Nel recente incontro con Susan Hockfield, presidente del MIT, il presidente Obama ha annunciato, come fatto storico, un nuovo finanziamento federale straordinario nel settore delle energie pulite.
di Alessandro Ovi
Obama ha proposto al Congresso americano di destinare oltre 150 miliardi di dollari, nell’arco di dieci anni, a un fondo per la ricerca e lo sviluppo tecnologico delle energie rinnovabili.
Si tratta del più importante investimento a favore della scienza e della tecnologia, da parte del Governo americano, dopo quello del Programma Apollo che portò l’uomo sulla Luna negli anni 1960.
Il Programma Apollo non solo aveva raggiunto il suo primo obiettivo, l’esplorazione umana del suolo lunare, ma aveva anche fatto nascere intere famiglie di tecnologie che avrebbero poi trasformato profondamente il modo in cui si vive e si lavora e portato enormi benefici all’economia americana.
“L’investimento che il presidente Obama sta proponendo avrà effetti altrettanto profondi. Sarà un importante motore di sviluppo economico”, ha detto Susan Hockfield che, citando un vecchio rapporto del Council for Science and Technology della Casa Bianca, ha ricordato che, storicamente, “ogni dollaro speso in ricerca e sviluppo per l’innovazione nel settore energetico, ne porta 40 all’economia del paese, in termini di efficienza e sviluppo di nuove tecnologie”.
La volontà del presidente degli Stati Uniti di procedere rapidamente sulla strada di una grande accelerazione nel settore delle energie rinnovabili è particolarmente importante e significativa perché normalmente in periodi di grande recessione come è la attuale, la attenzione tende a essere tutta indirizzata alla sopravvivenza a breve termine. Le conseguenti limitazioni di bilancio possono mettere in secondo piano il tema dello sviluppo sostenibile e quello dell’energia pulita che ne è un pilastro. Ma la crisi può per alcuni aspetti essere di aiuto se genera comportamenti virtuosi sul fronte dei consumi e dei comportamenti individuali.
Questo grande sforzo nella ricerca non ha precedenti nella storia delle energie rinnovabili e viene visto con entusiasmo da tutti gli operatori del settore, accademici e industriali.
è convinzione diffusa che il sostegno proposto allo sviluppo delle energie pulite possa permettere una rilevante accelerazione ai progetti già avviati.
Susan Hockfield ne ha citati alcuni, del MIT, che potrebbero portare alla produzione di :
-vetri per finestre che funzionano come pannelli solari ad alta efficienza;
-nuovi materiali, anche a base di virus, per batterie elettriche a lunga durata, sicure e rapidamente ricaricabili;
-lampadine a quantum dots cinquecento volte più efficienti di quelle a incandescenza.
I progetti indicati hanno, in caso di successo, tutte le caratteristiche per produrre tecnologie cosidette “distruttive”, ovvero tecnologie che rapidamente sostituiscono quelle esistenti in quanto dotate di due proprietà.
La prima è rappresentata dai grandi vantaggi sul fronte delle prestazioni e dei costi.
La seconda è costituita dalla capacità di diffondersi molto rapidamente, perché milioni e milioni di consumatori ne fanno oggetto di scelte individuali che trascinano una rapida crescita dell’offerta, senza bisogno, a monte, di laboriosi processi politici di scelta e allocazione di investimenti produttivi.
Si tratta di una vera e propria caccia a nuovi prodotti che avranno come sbocco il mercato globale, e non solo quello americano, che pure è tanto grande.
è ovviamente una scelta politica, ma con tutti i connotati di una scelta imprenditoriale.
Obama ha dichiarato esplicitamente che il grande debito pubblico alimentato dal piano di stimolo, di cui il progetto per le rinnovabili fa parte, sarà coperto dal contributo all’economia americana, derivante dalla comparsa di tecnologie distruttive, proprietarie, nei due settori dove è prevista la maggior crescita nel prossimo decennio, l’energia da fonti pulite e la sanità.
Oltre allo stimolo alle energie rinnovabili, Obama ha anche subito liberalizzato la ricerca in tutti i settori della biotecnologia, lasciando alla coscienza dei singoli ricercatori la scelta delle strade più in sintonia con credo e modelli etici diversi che nei laboratori del melting pot americano hanno sempre convissuto.
Siamo di fronte a una scelta politica da economia di guerra.
