Esiste un diritto al videogioco?

Le giovani generazioni stanno proponendo un approccio alla tecnologia più intelligente e sicuro, ma hanno bisogno degli adulti per realizzarlo.

di Anya Kamenetz

Pruthvirajsinh Zala era uno studente di giurisprudenza del primo anno di 19 anni quando è entrato nell’alta corte del Gujarat per discutere la sua prima causa. “È un grande edificio enorme tutto di pietra nera con una gigantesca statua di Gandhi. Sulla mia istanza era scritto Pruthvirajsinh Zala v. Stato del Gujarat. Ero in preda al panico perché dentro mi sarei trovato di fronte due avvocati governativi”, spiega Zala. 

L’argomento della causa in discussione di Zala era PlayerUnknown’s Battlegrounds, o PUBG, un videogioco del genere”battle royale” distribuito due anni fa dalla azienda sudcoreana Bluehole. Nel gioco, ci si trova su un’isola virtuale con altri 100 giocatori e il vincitore è l’unico sopravvissuto. È simile a Fortnite: talmente simile che Bluehole ha fatto causa a Epic Games, i produttori di Fortnite, sostenendo che la sua formula era stata rubata (la denuncia alla fine è stata ritirata).

Probabilmente, PUBG è ancora più diffuso a livello globale del suo rivale e, poiché è disponibile su telefoni cellulari e gratuito, ha preso piede soprattutto nei paesi a basso reddito. L’India ha forse circa 50 milioni di giocatori, con tornei regolari organizzati in tutto il paese e milioni di persone che guardano streamer di celebrità in Hinglish, Tamil e Telugu.

Ma i genitori non hanno apprezzato questo gioco. Sono state sollevate critiche per forme di bullismo all’interno del gioco e sono stati segnalati casi di violenza quando si cercava di limitare il tempo di gioco dei ragazzi. PUBG è stato indicato come responsabile di diverse morti, tra cui quella di un ragazzo di 16 anni che si è ucciso dopo che i suoi genitori gli hanno tolto il gioco e l’altra di due giovani che, a quanto si dice, erano così assorbiti dal gioco da non sentire l’arrivo di un treno.   

PUBG ha risposto istituendo limiti di età, sistemi di riconoscimento facciale e controllo parentale. Ha anche aggiunto una “avvertenza sui rischi per la salute” che compare dopo aver giocato per sei ore di fila. Ma il Gujarat non ha giudicato sufficienti queste misure. Nel marzo 2019, lo stato ha annunciato un divieto assoluto sul gioco, presumibilmente un blocco temporaneo per aiutare gli studenti a concentrarsi sulla preparazione agli esami.

Non è insolito che le autorità indiane interferiscano in questo modo con l’uso della tecnologia. Apar Gupta, capo della Internet Freedom Foundation indiana, afferma che il paese ha uno dei più alti tassi di chiusura di Internet al mondo. Ma di solito l’onere dell’esecuzione del divieto ricade sui fornitori di servizi, mentre in questo caso ha preso di mira i giocatori. Chiunque venga sorpreso a giocare deve pagare delle multe e può passare persino qualche giorno in prigione.

Dopo l’entrata in vigore del divieto, 21 persone sono state arrestate nel Gujarat. Per lo più, erano adolescenti e giovani musulmani che si incontravano per giocare a PUBG nelle sale da tè nei quartieri della classe medio-bassa. Questa è una delle prime volte al mondo in cui viene arrestato qualcuno che sta semplicemente giocando, sostiene Gregory Boyd, un partner dello studio legale Frankfurt Kurnit Klein & Selz specializzato in giochi.

E’ stato a questo punto che Zala, un laureando in legge presso la Nirma University di Ahmedabad, la più grande città del Gujarat, entra in scena. Non ha mai giocato a PUBG.”Si tratta di una misura arbitraria”, mi ha detto. “E’ del tutto incostituzionale. Non sto dicendo che il gioco vada bene così com’è, ma se lo si vieta, lo si deve giustificare”.

Il diritto di essere soli e fare delle scelte

Ma giocare ai videogiochi può essere definito un diritto umano fondamentale? Potrebbe sembrare una questione futile, ma l’idea che i ragazzi abbiano diritti digitali inalienabili (siveda la nota in fondo all’articolo)sta emergendo in tutto il mondo e se tutto andrà come vorrebbero i suoi sostenitori, potrebbe avere un impatto diretto sul modo in cui le principali aziende tecnologiche come Google e Facebook fanno affari.

Il movimento affonda le sue radici nel 1989, durante le prime fasi dell’Internet commerciale. Fu allora che le Nazioni Unite introdussero la Convenzione sui diritti dell’infanzia, che affronta problemi come la vita e la morte o il diritto dei bambini a non essere separati dai genitori a meno che non sia nel loro interesse. 

Una parte della carta dei diritti delle persone sotto i 18 anni si esprime anche sull’accesso ai media, sulla possibilità di essere consultati su questioni che li riguardano, di esprimersi, di cercare informazioni utili e di proteggere la loro privacy. E sancisce la loro libertà di associazione e riunione, che spesso ora vengono espletati online.

