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L’oblio è un ingrediente essenziale per la creatività e per il benessere umano. E la società digitale iperconnessa è suo primo nemico

La Milanesiana, ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi, arriva domenica 26 giugno al Teatro Gerolamo di Milano (Piazza Cesare Beccaria, 8, ore 21) con “DIRE E NON DIRE”, un appuntamento realizzato in collaborazione con Ealixir, azienda leader nel mondo nel campo del diritto all’oblio applicato al web quotata all’indice Otc di Wall Street. 
Ad aprire la serata il prologo dello scrittore e critico musicale Michele Monina, a cui seguirà il dialogo tra il politico Antonello Soro, il giornalista Bruno Giurato, il dirigente d’azienda e scrittore Guido Maria Brera, il filosofo Maurizio Ferraris, il giurista, notaio e accademico Piergaetano Marchettie l’avvocato e saggista Umberto Ambrosoli.
nfine, Giovanni Caccamo si esibirà in un concerto pianoforte e voce. Il cantautore renderà anche omaggio a Franco Battiato.


Di seguito riportiamo l’intervento di Bruno Giurato, Capo della comunicazione per l’Italia di Ealixir, e Editor at Large del technologyreview.it

Faccio un lavoro che, me ne sto accorgendo e me ne accorgo sempre più ogni giorno, è il paradosso perfetto. Dopo anni di giornalismo culturale, e redazionale, curo la comunicazione un’azienda che si occupa di identità digitale, il che significa, in buona misura, diritto all’oblio. Mi tocca comunicare l’oblio. Comunicare il nulla. Aiutare degli aspiranti nessuno ad essere Nessuno.

La cosa ha dei lati immaginifici -quando penso all’oblio mi viene in mente Robert De Niro nella fumeria d’oppio in “C’era una volta in America” di Sergio Leone- e anche dei lati rivelativi. In certi casi tragici: ci sono persone che hanno avuto problemi, anche di poco conto, con la giustizia, e si ritrovano il nome associato a fatti poco piacevoli, nella lotta tra oblio e cronaca che è lo stigma del tempo.
Ci sono persone che finiscono in database a pagamento (ai quali sono abbonati a tariffe altissime banche, aziende, soggetti pubblici, è un grande business) che riportano il loro livello di affidabilità finanziaria: in caso di problemi pregressi magari viene loro negato un finanziamento, anche se il problema non c’è più.
Ci sono persone cha hanno avuto una malattia grave; l’informazione (non si sa in base a quali dinamiche, visto che i dati sanitari dovrebbero essere riservati) è passata a un’assicurazione o a una banca, col risultato che si vedono negare il mutuo, o aumentare il premio assicurativo.
Ci sono persone che si ritrovano un loro video hot categorizzato su noti siti di pornografia con descrizione dettagliata della pratica e spesso con menzione del nome, e con conseguenze durissime: insulti sui social, problemi al lavoro, depressione. Le vie della memoria molesta sono infinite.
I quindici minuti di celebrità sono forse gratis, un quantum di oblio è merce rara, preziosa. Il vero lusso, oggi, è l’oblio. Per la società iperconnessa l’oblio è il nemico pubblico numero uno.   

La meditazione e la creatività sono fatte di oblio

E prima di fornire un paio di velocissime suggestioni su come lavora la società attuale, vorrei fare un paio di annotazioni altrettanto rapide su quanto l’oblio sia importante. Dal punto di vista personale, esistenziale, etico, creativo. 

Chi fa mindfulness, meditazione, yoga lo sa: si tratta di tecniche di oblio. Il cosiddetto “atletismo spirituale” dei Padri del Deserto, che praticavano la “preghiera del cuore” o “esicasmi” che sono alla base della tradizione meditativa occidentale (anche in Occidente ne abbiamo una, di un certo rilievo) descritto in testi come la “Filocalia” danno esempi chiarissimi a riguardo: chiudere le porte dei sensi, chiudere le porte dell’intelletto. Ripetere formule brevi, concentrarsi sul ritmo del respiro. Per due, tre, cinquemila, cinquantamila respiri al giorno. Qualsiasi forma di ascetismo implica una tecnica dell’omissione.

Il concetto di perdono, che è un problema teologico gigantesco, oltre che uno scoglio quasi insormontabile per la cultura laica, è una declinazione dell’oblio. Karl Gustav Jung parla del perdono in termini psicologici come elemento essenziale per vivere: il perdono è la pacificazione non intellettuale, ma peculiarmente emotiva, con fatti e persone che ci hanno ferito. Il perdono è un’omessa vendetta. È oblio.

E tutto l’aspetto umano della creatività è fatto di omissioni e oblio.  È anche troppo facile, dopo aver menzionato Nessuno, citare Ulisse, e quindi Omero, se non fosse per il fatto che ogni arte performativa, dai rapsodi che hanno “costruito” l’epica antica, fino all’improvvisatore jazz ha un aspetto di formularità: vale a dire una ripetizione di argomenti, versi, temi melodici, topos stilistici costantemente variata. L’immaginazione è ripetizione delle cose, sì, ma differenziale. Introduce continuamente elementi di differenza che di fatto sono oblio di qualcosa. 

La società iperconnessa è archiviazione di tutto, e configurazione di un tempo senza oblio

La società iperconnessa è nemica dell’oblio in due modi. Innanzitutto è una società dell’archiviazione generalizzata. Come scrive Maurizio Ferraris è un ambiente “documediale”. Non ha senso parlare né di Infosfera, né di Information Technology. Non si tratta di informazione: nei big data, sondabili solo da algoritmi, ormai ci sono, e sempre di più ci saranno, dati di vita. Nella società iperconnessa niente cade nell’oblio, nemmeno stappare una cedrata in un pomeriggio pigro. 

L’altro aspetto per me fondamentale è quello del tempo. Le macchine, e in particolare le piattaforme digitali con le quali tutti abbiamo continuamente a che fare non sono affatto dei format neutri, ma sono strumenti di configurazione del tempo. Le piattaforme digitali sono editori solo per tangenza: utilizzano l’engagement, prima che per proporre i contenuti, per tenere l’utente dentro alla piattaforma stessa. I contenuti a un certo livello diventano irrilevanti: se guardiamo un video su come preparare spaghetti cotti direttamente nel sugo (vale a dire un video horror), o una magnifica esibizione di Art Tatum, leggiamo un rant populista, o un’informata analisi antipopulista non cambia nulla. I dibattiti sulla moderazioneo gli indirizzi dei contenuti social sono una forzatura alla loro meccanica.  Le piattaforme sono innanzitutto macchine per organizzare, e organizzarci, il tempo. 

La loro temporalità è fatta di ripetizione pura, non differenziale. È una temporalità numerica -numero del movimento, Aristotele- e continua, non interrotta, fratta, paradossale come la temporalità della finitezza umana. Quella delle macchine è una temporalità senza oblio. Si può guardare qualsiasi studio sugli effetti dell’uso prolungato dei social per conferma: la mancanza di oblio genera uno stato generalizzato di ansia e una serie di correlati psicologici abbastanza significativi. I mali psicologici sono malattie del tempo.
La posizione che qui esprimo come ambasciatore dei Nessuno naturalmente, non vuole essere apocalittica, ma solo critica. Meglio omettere il giudizio. Affidarsi, magari, all’oblio.