Ecco come le esperienze traumatiche riprogrammano la corteccia prefrontale e provocano il ricorrere di paure e memorie

Nature Neuroscience pubblica i risultati di una ricerca condotta sui processi neurologici che portano a disinnescare la paura.

di MIT Technology Review Italia

Una squadra internazionale di ricercatori del Queensland Brain Institute, un dipartimento della University of Queensland, ha studiato cosa avviene nel nostro cervello quando riviviamo momenti traumatici della nostra vita, nel tentativo di affinare la capacità di trattare sindromi come la PTSD, il disturbo da stress post-traumatico.

La cura migliore attualmente disponibile per individui affetti da esperienze traumatiche è una terapia cognitivo–comportamentale, purtroppo suscettibile a ricadute.

Il Dr Roger Marek ed il professor Pankaj Sah del QBI hanno individuato nel cervello un nuovo percorso neurale che provoca il ritorno delle memorie traumatiche e della paura.

Nel loro articolo, Marek e Sah spiegano come la terapia cognitivo comportamentale faccia uso di una tecnica che prende il nome di ‘extinction learning’ e mira a disinnescare la relazione tra un preciso stimolo e la reazione che provoca, come la paura. L’efficacia di questa tecnica si è rivelata dipendente dal contesto in cui viene condotta, come l’ambiente di una clinica, con il risultato di lasciare i pazienti vulnerabili a ricadute in ambiti differenti.

Il recente studio rivela l’esistenza di una comunicazione neuronale anomala tra l’ippocampo, una regione del cervello fondamentale per la memoria, e la corteccia prefrontale. Proprio questo collegamento sarebbe responsabile delle ricadute.

La squadra ha studiato il comportamento di ratti e topi in relazione a paure acquisite e non, osservando la formazione di nuovi percorsi neurali in zone del cervello come l’ippocampo.

Si era finora supposto che le ricadute dipendessero da un mancato funzionamento dei nuovi percorsi di comunicazione creati in terapia. Le osservazioni dei ricercatori hanno invece rilevato la formazione di nuovi ponti tra ippocampo e corteccia prefrontale.

Gli studiosi sperano che una maggiore comprensione di questi circuiti neuronali possa condurre a terapie sempre più efficienti.

Lo studio è stato pubblicato su Nature Neuroscience.

(lo)

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