E la fusione sia…

Con l’aiuto dei più potenti laser del mondo i ricercatori di un laboratorio californiano si accingono a tentare l’avvio di una reazione di fusione auto-sostenibile. Se l’esperimento funzionerà, sarà il primo passo sulla strada di una abbondante energia da fusione

di Kevin Bullis

è la fine di aprile e gli operai sono al lavoro per assemblare gli ultimi pezzi della National Ignition Facilty (NIF), la struttura nazionale di accensione, un ampio edificio che si estende su una superficie equivalente a tre campi di football presso il Livermore National Laboratory di Livermore, California. Bardati di elmetto, retino per i capelli, camici da laboratorio e guanti di latice, i tecnici sono tutti riuniti davanti alla camera di puntamento, una sfera di dieci metri di diametro costellata di 48 condotti in alluminio brunito che insieme trasportano 192 raggi laser separati. Ogni raggio da solo è uno dei più potenti al mondo, spiega Bruno Van Wonterghem, che gestisce le operazioni alla NIF. Messi insieme generano l’energia di 50 o 60 laser normalmente in funzione.

Gli operai si preparano a installare un elemento fondamentale della struttura − il sensore per l’allineamento del bersaglio − all’estremità di un braccio rastremato che può essere esteso all’interno della camera. Gli scienziati si serviranno del sensore per posizionare un contenitore in oro grande come un gommino da matita al centro della sfera e allinearlo rispetto ai raggi laser. Nel corso di una serie di esperimenti previsti nei prossimi mesi, se tutto andrà secondo i piani, i laser colpiranno il serbatoio dorato con un impulso tra i 3 e i 20 nanosecondi di durata, generando un bagno di raggi X altamente energetici. A loro volta, i raggi X determineranno l’implosione di un pellet di due millimetri contenente isotopi di idrogeno. «Tutta quell’energia cinetica si traformerà in calore», spiega Van Wonterghem. Il pellet di idrogeno raggiungerà una temperatura di 100 milioni di gradi centigradi e una densità pari a cento volte quella del piombo, quello che basta per scatenare una reazione di fusione.

La fusione, in cui i nuclei atomici si mescolano fino a formare atomi di nuovi elementi, è la reazione fondamentale che alimenta le bombe nucleari e il sole (negli esperimenti presso la NIF, gli isotopi di idrogeno si combineranno formando nuclei di elio e rilasciando neutroni e raggi X). Viene da tempo considerata anche una potenziale e abbondante fonte di energia, se solo fosse possibile dominare tale reazione in un ambiente controllato. La difficoltà sta in questo, poiché un plasma caldo al punto da poter fondere i suoi nuclei di idrogeno raggiunge una temperatura tale da distruggere ogni materiale di contenimento. Gli scienziati hanno concepito due diversi ordini di soluzione. Il primo e più comunemente considerato consiste nel confinare il plasma all’interno di un potente campo elettromagnetico. è ciò che dovrebbe accadere quando il progetto multinazionale francese ITER, dal costo di 14 miliardi di dollari, diventerà operativo entro il termine previsto per il 2018.

La NIF utilizza una approccio radicalmente diverso. Utilizzando i raggi laser per comprimere il carburante di idrogeno, vengono simulate le condizioni di estremo calore e densità all’interno di una stella. La risultante reazione di fusione non è controllata attraverso un contenimento elettromagnetico, ma limitando la quantità di combustibile. Dentro la NIF avrà luogo una minuscola esplosione termonucleare, tanto piccola da poter essere studiata all’interno di una camera di 10 metri di diametro. La missione principale della NIF è proprio quella di gettare luce sulla fisica delle alte temperature e delle alte densità, comprese le reazioni delle armi nucleari, ricreando le stesse condizioni che caratterizzano l’interno delle stelle o delle bombe.

I ricercatori discutono su quale dei due approcci si rivelerà più utile per produrre elettricità; finora è troppo presto per essere davvero sicuri. Ma sembra probabile che la NIF diventi la prima struttura a raggiungere una tappa significativa nella caccia all’energia da fusione basata sui raggi laser: l’accensione di una reazione autosostenibile capace di generare più energia di quella originariamente fornita dai raggi laser. Le precedenti sperimentazioni e i modelli simulati al computer indicano che i 192 laser della NIF sono abbastanza potenti e precisi da scatenare una reazione a catena in grado di continuare a bruciare fino all’esaurimento del combustibile di idrogeno.

