.

Facebook sfrutta questi dati per affinare le pubblicità inviate agli utenti, e lo fa di nascosto.

Le operazioni pubblicitarie di Facebook sono una macchina sorprendente. Certo, il social network vanta una user base enorme, ma ad attirare maggiormente gli inserzionisti è il fatto che consente alle società di definire accuratamente i sottoinsiemi di utenti che vedranno una pubblicità sulla base di molteplici parametri, inclusi gli interessi condivisi, le preferenze politiche, l’età e l’utilizzo di dispositivi mobile.

Questo genere di microtargeting è incredibilmente efficace – esiste modo migliore per potenziarlo che acquistare raccolte di dati offline da abbinare agli utenti di Facebook? Sapere quanto guadagnate in un anno, o se siete soliti acquistare prodotti costosi o economici, è molto meglio che giudicare il vostro profilo in base ai “like” che indicate sul social network.

Facebook ha sempre vantato una grande trasparenza sui processi adoprati per raccogliere dati dai suoi utenti e sulle categorie di interesse che assegna a ciascuno di essi. Chiunque, infatti, può consultare queste informazioni sul sito di Facebook.

ProPublica ha sviluppato uno strumento aperto agli utenti del social network perché ne condividessero i risultati. Dallo scorso settembre, la pubblicazione ha così raccolto oltre 52.000 categorie di interesse che variano dal cosiddetto “Fingere di scrivere in situazioni imbarazzanti” a “Allattare in pubblico”.

Quando ProPublica ha consultato la piattaforma pubblicitaria di Facebook per verificare quali parametri fossero a disposizione degli inserzionisti per le pubblicità mirate, però, ha identificato intorno a 600 categorie che venivano descritte come “fornite da terze parti”. La maggior parte di queste aveva a che fare con gli attributi finanziari degli utenti, e nessuna compariva nella lista raccolta attraverso l’operazione di crowdsourcing gestita da ProPublica. Si evince, dunque, che la trasparenza di Facebook ha i suoi limiti.

(MO)