Energia dai rifiuti

Dagli scarti urbani nasce un idrocarburo da impiegare direttamente come combustibile o da raffinare per ottenere biocarburanti per automobili.

di Luca Longo

Eliminare i rifiuti o – meglio ancora – trovare il modo per utilizzarli per trarne fuori l’energia che ancora contengono è un obiettivo che si sta cercando di raggiungere in tutto il mondo. Ma è tutta italiana la prima invenzione e la prima realizzazione industriale completa. Ora, dagli scarti urbani nasce un idrocarburo che si può impiegare direttamente come combustibile oppure inviare a un successivo stadio di raffinazione per ottenere biocarburanti per le nostre automobili.

Quest’invenzione che ha radici molto antiche, è l’ultima evoluzione altamente tecnologica di un processo vecchio quanto gli esseri umani: quello di bruciare i rifiuti per eliminarli e per recuperare parte dell’energia che vi è ancora intrappolata.

Già nel Paleolitico, infatti, l’uomo aveva capito che invece di bruciare solo la legna – poteva utilizzare gli scarti prodotti dalla propria famiglia per scaldarsi e cuocere il cibo.
Dalle caverne alle metropoli il processo è rimasto sempre lo stesso. Per ottenere energia si deve consumare altra energia: i rifiuti urbani che per loro natura sono ricchi d’acqua (ne contengono fino al 70%), vengono scaldati fino a quando tutta l’umidità viene eliminata e le particelle che li compongono passano allo stato gassoso. In questo modo possono bruciare liberando la loro energia riscaldando grotte, palafitte, case e grattacieli. 

Da un secolo e mezzo abbiamo imparato che è più efficace ed ecologico raccogliere i rifiuti e bruciarli in grossi impianti dedicati. Dai primi inceneritori nati a Nottingham nel 1874 e a Manhattan nel 1885, raccogliere tutti i rifiuti della città, concentrarli in un posto e bruciarli tutti assieme presenta dei vantaggi in termini di efficienza e permette anche di fare avvenire la combustione in modo più controllato.

Nel 2012, al Centro Ricerche Eni per l’Energia Rinnovabile e l’Ambiente di Novara, nasce il primo processo che permette di trasformare in bio-olio la frazione organica dei rifiuti solidi urbani. Si chiama Waste to Fuel (W2F). E quest’anno a Gela è partito il primo impianto pilota continuo basato proprio su questa tecnologia, realizzato da Eni Rewind, la società ambientale di Eni che allora si chiamava Syndial.

I ricercatori Eni hanno pensato di fare un grande passo avanti guardando ancora più indietro rispetto ai nostri antenati del Paleolitico, studiando un evento naturale molto più grande e antico, della durata di diverse centinaia di milioni di anni. Questo processo, basato sulla decomposizione anaerobica dei primi organismi viventi, ha permesso di creare e di accumulare nelle viscere della terra il petrolio e il gas naturale. Per la natura sono stati necessari milioni di anni ed enormi pressioni che hanno sviluppato temperature elevatissime. Ma all’Eni hanno imparato a replicare l’intero processo in due o tre ore a temperature di soli 250-310 °C, senza dover prima eliminare l’acqua.

Dopo il primo impianto pilota, realizzato a Novara e in grado di trattare mezza tonnellata di rifiuti per volta, è stato inaugurato un impianto dimostrativo molto più grande realizzato da Syndial, che ora si chiama Eni Rewind, che lo sta gestendo all’interno dell’area della Raffineria di Gela.
L’impianto – disegnato e realizzato sotto la supervisione dei ricercatori Eni di Novara – è in grado di trattare 700 Kg di rifiuti organici al giorno forniti dalla Società per la regolamentazione del servizio per la gestione rifiuti di Ragusa. Questi vengono trasformati in 70 litri di bio-olio.

L’impianto è completamente integrato e prevede una valorizzazione per tutti i prodotti, oltre che del bio-olio. Le acque sono utilizzate per la produzione di biogas/biometano e quindi purificate in modo da poter essere utilizzate in agricoltura. Il residuo solido viene invece reso inerte recuperandone l’energia residua all’interno del processo stesso. Infine, tutti i recuperi energetici sono carbon neutral. Cioè si produce anidride carbonica pari al carbonio presente nella biomassa di partenza senza che sia necessario aggiungerne altra proveniente da combustibili fossili.

Ma la ricerca non si ferma: ora a Novara ed a Gela si sta lavorando per l’ottimizzazione dell’impianto e per lo sviluppo intensivo dell’intero processo.
Questa rivoluzionaria classe di impianti per la gestione dei rifiuti umidi può dare al nostro Paese un decisivo contributo per il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla Direttiva Europea sulle fonti rinnovabili nei trasporti (RES), consentendo di ottenere un biocarburante avanzato da materie prime di scarto. E riprendendo la ormai celebre frase che usano i colleghi impegnati in questa ricerca: “Come natura crea, ma molto più in fretta!”.

Immagine: impianto Eni Waste to Fuel

(lo)

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