Ci sono ancora molte sfide da affrontare prima che la fusione possa essere imbrigliata nella generazione di energia elettrica. Ma ottenere calore da una fusione controllata «sarà considerato un evento incredibile», afferma Edward Moses, direttore associato del Livermore assegnato alla NIF: «Riteniamo di essere alle porte di una nuova era».

Puntamento e fuoco con il laser e una rete di 1.500 computer

Dare inizio alla fusione non sarà un’impresa facile. La missione richiede un impianto capace di dominare vaste quantità di energia controllandole in modo tanto preciso da poter essere indirizzate verso un bersaglio misurabile su scale micrometriche. Questo, secondo Ian Hutchinson, docente di scienze e ingegneria nucleare del MIT, sarà «un risultato tecnologico di impressionante portata».

Nello stesso pomeriggio in cui i tecnici lavorano all’installazione del sensore di allineamento del bersaglio, un altro gruppo ha iniziato a confluire presso la sala controllo dell’impianto, con i suoi grandi schermi e una rete di computer interconnessi. Si stanno preparando per una “salva” sperimentale di raggi laser, che non andrà a colpire alcun pellet di fusione; come misura precauzionale il test è programmato in piena notte, dopo che gli alloggiamenti dei laser e la camera di puntamento dell’impianto saranno stati evacuati dal personale.

Puntare e far fuoco con questo laser richiede l’impostazione di sessantamila punti di controllo diversi. La sequenza di eventi che porterà alla generazione degli impulsi laser convogliati sul bersaglio è troppo complessa per essere controllata dall’uomo, precisa Van Wonterghem, per cui dopo aver selezionato le impostazioni, una rete di millecinquecento computer assumerà il comando ed effettuerà il conto alla rovescia finale, mentre i ricercatori resteranno sempre a pochi centimetri dai numerosi pulsanti di spegnimento predisposti nell’ambiente.

Se tutto funziona, il laser produrrà un impulso di energia cinquecento volte più grande del picco di produzione elettrica di tutti gli Stati Uniti. L’impulso scatenerà l’esplosione termonucleare, di fatto creando una minuscola stella.

Al momento il processo è ancora poco efficiente

Prima che questo procedimento possa essere usato per produrre elettricità bisognerà superare importanti ostacoli. Si presuppone che le reazioni di fusione possano generare da 10 a 20 volte l’energia erogata dai laser. Senza tuttavia tener conto dell’energia necessaria in prima battuta per generare i laser: convertire elettricità in luce laser è un processo poco efficiente. Compensare tutta l’energia sprecata e produrne a sufficienza per generare nuova elettricità richiederebbe reazioni di fusione in grado di produrre cento volte l’energia dei laser.

Discutendo nel suo disordinato ufficio a breve distanza dal NIF, Moses spiega che per ovviare a questo problema ci sono essenzialmente due modi possibili. Uno richiede l’impiego combinato di due treni di impulsi laser in un processo chiamato accensione rapida. In teoria questo metodo potrebbe ridurre la quantità di energia laser necessaria per avviare una reazione sostenibile. La NIF non è però attrezzata per una procedura che verrà implementata in altri progetti di fusione laser attualmente in fase di costruzione e sul lungo termine dalla stessa NIF.

L’altro approccio, prosegue Moses, consiste nel combinare fusione e fissione, il tipo di reazione nelle centrali nucleari convenzionali. Questa opzione non offre le stesse prospettive di un produzione pressoché illimitata di energia della sola fusione, ma può incrementare di diversi ordini di grandezza la quantità di energia che si può estrarre dall’uranio, esaltando ulteriormente una risorsa di combustibile già abbondante. Contemporaneamente potrebbe servire per eliminare la principale obiezione all’impiego della fissione nucleare, rimuovendo le scorie a lungo decadimento prodotte tipicamente dalle centrali. «Al momento riusciamo a ricavare appena l’uno per cento dell’energia disponibile», afferma Moses. «Potremmo estrarne più del 99 per cento».

I ricercatori della NIF hanno predisposto un dettagliato studio di fattibilità per abbinare fusione e fissione. Il motivo per cui i reattori nucleari utilizzano solo una frazione dell’energia complessiva dell’uranio è che i sottoprodotti della reazione tendono ad accumularsi, finendo per interferire con la reazione a catena necessaria per mantenere la produzione di energia. La fusione può fornire un flusso di neutroni che alimentano la reazione, utilizzando quasi tutta l’energia del combustibile.