Si tratta degli stessi diritti che sono stati violati dal divieto di giocare a PUBG, sostiene Zala. Gli avvocati del governo hanno affermato che il divieto aveva lo scopo di garantire la sicurezza pubblica. Il gioco creava dipendenza e i giocatori disturbavano la pace sociale.

“Se un cittadino gioca a PUBG nella sua casa o sul suo balcone, è una sua libera scelta”, ha ribattuto Zala nella petizione. “Si deve rispettare il loro diritto alla privacy, il loro diritto alla “solitudine” e il loro diritto di fare delle scelte”.

Questa è un’idea in qualche modo nuova. Fino ad ora, proteggere i ragazzi sul Web ha significato innanzitutto tenerli lontani dai “pericoli”, proprio come il governo indiano ha cercato di fare con PUBG. E non è qualcosa che finora è stato fatto molto bene.

Negli Stati Uniti, il Children’s Online Protection Protection Act, o COPPA, afferma che i minori di 13 anni non dovrebbero essere profilati o tracciati ai fini della pubblicità mirata e i loro dati non dovrebbero essere commercializzati. Ciò significa che non possono usare molti servizi, come i social media, senza mentire sulla loro età, ma è una bugia che viene controllata raramente.

5Rights, una fondazione con sede nel Regno Unito che è dalla parte dei ragazzi, stima che le aziende abbiano raccolto circa 70.000 punti dati separati su ogni giovane sotto i 18 anni. Il problema di questo approccio alla protezione dei bambini è esemplificato da YouTube.

Lo scorso settembre la Federal Trade Commission degli Stati Uniti ha multato Google e YouTube per un importo di 170 milioni di dollari per violazioni della COPPA. La denuncia ha sottolineato che mentre YouTube ha dichiarato ufficialmente di non avere utenti con meno di 13 anni, stava simultaneamente propagandando il suo sito agli inserzionisti come “i nuovi cartoni animati del sabato mattina”.

Rohit Chopra, un membro della FTC che riteneva la multa troppo leggera, ha spiegato che YouTube quasi sicuramente ha guadagnato molto di più “spiando illegalmente i bambini” di quanto non abbia pagato.

Sonia Livingstone, che dirige l’iniziativa Preparing for a Future Digital della London School of Economics, sostiene che avere forme severe di controllo all’età di 13 anni non garantisce la sicurezza dei ragazzi né consente loro di esplorare liberamente. “Dovrebbero avere accesso a tutte le risorse che li possono aiutare”, ella afferma. “Quando ci si focalizza sul rischio, si limitiamo i ragazzi, restringendo la loro gamma di opzioni e quindi negando loro l’opportunità di svilupparsi, esprimersi e impegnarsi come agenti attivi nel mondo”.

Livingstone è una delle persone che pensa invece a come applicare un “quadro dei diritti degli adolescenti” ai media digitali. Insieme a 5Rights – che prende il nome da un elenco di libertà emerse in parte in una “consultazione deliberativa” con giurie di ragazzi di età compresa tra 11 e 14 anni – ha aiutato il governo del Regno Unito a presentare un “Codice di progettazione appropriata per l’età” per il web. L’obiettivo, afferma Jay Harman, responsabile della linea politica di 5Rights, è quello di rendere Internet un luogo più sicuro per navigare.

Chi aderisce al codice non può condividere i dati dei minori di 18 anni, deve eliminare la pubblicità occulta intesa a fidelizzare gli utenti sul sito (come la riproduzione automatica o lo scorrimento infinito), proteggere i giovani utenti da contenuti sgradevoli e astenersi dal prendere posizioni esplicite. Tutto ciò deve essere spiegato in un linguaggio a misura di adolescente, con avvisi di sicurezza se un utente tenta di modificare le impostazioni.

Il codice afferma che i siti sono in grado di offrire questo livello di protezione a tutti gli utenti, verificare l’età attraverso mezzi affidabili come le patenti di guida o consentire ai ragazzi di fare delle auto-dichiarazioni. Ma, aggiunge Harman, se vengono scoperti a ingannare i giovani utenti devono esserci serie sanzioni.

Il rispetto del codice potrebbe richiedere una riprogettazione fondamentale di numerosi servizi, dell’esperienze utente e dei modelli di entrate, in particolare nel comportamento pubblicitario. E’ probabile che queste linee guida si diffondano anche oltre il mercato del Regno Unito.

Il California Consumer Privacy Act, che entrerà in vigore il 1° gennaio 2020, limita la vendita di dati dei minori di 16 anni; un aggiornamento progettato per rafforzare la COPPA è in corso anche al Senato degli Stati Uniti. Potrebbe includere un “pulsante di cancellazione” che consentirebbe a un minore di rimuovere facilmente tutti i dati personali da qualsiasi servizio online. Anche l’Australia e l’UE stanno esaminando nuove leggi.