Non però di guerra militare, che sviluppa l’industria bellica, dai carri armati agli aerei, dai radar alla bomba atomica, ma di guerra commerciale combattuta non (o non solo…) con regolamenti e tariffe doganali, ma sviluppando una innovazione così forte da far nascere interi nuovi settori industriali, nuove forme di manifattura e servizi che distruggeranno quelle esistenti (come le auto hanno fatto con le carrozze, le e-mail con le lettere e i fax, le reti dei cellulari con quelle dei fili di rame).
L’obiettivo di Obama e dei presidenti delle grandi Università high tech, da Hocfield (MIT) a Cohon (Carnegie Mellon), da Brody (JHU) a Hennesy(Stanford), è quello di portare il loro paese alla testa della nuova manifattura che fornirà prodotti sui mercati del mondo nei settori dove più grande è la crescita e dove gli Stati Uniti vogliono una fortissima leadership.
Una manifattura a elevatissimo valore aggiunto con colletti blu che sono ingegneri, o comunque tecnici con un grandissimo livello di specializzazione.
La conseguenza per Obama, e è lui stesso a dirlo, è quella di operare per avere, in tempi non troppo lunghi, una scuola che formi, ogni anno, non centinaia di migliaia, ma milioni di persone con queste qualifiche. E allora, a cambiare dovrà essere non solo la scuola, ma la società intera.
D’altra parte, se per ogni lavoratore americano ce ne saranno dieci, tra cinesi e indiani solamente, (senza contare l’Africa che sta per arrivare), non ci sono alternative serie a questa scelta.
La cosa interessante è che, per ora, quando ancora la crisi morde, non sono solo i ricercatori ad apprezzare questa strategia, ma la grande maggioranza degli americani.
Per quanto ci riguarda credo proprio che l’Europa dovrà subito mettersi a correre nella stessa direzione, senza perdere un solo minuto.
Dico Europa e non Germania, Francia, Inghilterra o Italia, perché oramai, se le cose stanno così, queste sono tutte parole senza più alcun senso e alcuna speranza di sopravvivenza.
Energia elettrica dalle finestre
Ricercatori del MIT stanno creando nuovi modi di raccogliere l’energia del sole, trasformando le finestre degli edifici in pannelli solari.
La nuova tecnologia raccoglie l’energia solare sulla grande area delle superfici vetrate dei nuovi edifici e la concentra su raccoglitori ai bordi dei vetri. Marc Baldo, professore al MIT e capo di questo progetto, ha dichiarato che la tecnologia che sta sviluppando può ovviamente essere applicata ai pannelli tradizionali aumentando fino al 50 per cento la loro efficienza.
Con la possibilità di generare attorno a 60 watt di energia elettrica per metro quadrato l’idea pare molto sensata, in linea di principio, per tutti i grandi edifici vetrati come i grattacieli, invece di coprire il tetto, la cui superficie è relativamente limitata rispetto al loro consumo di energia.
Per creare il sistema di deviazione e concentrazione della luce verso i bordi del vetro, i ricercatori del MIT applicano strati multipli di vernice a superfici di plastica e di vetro.
Le diverse vernici raccolgono la luce solare in diverse lunghezze d’onda e la deviano verso i bordi dove celle solari la trasformano in energia elettrica. Il concetto della raccolta della energia solare per diverse lunghezze d’onda in modo da trasformarla con celle specifiche per ciascuna di esse, è nota già dagli anni 1970, ma non si sapeva come trasportarla dalla superficie del pannello verso i suoi bordi.
La novità oggi è che si sta riuscendo, con diverse miscele di vernici, ad avere un controllo sempre migliore dell’assorbimento e del movimento della luce. Dato che il sistema è relativamente semplice da fabbricare ci si aspetta che possa passare alla produzione industriale in circa tre anni.
Virus modificati per batterie elettriche
Scienziati del MIT hanno per la prima volta mostrato di poter produrre virus geneticamente modificati per costruire le estremità a carica positiva e negativa di batterie al litio. Le nuove batterie descritte nella edizione del 2 aprile di «Science», possono essere realizzate con un processo poco costoso, a una temperatura poco al di sotto di quella ambientale, senza l’uso di solventi organici tossici, e con impatto ambientale molto basso. In una batteria tradizionale a ioni di litio, le cariche vanno da un anodo negativo, tradizionalmente grafite, a un catodo positivo di ossido di cobalto o di fosfato di ferro e litio.
Tre anni fa un gruppo di ricercatori guidato da Angela Belcher (docente di scienza e ingegneria dei materiali e di bioingegneria) aveva dichiarato di aver progettato e prodotto un virus in grado di «ricoprirsi» di ossido di cobalto e di oro e di autoaggregarsi in nanofili.