A dire il vero, non tutti sono concordi nel sostenere che la produzione di energia da fusione laser potrà funzionare. E alcuni scettici mettono in dubbio la capacità della stessa NIF nel raggiungere un punto di fusione auto-sostenibile, affermando che l’impianto non è in grado di produrre impulsi laser a energia sufficientemente elevata senza danneggiare le ottiche o perdere la capacità di focalizzazione sul bersaglio necessaria per comprimere in modo uniforme il combustibile. Anche assumendo che l’impianto possa davvero ottenere una fusione continuativa, la produzione di elettricità in una centrale richiederebbe laser capaci di assicurare l’accensione di un nuovo pellet di combustibile dalle 10 alle 15 volte per secondo. I laser in funzione alla NIF, che devono essere raffreddati tra una emissione e l’altra, possono essere accesi al massimo una volta ogni due-quattro ore. «Anche se la NIF avrà il successo sperato, ci sarà ancora molta strada da percorrere prima di poterla trasformare in una fonte energetica praticabile», afferma Hutchinson.

Alla NIF qualche timido segno di successo si è già visto. All’inizio dell’anno, tutti i 192 laser sono stati accessi contemporaneamente e hanno raggiunto i livelli energetici compatibili con l’avvio di una reazione da fusione. Ciò nonostante, altri progetti laser organizzati in passato a Livermore non erano riusciti a raggiungere un obiettivo che sulla carta sembrava a portata di mano. Sebbene da allora siano stati fatti molti progressi sul piano della conoscenza, niente può garantire che questa volta l’esperimento abbia successo. La buona notizia è che ormai non manca molto per il verdetto: dopo una serie di “tiri” sperimentali, i ricercatori sperano di arrivare al traguardo nel giro dei prossimi due anni. «Non vediamo l’ora di ottenere qualche risultato», conclude Hutchinson.

Un boccaporto d’accesso ci permette di dare un’occhiata all’interno di una camera di puntamento del diametro di 10 metri, dove nei prossimi mesi verranno focalizzati potenti laser che dovranno scatenare una piccola esplosione termonucleare. I raggi laser penetreranno attraverso le aperture squadrate sul fondo della camera (e attraverso altri fori, qui non indicati, aperti nel soffitto). Le aperture circolari servono per introdurre la strumentazione che controllerà le esplosioni. Dentro all’ambiente si allunga una videocamera usata per spiare a ritroso il tracciato dei raggi e esaminare gli eventuali danni subiti da specchi e lenti.

Gli enormi laser hanno origine da un raggio ampio appena 50 micrometri generato da bobine di fibra ottica (pagina a fronte) e alimentato dalla luce di un semplice diodo. L’impulso iniziale viene amplificato diecimila volte e suddiviso in 48 raggi. Ciascuno di questi raggi viene poi veicolato verso il proprio preamplificatore, uno dei quali qui visualizzato, all’interno del laboratorio di manutenzione. I preamplificatori, trasportati su carrelli a rotaia, amplificano i laser venti miliardi di volte. A questo stadio, ciascun raggio percorre una tratta interna ai tubi in acciaio che si intravedono in alto e nuovamente suddiviso in quattro.

I raggi laser raggiungono la loro energia di picco dopo essere stati amplificati quindicimila volte in due vasti ambienti, uno dei quali raffigurato qui. In alto: Un deviatore ottico fa passare il raggio per quattro volte attraverso lo stesso amplificatore prima di scagliarlo sul bersaglio. Al posto degli normali elettrodi, che sarebbero vaporizzati dal laser, il deviatore utilizza un plasma (color porpora) per convogliare la carica elettrica.

A destra: Per fabbricare le 3.072 lastre di vetro drogato al neodimio lunghe un metro ciascuna utilizzate dagli amplificatori primari, i ricercatori hanno dovuto escogitare un nuovo, più rapido metodo di produzione.

Ciascuna conduttura in alluminio (a fronte) porta quattro raggi laser all’interno della camera di puntamento (colore blu, in basso). Le tubature sono equipaggiate con pannelli di accesso che consentono la rimozione delle ottiche focali in caso di danneggiamenti provocati dai potenti laser. Prima di entrare nella camera, i raggi attraversano lamine di cristallo ritagliate da piramidi di un metro come quella raffigurata qui a sinistra, per convertire la luce infrarossa in luce ultravioletta. I raggi convergono su un cilindro (in alto) dotato di dispersori di calore (le lunghe braccia) e bobine termiche (avvolte intorno al cilindro) ingegnerizzate per raffreddare uniformemente all’interno una sfera di idrogeno di due millimetri, fino a circa 20 gradi K. I raggi laser, focalizzati da 40 centimetri fino a un punto più sottile di un capello, penetrano da entrambe le estremità del cilindro, lungo nove millimetri, e collidono con le sue pareti interne, generando i raggi X che comprimono e accendono il pellet di combustibile.

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