“Spetterà alle aziende decidere se adeguarsi alla legge del Regno Unito”, afferma Harman. “Ma se dovessi scommettere, direi che il processo è ormai irreversibile”.
Livingstone e Harman sostengono che il rispetto dei diritti dei minori può creare una rete migliore per tutti.

Proprio come le strade trafficate sembrano meno minacciose dei vicoli deserti, progettare la rete per salvaguardare meglio la partecipazione dei giovani potrebbe migliorare la vita online in generale. E’ indubbio che tutti preferiremmo servizi meno manipolativi e informazioni sulla privacy scritte in modo comprensibile per uno studente di terza media.

Uno studente di giurisprudenza del primo anno ottiene una grande vittoria

Tuttavia, le nuove leggi da sole non sono una panacea. Basta guardare al GDPR, la normativa dell’UE in materia di dati e privacy: l’elaborazione del testo è stata faticosa e i risultati contrastanti. Inoltre, gli inserzionisti e le aziende di marketing non sono i soli a violare i diritti digitali dei minori.

Sulla scia delle stragi nei college, molte scuole negli Stati Uniti hanno assunto società private per monitorare le comunicazioni online degli studenti. Il Forum no profit sul futuro della privacy stima che tali accordi siano stati stipulati in circa un terzo dei distretti scolastici.

Questi sistemi eseguono la scansione di tutti i tipi di attività; viene esaminata qualsiasi cosa, da un post di Twitter a una ricerca su Google, da un’e-mail a un documento di ricerca, alla ricerca di possibili segnali di allarme di violenza al fine di prevenirlo.

Ma i termini contrassegnati da una lista di controllo producono molti falsi allarmi e ci sono poche prove che questo tipo di monitoraggio riduca davvero le manifestazioni violente. Tuttavia, un disegno di legge per rendere obbligatorio questo tipo di sistemi in tutte le scuole americane è stato presentato al Senato degli Stati Uniti in ottobre.

Anche il tipo di sorveglianza di routine che ha avuto luogo nelle scuole per decenni sta ora diventando digitalizzato. Una società chiamata e-Hallpass, per esempio, monitora quante volte gli studenti vanno al bagno. ClassDojo, un’app comportamentale in aula ampiamente utilizzata, offre ai genitori notifiche push ogni volta che il figlio non rispetta le regole.

Nel mondo, i giovani continuano ad affrontare ogni tipo di censura e restrizioni. Il solo PUBG è stato bandito in Nepal, Iraq, Giordania e nel Gujarat. Consultare i giovani sulle politiche che li riguardano non è affatto la norma: dovunque si viva, il paternalismo è duro a morire.

Alla fine la costanza di Zala è stata premiata. Il giudice ha chiesto ai funzionari gujarati di presentare prove più convincenti a favore del divieto. Nel frattempo, lo stato ha sospeso il divieto. Zala ha ricevuto la notizia intorno alla mezzanotte. “Tutto il dormitorio, 50 o 60 persone, ha celebrato la notizia”, egli racconta. “Una esplosione di felicità. Non è la routine: uno studente di giurisprudenza del primo anno che discute davanti alla corte suprema e vince, ha un impatto sulla società e produce dei cambiamenti”. Zala ha anche ricevuto una onorificenza dal college.

Parla ora o taci per sempre

Zala ha deciso di continuare a lottare per i diritti dei giovani. Attualmente sta lavorando a contenziosi sui cambiamenti climatici, ispirati all’azione di Greta Thunberg. “L’India ha la più grande popolazione giovanile al mondo”, egliu afferma. “In fondo, è tutto nelle nostre mani. Non possiamo tacere se un gioco è vietato, se le opinioni dissenzienti vengono spazzate via, se c’è il disastro ambientale. Se non ci facciampo sentire ora, dopo sarà troppo tardi”.  

Alcuni genitori hanno ritenuto PUBG una minaccia e hanno chiesto il ripristino del divieto. “Ma”, conclude Zala, “so di aver fatto la cosa giusta”.

(Nota)
I diritti digitali dei bambini
Jay Harman, responsabile della politica di 5Rights, li elenca:

  • Il diritto di rimuovere i contenuti “Pensiamo che sia sbagliato che ci sia una registrazione incancellabile di tutto ciò che abbiamo fatto nelle nostre vite”.
  • Il diritto di sapere Si dovrebbe sapere “perché e per quali scopi i dati personali vengono conservati online”.
  • Il diritto alla sicurezza e al sostegno Non solo protezione da minacce come “l’abuso di minori, lo sfruttamento e il cyberbullismo”, ma l’accesso a risorse a supporto dell’equilibrio psicologico e dell’educazione dei bambini.
  • Il diritto all’uso consapevole Cioè, il diritto di non essere ingannato o coinvolto in comportamenti pericolosi, con strumenti di persuasione occulta.
  • Il diritto all’alfabetizzazione digitale Essere un consumatore informato della tecnologia, nonché parte attiva nel processo di creazione dei contenuti.

Anya Kamenetz è autrice di The art of the screen time.

(rp)

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