Nel suo ultimo lavoro il gruppo si era concentrata sulla produzione di un catodo a elevate prestazioni da accoppiare con l’anodo già realizzato. I catodi sono più difficili da costruire perché debbono avere alta conduttività per essere elettrodi veloci, mentre molti dei materiali destinati a essere usati come catodi sono invece isolanti. Il risultato del lavoro di questo gruppo sono virus che dapprima si ricoprono di fosfato di ferro e poi si agganciano a nanotubi di carbonio per creare una rete di materiale altamente conduttivo.
Gli elettroni possono viaggiare attraverso la rete dei nanotubi di carbonio «percolando» dagli elettrodi verso il fosfato di ferro e trasferendo energia molto rapidamente. Questi virus sono batteriofagi e infettano i batteri, ma non sono pericolosi per gli esseri umani. La tecnologia messa a punto permette la costruzione di batterie leggere e in grado di avere la forma del loro contenitore.
Nuovi materiali per ricariche veloci
Al MIT è stata creata una sorta di «raccordo» che permette all’elettricità di transitare assai più velocemente di ora in una batteria elettrica. Si tratta di una innovazione che potrebbe permettere la costruzione di batterie molto più piccole e leggere che potrebbero essere ricaricate in tempi dell’ordine dei secondi e non delle ore. Lo sviluppo di questa tecnologia potrebbe avere un impatto molto importante nel settore delle auto elettriche dove il tempo di ricarica rappresenta oggi un limite molto grave per la loro diffusione. La ricerca, guidata da Gerbrand Ceder e appena pubblicata su «Nature», può portare ad applicazioni pratiche in meno di tre anni e già due società hanno ottenuto licenze per svilupparla industrialmente.
Le batterie di ultima generazione, al litio, possono contenere quantità rilevanti di energia, ma si ricaricano molto lentamente e hanno potenza bassa. Gli scienziati avevano sempre pensato che gli ioni di litio, che assieme agli elettroni portano la corrente, si muovessero troppo lentamente nel materiale della batteria. Cinque anni fa Ceder e i suoi colleghi hanno fatto una interessante scoperta. Un modello di simulazione al computer di un materiale ben noto per le batterie, il fosfato di litio e ferro, ha mostrato che gli ioni di litio avrebbero potuto muoversi molto rapidamente, ma solo attraverso tunnels accessibili dalla superficie.
Ceder e Byongwoo Jang, uno studente in ingegneria dei materiali, hanno trovato un modo per aggirare questo problema creando uno strato superficiale che permette agli ioni di muoversi attorno alla parte esterna del materiale ed entrare in un tunnel, che lo attraversa, appena lo incontrano. In questo modo la velocità di carica della batteria di un prototipo di laboratorio aumenta di 20 volte.
Questo lavoro è stato finanziato dalla National Science Foundation e dal Department of Energy del Governo americano.
Lampadine a quantum dots
Ricercatori del Laboratorio di Ottica Organica ed Elettronica del MIT, diretto da Vladimir Bulovic, hanno sviluppato nuove forme di luci LED con quantum dots.
Un quantum dot è un semiconduttore i cui «eccitoni» sono confinati in tutte e tre le dimensioni spaziali. Sono stati scoperti ai Bell Labs da Louis Brus e il loro nome è stato dato da Mark Reed. Sono stati utilizzati nei transistor, nelle celle solari, nei laser e ora nei LED.
Le lampadine a quantum dots (QD) sono fatte di sottili film solidi di QD che sono stati sintetizzati colloidalmente dal gruppo di Moungi Bawendi del Dipartimento di Chimica del MIT.
Lo scopo è quello di migliorare le prestazioni degli emettitori di luce a stato solido (SSL) come i LED a luce bianca e di sviluppare metodi per produzioni industriali su grande scala.
Le strutture QD-LD realizzate sono emettitori fatti di uno o più strati di QD inseriti tra film di conduttori organici e inorganici.
A oggi la collaborazione tra Bulovic e Bawendi ha dimostrato la capacità di costruire apparati capaci di emettere luce nella parte visibile dello spettro e in parte dell’infrarosso. Le prestazioni QD-LD sono paragonabili a quelle dei LED organici (OLED) oggi utilizzati nei cellulari (ma con consumi e costi inferiori) centinaia di volte superiori a quelle delle lampadine a incandescenza.
Le soluzioni di QD possono essere miscelate come vernici, fino a ottenere lo spettro luminoso desiderato, inclusa la emissione bianca recentemente dimostrata e necessaria per gli emettitori di luce a stato solido. Il successo tecnologico a livello di laboratorio ha già portato alla nascita di QD Vision, una startup con sede a Watertown, nel Massachusetts.